T12 - Addio, monti

T12

Addio, monti

Cap. 8

Fallito il matrimonio a sorpresa, sventato il tentativo di rapimento di Lucia, i promessi sposi su consiglio di fra Cristoforo fuggono in barca dal paese. Alla movimentata «notte degli imbrogli» (quella in cui i due giovani hanno provato – inutilmente – a sposarsi con l’inganno davanti a don Abbondio, nello stesso momento in cui i bravi irrompevano in casa di Lucia per rapirla) fa seguito una silenziosa scena al chiaro di luna. Lucia voltandosi vede sulla sponda il torvo palazzotto di don Rodrigo, che incombe sul paese. Riconosce la propria casa, la finestra della sua stanza, e si abbandona a un segreto pianto in cui formula interiormente un commosso addio. È la pagina più celebre del romanzo.

Insieme alla versione definitiva ne diamo la prima stesura: il confronto fra il punto di partenza (il Fermo e Lucia) e il punto d’arrivo (la “quarantana”) consente di misurare l’evoluzione dello stile e delle tecniche narrative di Manzoni.

 Asset ID: 117124 (let-altvoc-addio-monti-i-promessi-50.mp3

Audiolettura

Versione del 1840

Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al

cielo; cime inuguali,1 note a chi è cresciuto tra

voi, e impresse nella sua mente, non meno che

lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti,

5      de’ quali distingue lo scroscio, come il suono

delle voci domestiche; ville2 sparse e biancheggianti

sul pendìo, come branchi di pecore

pascenti;3 addio! Quanto è tristo il passo

di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla

10    fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente,

tratto dalla speranza di fare altrove

fortuna, si disabbelliscono,4 in quel momento,

i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d’essersi

potuto risolvere,5 e tornerebbe allora indietro,

15    se non pensasse che, un giorno, tornerà

dovizioso.6 Quanto più si avanza nel piano,

il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da

quell’ampiezza uniforme; l’aria gli par gravosa

e morta;7 s’inoltra mesto e disattento nelle città

20    tumultuose; le case aggiunte a case, le strade

che sboccano nelle strade, pare che gli levino

il respiro; e davanti agli edifizi ammirati dallo

straniero, pensa, con desiderio inquieto, al

campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha

25    già messo gli occhi addosso, da gran tempo,

e che comprerà, tornando ricco a’ suoi monti.

Ma chi non aveva mai spinto al di là di

quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva

composti in essi tutti i disegni dell’avvenire,8 

30    e n’è sbalzato lontano, da una forza perversa!

Chi, staccato a un tempo9 dalle più care

abitudini, e disturbato nelle più care speranze,

lascia que’ monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti

che non ha mai desiderato di conoscere,

35    e non può con l’immaginazione arrivare

a un momento stabilito per il ritorno!10 Addio,

casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto,

s’imparò a distinguere dal rumore de’

passi comuni il rumore d’un passo aspettato

40    con un misterioso timore.11 Addio, casa ancora

straniera,12 casa sogguardata tante volte alla

sfuggita, passando, e non senza rossore; nella

quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo

e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove

45    l’animo tornò tante volte sereno, cantando le

lodi del Signore; dov’era promesso, preparato

un rito;13 dove il sospiro segreto del cuore doveva

essere solennemente benedetto, e l’amore

venir comandato, e chiamarsi santo; addio!

50    Chi dava a voi tanta giocondità14 è per tutto;15

e non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non

per prepararne loro una più certa e più grande.

Di tal genere, se non tali appunto, erano i

pensieri di Lucia, e poco diversi i pensieri degli

55    altri due pellegrini, mentre la barca gli16 andava

avvicinando alla riva destra dell’Adda.

Versione del Fermo e Lucia

Addio, monti posati sugli abissi dell’acque ed

elevati al cielo; cime ineguali, conosciute a colui

che fissò sopra di voi i primi suoi sguardi,

e che visse fra voi, come egli distingue all’aspetto

5      l’uno dall’altro i suoi famigliari, valli segrete,

ville sparse e biancheggianti sul pendio

come branco disperso di pecore pascenti, addio!

