La morte di Luca
I Malavoglia, cap. 9
I Malavoglia, cap. 9
Con il naufragio della Provvidenza e la perdita in mare del carico di lupini, i Malavoglia si ritrovano in gravi difficoltà perché non sono in grado di saldare il debito contratto con zio Crocifisso. Ma le disgrazie non sono finite: ben presto giunge la notizia della morte di Luca, partito soldato per la leva militare.
Coll’andare dei giorni però, nessuno parlava più di quello che era successo,1 ma
come la Longa non vedeva spuntare la lettera,2 non aveva testa né di lavorare né
di stare in casa: era sempre in giro a chiacchierare di porta in porta, quasi andasse
cercando quel che voleva sapere. «Avete visto una gatta quando ha perso i suoi
5 gattini?» dicevano le vicine. La lettera non veniva però. Anche padron ’Ntoni non
s’imbarcava più e stava sempre attaccato alle gonnelle della nuora come un cagnolino.
Alcuni gli dicevano: «Andate a Catania, che è paese grosso, e qualcosa
sapranno dirvi».
Nel paese grosso il povero vecchio si sentiva perso peggio che a trovarsi in mare
10 di notte, e senza sapere dove drizzare il timone. Infine gli fecero la carità di dirgli
che andasse dal capitano del porto, giacché le notizie doveva saperle lui. Colà,
dopo averlo rimandato per un pezzo da Erode a Pilato,3 si misero a sfogliare certi
libracci e a cercare col dito sulla lista dei morti. Allorché arrivarono ad un nome, la
Longa che non aveva ben udito, perché le fischiavano gli orecchi, e ascoltava bianca
15 come quelle cartacce, sdrucciolò pian piano per terra, mezzo morta.
«Son più di quaranta giorni», conchiuse l’impiegato, chiudendo il registro. «Fu
a Lissa; che non lo sapevate ancora?».
La Longa la portarono a casa su di un carro, e fu malata per alcuni giorni. D’allora
in poi fu presa di una gran devozione per l’Addolorata che c’è sull’altare della
20 chiesetta, e le pareva che quel corpo lungo e disteso sulle ginocchia della madre,
colle costole nere e i ginocchi rossi di sangue, fosse il ritratto del suo Luca, e si sentiva
fitte nel cuore tutte quelle spade d’argento che ci aveva la Madonna. Ogni sera
le donnicciuole, quando andavano a prendersi la benedizione, e compare Cirino
faceva risuonare le chiavi prima di chiudere, la vedevano sempre lì, a quel posto,
25 accasciata sui ginocchi, e la chiamavano anche lei la madre addolorata.
«Ha ragione» dicevano nel paese. «Luca sarebbe tornato fra breve, e i suoi trenta
soldi al giorno se li sarebbe guadagnati. “A nave rotta ogni vento è contrario”».
«Avete visto padron ’Ntoni?» aggiungeva Piedipapera; «dopo la disgrazia di suo
nipote sembra un gufo tale e quale. Adesso la casa del nespolo fa acqua davvero da
30 tutte le parti, come una scarpa rotta, e ogni galantuomo bisogna che pensi ai suoi
interessi».
La Zuppidda era sempre con tanto di muso, e borbottava che ora tutta la famiglia
rimaneva sulle braccia di ’Ntoni! Questa volta una ragazza ci penserà prima di
pigliarselo per marito.
35 «Cosa ci hai con quel povero giovane?» domandava mastro Turi.
«Voi tacete, ché non sapete nulla»; gli gridava la moglie. «I pasticci non mi piacciono!
Andate a lavorare che non sono affari vostri»: e lo mandava fuori dell’uscio
colle braccia penzoloni e quella malabestia di dieci rotoli4 in mano.
Barbara, seduta sul parapetto del terrazzo, a strappare le foglioline secche dei
40 garofani, colla bocca stretta anche lei, faceva cascare nel discorso che «maritati e
muli vogliono star soli» e che «fra suocera e nuora ci si sta in malora».
«Quando Mena si sarà maritata», rispondeva ’Ntoni, «il nonno ci darà la camera
di sopra».
«Io non ci sono avvezza a star nella camera di sopra, come i colombi!» tagliava
45 corto la Barbara; tanto che suo padre, ch’era suo padre! diceva a ’Ntoni, guardandosi
attorno, mentre se ne andavano per la straduccia: «Verrà tutta sua madre, la Barbara;
pensa a non farti mettere il basto5 da principio, se no ti succede come a me».
