La civetta
Myricae
Myricae
Stavano neri al lume della luna
gli erti cipressi, guglie di basalto,
quando tra l’ombre svolò rapida una
ombra dall’alto:
5 orma sognata d’un volar di piume,
orma d’un soffio molle di velluto,
che passò l’ombre e scivolò nel lume
pallido e muto;
ed i cipressi sul deserto lido
10 stavano come un nero colonnato,
rigidi, ognuno con tra i rami un nido
addormentato.
E sopra tanta vita addormentata
dentro i cipressi, in mezzo la brughiera,
15 sonare, ecco, una stridula risata
di fattucchiera:
una minaccia stridula seguita,
forse, da brevi pigolii sommessi,
dal palpitar di tutta quella vita
20 dentro i cipressi.
Morte, che passi per il ciel profondo,
passi con ali molli come fiato,
con gli occhi aperti sopra il triste mondo
addormentato;
25 Morte, lo squillo acuto del tuo riso
unico muove l’ombra che ci occulta
silenziosa, e, desta all’improvviso
squillo, sussulta;
e quando taci, e par che tutto dorma
30 nel cipresseto, trema ancora il nido
d’ogni vivente: ancor, nell’aria, l’orma
c’è del tuo grido.
1 Riassumi in poche righe il contenuto della lirica.
2 Il titolo indica una presenza animale: a partire da quale verso essa si palesa?
3 In che modo si preannuncia la civetta, prima ancora della sua apparizione?
4 Qual è il valore simbolico assunto da questa singolare “protagonista”?
5 Rintraccia tutti i termini che fanno riferimento al motivo funebre.
6 Nel testo compare il tema del nido? Se sì, dove e con quale significato?
7 Tramite quale dei cinque sensi viene percepita, dalla quarta strofa in avanti, la presenza della civetta? Elenca i termini che fanno riferimento a esso.
8 Il lessico impiegato da Pascoli in questa lirica è piuttosto esiguo, essendo caratterizzato da frequenti ripetizioni degli stessi vocaboli e anche di medesimi sintagmi. Individua ed elenca gli elementi che ricorrono più volte nel testo, illustrandone il rilievo semantico.
Il tema della morte, come realtà che minaccia la serenità degli esseri umani, è presente in diverse liriche di Pascoli. Come viene affrontato dall’autore? Rispondi facendo riferimento ad altri testi pascoliani da te letti.
In questo saggio del 2002, il critico Cesare Garboli (1928-2004) rifletteva sulle ragioni dell’inattualità di un grande poeta come Pascoli.
Chi sono, quanti sono, oggi, nel nostro paese, i lettori delle poesie di Giovanni
Pascoli? Quanti parlanti nella nostra lingua, in qualche pomeriggio invernale e o
domenicale, o la sera, prima di spegnere la TV, prendono da uno scaffale le Myricae
o vanno a rileggersi la Cetra di Achille e i Poemi di Ate, o mandano giù come un’aranciata
5 i Primi poemetti – che tanto piacevano a Pier Paolo Pasolini? Fino a qualche
tempo fa, in Italia, non si usciva dal portone del liceo, dopo gli esami di maturità,
senza conoscere il latino. E chi oggi spenderebbe il suo tempo sugli esametri dei
Gladiatores, sul Senex Corycius, sul Fanum Apollinis, sulla polimetria del Catullocalvos,
se non qualche addottorato in lettere ansioso di farsi largo nei concorsi con qualche
10 titolo raro? La fortuna del Pascoli si celebra oggi quasi esclusivamente dentro
le mura die nostri Ginnasi e dei nostri Atenei, grazie al magistero di docenti sempre
più attirati dalla qualità di un poeta capace di trattare indifferentemente il linguaggio
vivo e la lingua morta, come se ciò che è vivo e ciò che è defunto fossero un
solo strumento adattabile, docile alla stessa sensibilità, da suonare con le stesse
15 mani sapienti e delicate. Come la sua opera, anche la circolazione dei testi pascoliani
porta un’inconfondibile impronta scolastica.
Nelle nostre scuole, secondarie e superiori, durante il cosiddetto biennio, gli autori
classici vengono dati in lettura gli studenti alla condizione, molto restrittiva, di occupare
due percorsi obbligati, due aree di studio, una per anno. In uno scompartimento si legge
20 l’epica, nell’altro il romanzo. Omero e Virgilio il primo anno, I promessi sposi il secondo;
e intorno, prima e dopo, una scelta, una grigliata, una corona di poeti e narratori moderni;
di tutto un po’, un misto, un “giardinetto”, come dicevano i gentiluomini napoletani
in certe occasioni non proprio vereconde. Il Pascoli, in questo giardinetto, fa la sua parte
e la sua figura, tenendo la scena quasi alla pari coi classici più collaudati. Miete e riscuote
25 successi sorprendenti. Gli torna utile proprio quel che gli era rimproverato ai primi del
secolo, l’oscurità mista all’arduo e complicato tasso tecnico. Le invenzioni ritmiche, le figure
e gli ardimenti retorici, le allitterazioni, le anafore, i chiasmi, le onomatopee, le armonie
imitative, il ronzare e il rombare dei gruppi di consonanti, la musica delle vocali
toniche che si ripetono uguali, le rime esotiche in -u, la capacità di giocare coi suoni e coi
30 timbri, l’orchestra, la strumentazione, la strana retorica pascoliana incanta più dei decasillabi
di Manzoni e dei grandi interrogativi di Leopardi. I ragazzi capiscono che la poesia
è un gioco, e si divertono con quelli che d’Annunzio chiamava i “segreti”.