Quanto è tristo il lasciarvi a chi vi conosce

dall’infanzia! quanto è nojoso1 l’aspetto della

10    pianura dove il sito a cui si aggiunge2 è simile a

quello che si è lasciato addietro, dove l’occhio

cerca invano nel lungo spazio, dove riposarsi e

contemplare, e si ritira fastidito come dal fondo

d’un quadro su cui l’artefice non abbia ancor

15    figurata alcuna immagine della creazione.

Che importa che nei piani deserti sorgano città

superbe ed affollate? il montanaro che le passeggia

avvezzo alle alture di Dio, non sente il

diletto della maraviglia nel mirare edificj che il

20    cittadino chiama elevati perché gli3 ha fatti egli

ponendo a fatica pietra sopra pietra. Le vie, che

hanno vanto di ampiezza, gli sembrano valli

troppo anguste, l’afa immobile lo opprime, ed

egli che nella vita operosa del monte non aveva

25    forse provato altro malore che la fatica, divenuto

timido e delicato come il cittadino, si lagna

del clima e della temperie, e dice che morrà se

non torna ai suoi monti. Egli che sorto col sole,

non riposava che al mezzo giorno e al cessare

30    delle fatiche diurne, passa le ore intere nell’ozio

malinconico ripensando alle sue montagne.

Ma questi sono piccioli dolori. L’uomo sa

tormentar l’uomo nel cuore; e amareggiargli il

pensiero di modo che anche la memoria dei

35    momenti passati lietamente affacciandosi ad

esso perde ogni bellezza, e porta un rancore

non temperato da alcuna compiacenza; è tutta

dolorosa: reca all’afflitto una certa maraviglia

che abbia potuto altre volte godere, e non desidera

40    più quelle contentezze delle quali non gli

par più capace la sua mente trasformata. Dolore

speciale: la contemplazione della perversità

d’una mente simile alla nostra: idea predominante

in chi è afflitto dal suo simile. Addio, casa

45    natale, casa dei primi passi, dei primi giuochi,

delle prime speranze; casa nella quale sedendo

con un pensiero s’imparò a distinguere dal romore

delle orme comuni il romore d’un’orma

desiderata con un misterioso timore. Addio,

50    addio casa altrui, nella quale la fantasia intenta,

e sicura vedeva un soggiorno di sposa, e di

compagna. Addio chiesa dove nella prima puerizia4

si stette in silenzio e con adulta gravità,5

dove si cantarono colle compagne le lodi del

55    Signore, dove ognuno esponeva tacitamente le

sue preghiere a Colui che tutte le intende e le

può tutte esaudire, Chiesa, dove era preparato

un rito, dove l’approvazione e la benedizione

di Dio doveva aggiungere all’ebbrezza della

60    gioia il gaudio tranquillo e solenne della santità.

Addio! Il serpente nel suo viaggio torto e

insidioso, si posta talvolta vicino all’abitazione

dell’uomo, e vi pone il suo nido, vi conduce

la sua famiglia, riempie il suolo e se ne impadronisce;

65    perché l’uomo il quale ad ogni passo

incontra il velenoso vicino pronto ad avventarglisi,6

che è obbligato di guardarsi e di non dar

passo senza sospetto, che trema pei suoi figli,

sente venirsi in odio la sua dimora, maledice il

70    rettile usurpatore, e parte. E l’uomo pure caccia

talvolta l’uomo sulla terra come se gli fosse destinato

per preda: allora il debole non può che

fuggire dalla faccia del potente oltraggioso: ma

i passi affannosi del debole sono contati, e un

75    giorno ne sarà chiesta ragione.

 >> pagina 889 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

L’Addio prende forma sullo sfondo di un paesaggio quanto mai romantico. Sui monti, sulle acque, sui paesi biancheggianti sul pendìo (rr. 6-7), illuminati dal plenilunio, si posa lo sguardo dei fuggiaschi, caricando la scena di una commossa emotività. Il tema portante è quello dell’amarezza dovuta al distacco dalla terra natale dell’emigrante, mosso dal desiderio di fare fortuna o da una minaccia insostenibile, come è il caso dei promessi sposi. L’inquietudine aumenta al pensiero dell’incerto destino che attende chi lascia la propria terra nella baraonda della città moderna, con la quale di lì a poco Renzo avrà modo di scontrarsi. Manzoni riprende qui l’antico motivo del confronto con la campagna, anticipando una vocazione fondamentale nella narrativa dell’Italia unita.