Però comare Venera aveva dichiarato: «Prima che mia figlia vada a dormire
nella stanza dei colombi bisogna sapere a chi resta la casa, e voglio stare a vedere
50 dove finisce questo affare dei lupini».
Andava a finire che Piedipapera stavolta voleva essere pagato, santo diavolone!
San Giovanni era arrivato, e i Malavoglia tornavano a parlare di dare degli acconti,
perché non avevano tutti i denari, e speravano di raggranellare la somma alla raccolta
delle ulive. Lui se l’era levati di bocca quei soldi, e non aveva pane da mangiare,
55 com’è vero Dio! non poteva campare di vento sino alla raccolta delle ulive.
«A me mi dispiace, padron ‘Ntoni»; gli aveva detto: «ma che volete? Bisogna
che pensi ai miei interessi. San Giuseppe prima fece la sua barba e poi quella di
tutti gli altri».6
1 Riassumi il contenuto del brano in circa 10 righe.
2 Che cosa vuol dire, fuor di metafora, l’espressione senza sapere dove drizzare il timone (r. 10)?
3 Che cosa significa la frase ora tutta la famiglia rimaneva sulle braccia di ’Ntoni (rr. 32-33)?
4 Spiega i seguenti proverbi, contestualizzandoli all’interno della narrazione: A nave rotta ogni vento è contrario (r. 27); maritati e muli vogliono star soli (rr. 40-41); fra suocera e nuora ci si sta in malora (r. 41).
5 In quale punto del testo, parlando della morte di Luca, compare la logica economica per cui la sua scomparsa equivale alla perdita di un guadagno?
6 Trova ed elenca le similitudini presenti nel brano. A quali realtà fanno riferimento?
7 Da che cosa emerge la dimensione corale del racconto? Rispondi offrendo puntuali riscontri testuali.
8 Passa in rassegna i personaggi che compaiono nel brano. Quali valori rappresenta ciascuno di loro?
9 A un certo punto troviamo un esempio di discorso indiretto libero (tecnica narrativa spesso utilizzata nel romanzo): alle parole di quale personaggio esso si riferisce?
Individua i temi principali presenti nel testo, evidenziandone l’importanza nella trama complessiva del romanzo. Confronta poi la società descritta nel brano con quella nella quale vivi: quali differenze e quali analogie riscontri?
Il giurista Gustavo Zagrebelsky (n. 1943), introducendo nel 2011 una nuova edizione dei Malavoglia, ha sottolineato il valore del romanzo verghiano sul piano della testimonianza storica ma anche la profondità di certi motivi esistenziali in esso presenti.
I Malavoglia è un romanzo dell’Italia unitaria, una storia dell’allargamento dei confini
nello Stato unitario e delle prospettive di vita che premono sulle strutture sociali
tradizionali, determinando tensioni, disfacimento e tragedie. Tutto si svolge
a Trezza, ma la vita di Trezza, ormai, non è più tutta nelle mani dei pescatori che
5 la abitano: la leva militare per il Re d’Italia, la battaglia navale di Lissa, l’amministrazione
piemontese e la sua corruzione, la politica, addirittura i discorsi rivoluzionari,
per quanto solo ridicoli e velleitari. La storia ha questo come sfondo. A
vantaggio di chi è narrata? Non certo per i pescatori, i quali del resto, non hanno
bisogno di sentirsela raccontare, perché è parte della loro vita. È narrata a beneficio
10 delle nuove classi dirigenti del Nord, il Nord da dove gli impulsi del progresso
provenivano, per lo più nella totale ignoranza delle condizioni sociali e culturali di
gran parte dell’Italia del Meridione. In questo senso, I Malavoglia può considerarsi
un frammento di edificanda coscienza nazionale.
Ma l’idea interpretativa enunciata dall’autore non vincola necessariamente i
15 lettori del tempo a venire. Le grandi opere d’arte sono grandi appunto per questa
ragione, l’essere sempre aperte a nuove interpretazioni, che le slegano da quelle che
storicamente le hanno determinate e le collocano in dimensioni universali.
