I grandi temi

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1 Il Verismo e le sue tecniche

La lenta conquista di un metodo nuovo La conversione verista di Verga è favorita dal dibattito sul realismo sorto tra scrittori e intellettuali milanesi a metà degli anni Settanta. L’interesse critico suscitato dai romanzi di Zola (in particolare LAssommoir, “L’ammazzatoio”, pubblicato nel 1877 e recensito entusiasticamente da Luigi Capuana) sollecita infatti la maturazione artistica dello scrittore catanese, che fa propri i principali canoni naturalistici per interpretare la realtà del tempo in un’ottica narrativa nuova, antiromantica e anti-individualistica. Il proposito di uscire dall’ambiente aristocratico-borghese era stato già messo in atto nel 1874 con Nedda, ma la novella era ancora troppo intrisa di drammaticità ed emotività per costituire davvero la prova generale di un reale cambiamento di registro letterario. Nessun indugio psicologico né ricerca del pittoresco troviamo invece nelle novelle di Vita dei campi, dove i caratteri “dannati” dei personaggi vengono delineati secondo i princìpi del Naturalismo.

L’influsso del Positivismo Conformemente ai dettami della poetica naturalista, anche Verga, da questo punto della sua produzione in poi, si propone di avvicinarsi alla real­tà «con scrupolo scientifico», applicando all’ambito letterario le indicazioni del Positivismo, pur senza condividere la fiducia che l’analisi dettagliata di un determinato contesto sociale possa condurre a una soluzione dei suoi problemi e delle sue diseguaglianze. Come lo scienziato si avvicina alla materia del proprio studio in maniera informata, eppure distaccata dal punto di vista emotivo, così, secondo Verga, lo scrittore persegue una conoscenza il più possibile oggettiva del mondo che intende rappresentare. Gli strumenti di indagine della scienza positivista e i suoi fondament vengono dunque da lui impiegati e finalizzati a una precisa operazione letteraria.
Dalla civiltà del lusso al mondo dei vinti Alle ragioni letterarie della svolta verista verghiana vanno inoltre aggiunte le motivazioni storiche e sociali: Verga approfondisce la conoscenza della realtà da cui proviene, quella Sicilia che all’epoca è oggetto delle indagini di politici e intellettuali relative alla cosiddetta “questione meridionale” (nel 1877 viene pubblicata l’Inchiesta in Sicilia di Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino,  p. 162). Le condizioni di abbandono e sfruttamento dei contadini forniscono una materia viva e pulsante a un’ispirazione artistica stanca degli stereotipi del romanzo borghese e desiderosa di rappresentare un ambiente autentico e sofferente con un linguaggio nudo e non melodrammatico.
Regressione e impersonalità Verga recupera dalla lezione naturalistica la tecnica compositiva e stilistica, i princìpi e i metodi di un approccio neutrale alla realtà, che permetta di narrare i fatti in modo obiettivo. L’autore rinuncia a esprimere giudizi, “regredendo” al livello del mondo narrato e dei personaggi; non guarda a ciò che scrive dalla posizione di chi, in quanto creatore dell’opera, la vede nella sua completezza (come accadeva con il narratore esterno onnisciente dei Promessi sposi, sorta di alter ego o controfigura ideale, e idealizzata, dell’autore stesso), ma lascia che i luoghi, le cose, le persone si presentino da soli, nel medesimo istante in cui l’occhio del lettore scorre la pagina. In altre parole, con tale “artificio della regressione” egli non descrive la scena da fuori ricostruendo l’ambiente con le parole di un intellettuale colto quale è, ma la fa emergere a poco a poco dalle parole e dagli stessi pensieri dei personaggi, sostituendo completamente il proprio punto di vista con il loro.
Come Verga scrive nella lettera dedicatoria a L’amante di Gramigna ( T1, p. 145), l’autore scompare per lasciare spazio a una narrazione affidata a un soggetto anonimo e corale, proveniente dall’ambiente stesso dei personaggi raffigurati. La mentalità popolare viene espressa mediante il discorso indiretto libero, riportando cioè le parole pensate o pronunciate da un personaggio senza introdurle con un verbo reggente dichiarativo come “dire”, “sostenere”, “affermare”, “dichiarare” ecc. o con i consueti segni di punteggiatura (i due punti e le virgolette).
In tal modo il narratore può “limitarsi” a raccogliere i «documenti umani» con impersonalità, in modo che l’opera d’arte sembri «essersi fatta da sé», senza il giudizio esterno esercitato da una soggettiva interpretazione ideologica dei fenomeni.

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L’artificio dello straniamento Ciò non significa che la distanza tra il punto di vista del narratore e quello dell’autore sia del tutto azzerata. Quest’ultimo, infatti, può manifestarsi al lettore attraverso un meccanismo narrativo, detto straniamento: la voce narrante presenta come normali e accettabili comportamenti e modi di pensare che non lo sono affatto; o al contrario considera come strane situazioni che invece sono del tutto naturali e giustificabili. Sembrano così venire accreditati pregiudizi e mentalità che chi legge non può condividere e che pertanto mette in discussione: ciò è naturalmente previsto dall’autore, che riesce così a sollecitare la presa di distanza e la condanna di tali pensieri e comportamenti da parte del lettore.
Le differenze con il Naturalismo francese In ciò sta un’importante differenza con il metodo naturalista: la voce borghese che narra nei romanzi di Zola non utilizza tali artifici, poiché non sente l’esigenza di scomparire. Essa infatti è esplicita e riproduce il modo di vedere e di esprimersi dell’autore, che giudica la materia trattata. Per lo scrittore francese “impersonalità” significa osservazione distaccata e denuncia scientifica; per Verga significa, invece, immersione ed eclissi completa nell’oggetto. D’altra parte, queste diverse tecniche narrative sono lo specchio di altrettanto diversi approcci alla realtà. Mentre Zola giudica gli eventi perché è convinto di poter contribuire a migliorarliVerga non nutre la stessa illusione: secondo lui la letteratura non deve analizzare la miseria in vista di possibili trasformazioni future. Anzi, per lui è proprio il progresso, invocato da Zola e dagli altri autori naturalisti, a essere la causa della degradazione della società e della civiltà.

Il problema del linguaggio Ma come tradurre l’impersonalità nelle scelte linguistiche? Il problema della lingua da usare per aderire schiettamente al mondo rappresentato viene risolto da Verga con una modalità diversa rispetto ai metodi tradizionali. Un’applicazione radicale dell’impersonalità avrebbe richiesto l’uso esclusivo del dialetto, con il rischio di trasformare un’opera che è pur sempre letteraria in un documento di puro folclore regionale e di limitare così il pubblico potenziale.

Pertanto Verga non riproduce il linguaggio di contadini, pescatori e minatori in modo del tutto mimetico (il ricorso alle forme dialettali è limitato a pochi inserti lessicali o proverbiali) e adotta un’altra soluzione, apparentemente ambigua ma necessaria per potersi rivolgere ai lettori di tutta Italia. La sua rivoluzione linguistica – la prima dopo quella di Manzoni e, per certi versi, di indirizzo contrario – consiste nell’esprimere la popolarità siciliana a livello artistico, operando non tanto sul lessico, quanto sulla struttura sintattica del periodo, in modo da ricalcare modi e costrutti del parlato antiletterario, che accoglie sgrammaticature, commistioni linguistiche e tutte quelle tecniche espressive con cui si manifestano la mentalità e la cultura dei personaggi rappresentati.

Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Dal secondo Ottocento al primo Novecento