Ai sogni infranti d’amore invece è riservato soltanto un cenno. Restano un pensiero occulto (rr. 37-38) che la pudica Lucia non confessa neppure a sé stessa, il misterioso timore (r. 40) di un passo su cui il narratore reticente non intende insistere, al di là del riferimento agli sguardi lanciati alla sfuggita, passando, e non senza rossore (rr. 41-42) alla casa del futuro sposo. Prontamente subentra un ulteriore addio, alla chiesa dove il sospiro segreto del cuore (r. 47) avrebbe dovuto trovare la solenne benedizione del matrimonio. Il pianto cede infine il passo a una riflessione dell’autore che tiene viva la speranza.

Le scelte stilistiche

Durante l’attraversamento del lago, Manzoni avrebbe potuto immaginare un dialogo tra i passeggeri, o con il barcaiolo, come avviene in seguito. Sceglie invece di impostare un’effusione lirica, che meglio si addice al temperamento di Lucia, mantenendola su ritmi lenti e calibrati, in cui più volte si nasconde la misura classica della poesia italiana, l’endecasillabo* (ad-di-o-mon-ti-sor-gen-ti-dal-l’ac-que). Spina dorsale del passo è l’anafora* della parola addio, ripetuta sei volte: due nel periodo iniziale e quattro, con un vistoso crescendo, in prossimità della conclusione.

Si tratta di un modulo tipico del discorso diretto, che concorre ad aumentare la commozione, in combinazione con i diminutivi riservati a ciò che si lascia (casuccia, campicello); eppure non siamo di fronte a un semplice monologo interiore. Sarebbe eccessivo attribuire meccanicamente alla sola Lucia fantasticherie melanconiche che appartengono anche ad Agnese e Renzo: Di tal genere, se non tali appunto, erano i pensieri di Lucia, e poco diversi i pensieri degli altri due pellegrini (rr. 53-55). Come si mostra in questo fondamentale inciso, è il narratore a esprimere i sentimenti che si agitano nei cuori dei personaggi, innalzandoli al di là delle loro vicende personali, un po’ come accadeva già nei cori delle tragedie. A questo scopo collabora l’insistente ricorso al pronome indefinito chi e alle forme verbali impersonali. La portata del discorso si allarga così a dismisura, e nel pianto sommesso di Lucia si riconosce l’eco di un dolore universale.

La differenza più evidente fra le due stesure del brano è di natura quantitativa: nel Fermo e Lucia Manzoni usa giri sintattici molto articolati e propone passaggi che nella “ventisettana” deciderà di sopprimere, insieme al lessico troppo ricercato o libresco. Nella “quarantana” lavora solo su quest’ultimo versante, per avvicinarsi ancor più al fiorentino vivo: sostituisce per esempio aere con aria, simiglia con par, orme con passi, e interviene sulla punteggiatura, per meglio adeguarla alle pause della voce.

Vanno inoltre segnalati l’introduzione dell’inciso finale e il taglio del paragone fra città e campagna, che nel Fermo e Lucia viene svolto in termini oppositivi: da una parte i monti, sublime creazione del Signore, dall’altra i palazzi, edificati dall’uomo ponendo a fatica pietra sopra pietra (r. 21); da una parte le ariose valli prealpine, dall’altra le malsane vie urbane. In quest’ottica è rilevante nel testo di arrivo l’eliminazione della lunga similitudine* di sapore biblico con il serpente; con essa cade il minaccioso riferimento finale alla giustizia divina (il debole non può che fuggire dalla faccia del potente oltraggioso: ma i passi affannosi del debole sono contati, e un giorno ne sarà chiesta ragione, rr. 72-75), in cui riecheggia il «Verrà un giorno» rivolto da fra Cristoforo a don Rodrigo già nello stesso Fermo e Lucia ( T11, p. 882, r. 96).

 >> pagina 890

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Elenca tutti gli oggetti affettivi a cui viene dato l’addio.