È allora un caso che nonno e nipote portino o stesso nome? Noi siamo autorizzati
a pensare che non lo sia e che i protagonisti delle due parti del romanzo rappresentino
20 specularmente due lati dell’animo umano, quasi un «doppio» in conflitto:
due richiami opposti, allo stare qui e all’andare via da qui. Se è così, non di due
parti distinte si tratta nella storia di padron ’Ntoni e di ’Ntoni, e l’impressione di
due racconti diversi, secondo ciò che s’è detto all’inizio, risulta sbagliata. I Malavoglia
sono il racconto di una dualità inscindibile, ambientata nel piccolo mondo di
25 Trezza ma di portata generale. In questo senso, la rilettura che qui si propone non è
un esercizio d’archeologia sociale ma uno scavo nelle forze profonde che muovono
le inquietudini dell’animo umano. Uno scavo che ha probabilmente qualcosa di
autobiografico.
Verga stesso deve avere provato in sé il conflitto che ha rappresentato. Apparteneva
30 infatti al vasto numero di persone che, per i più diversi motivi – dalla sopravvivenza
alla fame alla ricerca di notorietà – l’Italia unita metteva in agitazione
e in movimento. Anch’egli era uno «andato via», che portava i sé co il sentimento
dell’inevitabilità, lo struggimento della separazione da un mondo pur tuttavia amato
sopra ogni altro. Come ’Ntoni. Se c’è un testo che rappresenta lo stato d’animo
35 dell’autore, quando confronta i due mondi – un mondo di sole e un mondo di
nebbia – questo è forse la novella, significativa già dal titolo, Di là dal mare. Vi si
narra d’una passione d’amore nella terra natale che è spezzata dalla partenza cui i
due amanti non possono sottrarsi. «Tra i vasti campi di Mazzarò, i folti uliveti grigi
su cui il tramonto scendeva più fosco, le vigne verdi, i pascoli sconfinati che finivano
40 nella gloria d’occidente, sul cucuzzolo dei monti», «in una casetta isolata, in
mezzo alle vigne verdi, – ci sarà una croce segnata sull’uscio. Io verrò dal sentiero
fra i campi. Aspettatemi. Non vi fate scorgere, o sono perduta […] Di là sarebbe
comparso il suo ombrellino bianco, di là o al di sopra del muricciolo a destra. Una
vespa ronzava nel raggio dorato che penetrava le commessure,1 e urtava contro le
45 imposte, dicendo: Viene! Viene». Ma poi, «lontano, lontano, molto tempo dopo,
nella immensa città nebbiosa e triste, egli si ricordava ancora qualche volta di quei
due nomi umili e sconosciuti, in mezzo al via vai affollato e frettoloso, al frastuono
incessante, alla febbre dell’immensa attività generale […] Di tratto in tratto si udiva
il sibilo di un treno che passava sotterra o per aria, e si perdeva in lontananza, verso
50 gli orizzonti pallidi, quasi con un desiderio dei paesi del sole. Allora gli tornava alla
mente di quei due sconosciuti che avevano scritto la storia delle loro umili gioie sul
muro di una casa davanti alla quale tanta gente passava».
Gustavo Zagrebelsky, Prefazione, in Giovanni Verga, I Malavoglia, Rizzoli-Bur, Milano 2011
1 Qual è il legame di tipo storico che l’autore evidenzia tra I Malavoglia e l’epoca in cui il romanzo fu scritto?
2 Che cosa significa che il romanzo di Verga può considerarsi un frammento di edificanda coscienza nazionale (r. 13)?
3 Per quale ragione profonda, secondo Zagrebelsky, nei Malavoglia nonno e nipote portano lo stesso nome?
4 Qual è il fondamentale motivo autobiografico sotteso al romanzo?
5 Di che cosa parla la novella verghiana Di là dal mare? Perché viene citata da Zagrebelsky?
6 Sulla base dei passi riportati, come potresti descrivere lo stato d’animo che in questa novella emerge dal confronto tra il mondo del paese d’origine e quello della città?
7 Riassumi il contenuto del saggio di Zagrebelsky in circa 5 righe.
Incrociando le vicende narrate nei Malavoglia con la biografia di Verga, Zagrebelsky parla di uno struggimento della separazione (r. 33). Ti sembra che nella società di oggi esista ancora nelle persone un forte attaccamento ai luoghi delle origini oppure – al contrario – che prevalga il senso di appartenere a un orizzonte molto più vasto, di tipo cosmopolita, insomma di essere “cittadini del mondo”? Ripensando a quanto hai letto delle opere di Verga e alla sua celebre “morale dell’ostrica”, sintetizza quella visione e confrontala con la realtà del mondo attuale, per come la vivi tu stesso/a in prima persona e per come la puoi osservare. Nel rispondere alla domanda che abbiamo formulato, scrivi un testo argomentativo.
Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Dal secondo Ottocento al primo Novecento