T7 - La famiglia Malavoglia

T7

La famiglia Malavoglia

Cap. 1

Fedele al canone dell’impersonalità, Verga dà inizio al romanzo in medias res, con la presentazione dei Malavoglia. Non viene data nessuna coordinata spazio-temporale: il lettore si trova messo di fronte a una folla di uomini e donne che dovrà imparare a conoscere da solo.

Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di

Trezza;1 ce n’erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello,2 tutti buona e brava gente

di mare, proprio all’opposto3 di quel che sembrava dal nomignolo, come dev’essere.

Veramente nel libro della parrocchia4 si chiamavano Toscano, ma questo non

5      voleva dir nulla, poiché da che il mondo era mondo, all’Ognina, a Trezza e ad Aci

Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in figlio, che avevano

sempre avuto delle barche sull’acqua, e delle tegole5 al sole. Adesso a Trezza

non rimanevano che i Malavoglia di padron ’Ntoni, quelli della casa del nespolo,

e della Provvidenza ch’era ammarrata6 sul greto, sotto il lavatoio,7 accanto alla Concetta

10    dello zio Cola, e alla paranza8 di padron Fortunato Cipolla.

Le burrasche che avevano disperso di qua e di là gli altri Malavoglia, erano

passate senza far gran danno sulla casa del nespolo e sulla barca ammarrata sotto

il lavatoio; e padron ’Ntoni, per spiegare il miracolo, soleva dire, mostrando il pugno

chiuso – un pugno che sembrava fatto di legno di noce «Per menare9 il remo

15    bisogna che le cinque dita s’aiutino l’un l’altro».

Diceva pure, «Gli uomini son fatti come le dita della mano: il dito grosso deve

far da dito grosso, e il dito piccolo deve far da dito piccolo».

E la famigliuola di padron ’Ntoni era realmente disposta come le dita della

mano. Prima veniva lui, il dito grosso, che comandava le feste e le quarant’ore;10

20    poi suo figlio Bastiano, Bastianazzo, perché era grande e grosso quanto il San Cristoforo

che c’era dipinto sotto l’arco della pescheria della città; e così grande e grosso

com’era filava diritto alla manovra comandata,11 e non si sarebbe soffiato il naso

se suo padre non gli avesse detto “sòffiati il naso» tanto che s’era tolta in moglie12

la Longa quando gli avevano detto “pìgliatela”. Poi veniva la Longa, una piccina

25    che badava a tessere, salare le acciughe, e far figliuoli, da buona massaia; infine

i nipoti, in ordine di anzianità: ’Ntoni, il maggiore, un bighellone13 di vent’anni,

che si buscava tutt’ora qualche scappellotto dal nonno, e qualche pedata più giù

per rimettere l’equilibrio, quando lo scappellotto era stato troppo forte; Luca, “che

aveva più giudizio del grande” ripeteva il nonno; Mena (Filomena) soprannominata

30    “Sant’Agata”14 perché stava sempre al telaio, e si suol dire “donna di telaio,

gallina di pollaio, e triglia di gennaio”;15 Alessi (Alessio) un moccioso16 tutto suo

nonno colui!; e Lia (Rosalia) ancora né carne né pesce. – Alla domenica, quando

entravano in chiesa, l’uno dietro l’altro, pareva una processione.

Padron ’Ntoni sapeva anche certi motti e proverbi che aveva sentito dagli antichi,17

35    “perché il motto degli antichi mai mentì”: – “Senza pilota barca non cammina”

– “Per far da papa bisogna saper far da sagrestano” – oppure – “Fa’ il mestiere

che sai, che se non arricchisci camperai” – “Contentati di quel che t’ha fatto tuo

padre; se non altro non sarai un birbante” ed altre sentenze giudiziose.

Ecco perché la casa del nespolo prosperava, e padron ’Ntoni passava per testa

40    quadra,18 al punto che a Trezza l’avrebbero fatto consigliere comunale, se don

Silvestro, il segretario,19 il quale la sapeva lunga, non avesse predicato che era un

codino20 marcio, un reazionario di quelli che proteggono i Borboni, e che cospirava

pel ritorno di Franceschello,21 onde poter spadroneggiare nel villaggio, come

spadroneggiava in casa propria.