2 A chi appartiene la casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore (rr. 40-42)?

Analizzare

3 Rintraccia le similitudini presenti nel testo.


4 Confronta il paragone tra città e campagna nel testo di partenza e in quello di arrivo: quali analogie e differenze noti?

Interpretare

5 Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande (rr. 50-52): interpreta questa frase, alla luce del tema della «provida sventura».

Produrre

6 Scrivere per esporre. Il testo descrive lo stato d’animo di chi è costretto a partire dalla propria terra: oggi nel mondo accade a milioni di persone, in seguito a guerre, carestie, persecuzioni politiche o religiose. Svolgi una ricerca su questo drammatico fenomeno e illustra i risultati in un testo espositivo-argomentativo di circa 40 righe.


7 Scrivere per raccontare. Immagina di dovere dare l’addio a qualcosa o a qualcuno, in un testo di circa 10 righe.

T13

Il ritratto della monaca di Monza

Cap. 9

Abbandonato il paese natale, salutato Renzo, Lucia è indirizzata a Monza in compagnia della madre Agnese, nella speranza che la «signora» del convento, una monaca di famiglia potentissima, accetti di dare loro protezione. La comparsa in scena di Gertrude, la monaca di Monza, è abilmente preparata da Manzoni, che crea tutte le premesse per suscitare la curiosità del lettore. Il primo a nominarla, con rispetto e cautela, è il padre guardiano dei cappuccini, una volta appreso dalla lettera di fra Cristoforo della persecuzione subita da Lucia: «non c’è che la signora: se la signora vuole prendersi quest’impegno…».

La domanda sull’identità della «signora», che è anche del lettore, viene posta da Agnese e Lucia al carrettiere che le porta in convento. La risposta aumenta la suspense: «La chiamano la signora, per dire ch’è una gran signora; e tutto il paese la chiama con quel nome, perché dicono che in quel monastero non hanno mai avuto una persona simile; e i suoi d’adesso, laggiù a Milano, contan molto, e son di quelli che hanno sempre ragione». In attesa del colloquio, Lucia si aggira spaesata nel parlatorio del convento. Dietro una finestra «con due grosse e fitte grate di ferro», vede una monaca che la fissa intensamente. Esitante, si avvicina.

Il suo aspetto, che poteva dimostrar venticinque anni, faceva a prima vista un’impressione

di bellezza, ma d’una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta.

Un velo nero, sospeso e stirato orizzontalmente sulla testa, cadeva dalle due parti,

discosto alquanto dal viso; sotto il velo, una bianchissima benda di lino cingeva,

5      fino al mezzo, una fronte di diversa, ma non d’inferiore bianchezza; un’altra benda

a pieghe circondava il viso, e terminava sotto il mento in un soggolo,1 che si

stendeva alquanto sul petto, a coprire lo scollo d’un nero saio. Ma quella fronte si

raggrinzava spesso, come per una contrazione dolorosa;2 e allora due sopraccigli

neri si ravvicinavano, con un rapido movimento. Due occhi, neri neri anch’essi, si

10    fissavano talora in viso alle persone, con un’investigazione superba; talora si chinavano

in fretta, come per cercare un nascondiglio; in certi momenti, un attento

osservatore avrebbe argomentato che chiedessero affetto, corrispondenza,3 pietà;

altre volte avrebbe creduto coglierci la rivelazione istantanea d’un odio inveterato4

e compresso, un non so che di minaccioso e di feroce: quando restavano immobili

15    e fissi senza attenzione, chi ci avrebbe immaginata una svogliatezza orgogliosa, chi

avrebbe potuto sospettarci il travaglio d’un pensiero nascosto, d’una preoccupazione

familiare all’animo,5 e più forte su quello che gli oggetti circostanti. Le gote

pallidissime scendevano con un contorno delicato e grazioso, ma alterato e reso

mancante da una lenta estenuazione.6 Le labbra, quantunque appena tinte d’un roseo

20    sbiadito, pure, spiccavano in quel pallore: i loro moti7 erano, come quelli degli

occhi, subitanei, vivi, pieni d’espressione e di mistero. La grandezza ben formata

della persona scompariva in un certo abbandono del portamento, o compariva sfigurata

in certe mosse repentine, irregolari e troppo risolute per una donna, non che

per una monaca. Nel vestire stesso c’era qua e là qualcosa di studiato o di negletto,8