Non c’è da stupirsi, è anzi un fenomeno molto comprensibile, che l’odore e la polvere
della scuola ravvivino il laboratorio di un poeta cresciuto bambino tra gli Scolopi, e
35 passato poi a stretto contatto del Carducci. Si osservi piuttosto come il Pascoli, innovatore
e inventore sotto tanti aspetti poetici e letterari, abbia divinato,1 grazie al duro training
dell’insegnamento liceale tra il 1883 e il 1896 a Matera, a Massa e a Livorno, perfino i
programmi scolastici di un secolo dopo di lui. Basta gettare uno sguardo alle quattro antologie
compilate con l’aiuto della sorella fra il 1895 e i primi del secolo, a uso degli studenti
40 delle scuole secondarie. Nel loro insieme, Lyra, Epos, Sul limitare, Fior da fiore spartiscono
i classici proprio come a il nostro attuale biennio: un binario all’epica e l’altro al
“romanzo moderno”, con selezione sempre cospicua dei Promessi sposi, e intorno, attiguo
alle grandi costruzioni epiche e narrative, in periferia, dove crescono i cespugli e si aprono
gli orti, un po’ di tutto: la lirica, i “quadri e suoni”, le scene campestri, le favole, e leggende,
45 le novelle, i racconti storici, i “maestri contemporanei”, il fiore delle Odi barbare e
delle Rime nuove. Insomma, il “giardinetto”.
Ma si deve credere alle letture coatte?2 Quel che si legge a scuola lo si dimentica, non
appena varcato il portone del vecchio Ginnasio-Liceo con la certezza in tasca della maturità.
La presenza di un poeta nei programmi scolastici può rappresentare, nel migliore
50 dei casi, la curiosità di un momento, ma non basta a documentare e a provare la vitalità
di un’esperienza culturale. La poesia del Pascoli suggella una lunghissima tradizione,
si qualifica ancora oggi come un monumento insigne della nostra letteratura. Ma ha cessato
di promuovere degli interessi attuali e vitali. Non è un punto di riferimento né un
passaggio obbligato. È un’acqua morta come il fosso bolognese dell’Aposa, che scorreva,
55 prima di essere interrato, e ristagnava fuori mura, lontano dal centro abitato. Due fattori
convergenti contribuiscono a penalizzare l’interesse e a frenare la diffusione.
Si sorvoli sul fastidio che può suscitare, in tempi un po’ più duri di quelli che dell’Italia
post-umbertina, il buonismo pascoliano, quell’eterno e irritante piagnisteo di poeta
che canta e predica il bene senza mai cessare di ricordare il male di cui è stato vittima.
60 Lo si consideri un accessorio. Fare gli spiriti forti, in certi casi, non è molto di buon
gusto. Più importante è che la società in cui è prosperata nel nostro paese la fortuna del
Pascoli, la piccola borghesia fin-de siècle dalle passioni intime e tremebonde e dalla la-
crima facile, dai solidi nodi famigliari più forti e tenaci di qualunque altro ideale o bandiera,
la piccola borghesia dei mezzi sogni, delle dame acculturate e ispirate, dei burocrati
65 del neo-Stato unitario non incapaci di esaltarsi e di fremere davanti agli eroi dell’Iliade
non meno che sui caduti di Adua,3 si è trasformata lungo l’arco del secolo fino a rendersi
letteralmente riconoscibile: una classe integralista- il ceto medio- dalle idee chiare e dai
denti di lupo, non più frustrata né vulnerabile, che si è conquistata ormai il diritto di governarsi
e di governare. Nel frattempo, nello spazio di un secolo è uscita di scena l’Italia
70 rurale, come la chiamavano i fascisti, o l’Italia georgica, per dirla coi professori, insomma
la civiltà contadina, per dirla con Pier Paolo Pasolini. È come dire che non esiste più, della
poesia pascoliana, neppure il referente.
Cesare Garboli, Al lettore, in Giovanni Pascoli, Poesie e prosce scelte, I, Mondadori, Milano 2002
1 Che cosa afferma Garboli a proposito dell’odierna ricezione della poesia latina di Pascoli?
2 Quali sono gli aspetti tecnici tipici della poesia pascoliana evidenziati dal critico? Sintetizzali in una frase.
3 In che cosa il lavoro di Pascoli come autore di antologie per gli studenti ha anticipato i contenuti degli odierni programmi scolastici?
4 In quale luogo oggi continua la fortuna di Pascoli? Perché, secondo Garboli?
5 Quali sono le ragioni dell’inattualità della poesia pascoliana nell’attuale contesto storico-sociale?
6 Che cosa significa che non esiste più, della poesia pascoliana, neppure il referente (rr. 75-76)?
Sviluppa una delle seguenti tracce.
Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Dal secondo Ottocento al primo Novecento