45    Padron ’Ntoni invece non lo conosceva neanche di vista Franceschello, e badava

agli affari suoi, e soleva dire: «Chi ha carico di casa non può dormire quando

vuole» perché «chi comanda ha da dar conto».

 >> pagina 198

Analisi ATTIVA

I contenuti tematici

Nell’aprire il romanzo, Verga evita accuratamente di introdurre gli avvenimenti: la vicenda è collocata in un passato indefinito e quasi astorico, simile a quello delle fiabe (Un tempo, r. 1), e raccontata attraverso la voce di un narratore popolare che si pone sullo stesso piano dei protagonisti. Anche i luoghi non vengono descritti, ma citati con precisione giacché si finge di dare per scontato che il lettore li conosca già e sia anch’egli perfettamente organico alla ristretta dimensione della comunità di Aci Trezza.


1 Quali luoghi vengono menzionati nel testo?


2 Dove è ammarata la barca dei Malavoglia? Quali elementi linguistico-grammaticali indicano che si tratta di un luogo che si dà per scontato essere noto a tutti?

 >> pagina 199 

All’interno di questo orizzonte chiuso, i personaggi sono presentati secondo un ordine gerarchico: su tutti campeggia la figura patriarcale di padron ’Ntoni, l’instancabile lavoratore del mare, il garante della tradizione e della religione di famiglia, che comanda sul figlio Bastianazzo, sulla nuora Maruzza e sui cinque nipoti. La sua autorità è indiscutibile ed è suggellata dalla conoscenza dei proverbi, da subito citati dal narratore come la sintesi di un’atavica sapienza popolare. Sarà proprio la violazione di questa saggezza antica a corrodere un sistema etico basato sull’unità e sull’immutabilità dei ruoli all’interno della società: la smania di adeguarsi al progresso e alla modernità porterà i Toscano alla lunga e drammatica discesa agli inferi che tocca tutti coloro i quali, invece di accontentarsi di ciò che hanno, inseguono il miraggio del benessere.


3 Quale immagine viene usata da Padron ’Ntoni per indicare l’unità della famiglia?


4 Tra i nipoti, uno in particolare si distingue: chi e perché?


5 Che tipo di morale si evince dai proverbi citati da Padron ’Ntoni?

Le scelte stilistiche

Le tecniche sperimentate da Verga nelle novelle di Vita dei campi trovano nel romanzo un’applicazione coerente e sistematica. La regressione del narratore colto al livello dei personaggi si coglie immediatamente quando i Toscano vengono indicati come “Malavoglia”: una ’ngiuria – ovvero un soprannome offensivo, che ha valore antifrastico – usata per sottolineare il difetto opposto alla qualità posseduta di famiglia laboriosa. La mentalità espressa dalla comunità non viene messa in discussione né tanto meno è riprodotta con atteggiamento di superiore paternalismo: tra il modo di esprimersi dei personaggi e quello del narratore c’è una perfetta fusione. Come si evince, per esempio, dai modi di dire che fissano le caratteristiche peculiari dei personaggi (padron ’Ntoni comandava le feste e le quarant’ore, r. 19; Bastianazzo era grande e grosso quanto il San Crostoforo che c’era dipinto sotto l’arco della pescheria della città, rr. 20-21) e dalle massime proverbiali, non è possibile distinguere le voci di chi racconta e di chi è raccontato, che finiscono in tal modo per amalgamarsi in una lingua armonizzata e polifonica.


6 Quale altro soprannome, oltre a “Malavoglia”, è antifrastico?


7 Individua nel testo i proverbi, le similitudini e almeno un paio di esempi di linguaggio parlato e popolare.


8 Scrivere per confrontare. L’incipit dei Malavoglia è assai diverso da quello dei Promessi sposi manzoniani. Evidenzia le differenze legate al ruolo del narratore, alla rappresentazione del mondo descritto e al linguaggio usato.

Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Dal secondo Ottocento al primo Novecento