25    che annunziava una monaca singolare: la vita era attillata con una certa cura secolaresca,9

e dalla benda usciva sur una tempia una ciocchettina di neri capelli; cosa che

dimostrava o dimenticanza o disprezzo della regola che prescriveva di tenerli sempre

corti, da quando erano stati tagliati, nella cerimonia solenne del vestimento.10

 >> pagina 892 

Verso le COMPETENZE

I contenuti tematici

L’apparizione della «signora» è il capolavoro della ritrattistica manzoniana: non a caso, la splendida resa di una bellezza tormentata, inquieta, profondamente romantica, nell’Ottocento ha ispirato numerosi artisti, che hanno tentato di darne un’interpretazione pittorica.

Il narratore inizia con un’impressione d’insieme, per poi concentrarsi sui singoli particolari del volto, insistendo sugli occhi, in cui balenano ora la superbia, ora l’odio, ora la disperazione, ora la solitudine e perfino una richiesta di affetto. Non scioglie dunque il mistero sull’animo della donna, accentuato anzi da ambigui dettagli, dal singolare abbandono del portamento (r. 22) e da quella maliziosa ciocchettina di neri capelli (r. 26), in contrasto con la regola monacale. Tutti gli indizi esterni concorrono a suggerire una pericolosa ambiguità, destinata a trovare conferme nel percorso della storia. Sarà proprio la «signora», infatti, a favorire il rapimento di Lucia, per mano del suo amante Egidio.

Per quanto crudele, volubile, viziosa, la monaca di Monza è un personaggio che ispira nel lettore pietà, in quanto il male di cui si rende responsabile discende da una gravissima violenza psicologica subita. Come chiarisce in seguito il narratore in una lunga digressione, il convento è stato scelto per lei dal «principe padre», che sin dall’infanzia aveva tentato invano di abituarla all’idea, arrivando a regalarle bambole vestite da suora. Accettato l’abito senza vocazione, la «signora» scivola presto nel peccato, e dal peccato al delitto: si rende complice infatti dell’assassinio della monaca che aveva scoperto la sua tresca con Egidio. Il convento è per lei innanzitutto una prigione, come suggerisce l’insistenza, una volta concluso il ritratto, sulle grate di ferro dietro le quali si staglia la sua figura. Nel crearla l’autore si ispirò alla figura di Marianna de Leyva, nobildonna davvero esistita, condannata dal cardinale Borromeo a espiare i suoi misfatti in una stanzetta murata, dove rimase tredici anni.

Le scelte stilistiche

Per dare immediato rilievo visivo a una personalità contrastata, il narratore valorizza l’antitesi fra bianco e nero, i due colori dell’abito delle benedettine, che connotano anche l’aspetto fisico della monaca. Bianca la fronte, nere le sopracciglia, neri gli occhi e i capelli, il volto tanto pallido che il roseo sbiadito (rr. 19-20) delle labbra vi spicca. Su queste tinte prende forma una bellezza efficacemente sintetizzata dall’allitterazione* che lega i tre participi: sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta (r. 2). Manzoni evita di spingersi oltre: la frequenza dei ma, dei come, delle formule dubitative (un non so che, r. 14), delle indecisioni (qualcosa di studiato o di negletto, r. 24) lascia il lettore esitante, come Lucia al cospetto della monaca.

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Elenca le parti del viso e i dettagli dell’abbigliamento su cui si sofferma la descrizione, accostando a ciascuno il significato che gli attribuisce il narratore.

Analizzare

2 Nell’espressione bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta (r. 2) si può cogliere un ossimoro: per quale ragione tale figura retorica è adatta alla personalità della monaca?


3 Rintraccia nel testo i riferimenti alla sfera cromatica.


4 Individua tutti gli elementi che suggeriscono nella monaca un disordine interiore.

Interpretare

5 Considera il lungo passo dedicato alla descrizione degli occhi. Che cosa vuole suggerire a tuo parere Manzoni?


6 Perché a tuo giudizio il narratore in questo passo non propone mai il punto di vista della «signora»?

Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento