T8 - Il cinque maggio (Odi civili)

T8

Il cinque maggio

Odi

L’ode viene scritta di getto nel luglio del 1821, alla notizia della morte di Napoleone, che circolava accompagnata da voci di una sua conversione all’ultimo momento. Profondamente colpito, Manzoni compone in pochi giorni questa “orazione funebre”, in cui ricapitola la vicenda umana dell’imperatore, sublime dimostrazione del carattere precario delle glorie umane, al cospetto di una prospettiva eterna. La censura austriaca ne proibisce la stampa, ma l’ode si diffonde ampiamente tramite copie manoscritte, riscuotendo ammirazione e consensi. Nel 1822 Goethe la traduce in tedesco. L’anno successivo viene pubblicata a Torino.


Metro 18 strofe di 6 settenari, disposti secondo lo schema SASAST (dove S indica i versi sdruccioli, T i versi tronchi).

Ei fu. Siccome immobile,

dato il mortal sospiro,

stette la spoglia immemore

orba di tanto spiro,

5       così percossa, attonita

la terra al nunzio sta,

muta pensando all’ultima

ora dell’uom fatale;

né sa quando una simile

10    orma di piè mortale

la sua cruenta polvere

a calpestar verrà.

Lui folgorante in solio

vide il mio genio, e tacque;

15    quando, con vece assidua,

cadde, risorse e giacque,

di mille voci al sonito

mista la sua non ha:

vergin di servo encomio

20    e di codardo oltraggio,

sorge or commosso al subito

sparir di tanto raggio:

e scioglie all’urna un cantico

che forse non morrà

25    Dall’alpe alle piramidi,

dal Manzanarre al Reno,

di quel securo il fulmine

tenea dietro al baleno;

scoppiò da Scilla al Tanai,

30    dall’uno all’altro mar.

Fu vera gloria? Ai posteri

l’ardua sentenza: nui

chiniam la fronte al Massimo

fattor, che volle in lui

35    del creator suo spirito

più vasta orma stampar.

La procellosa e trepida

gioia d’un gran disegno,

l’ansia d’un cor che indocile

40    serve, pensando al regno,

e il giunge, e tiene un premio

ch’era follia sperar;

tutto ei provò: la gloria

maggior dopo il periglio,

45    la fuga e la vittoria,

la reggia e il tristo esiglio;

due volte nella polvere,

due volte in sull’altar.

Ei si nomò: due secoli,

50    l’un contro l’altro armato,

sommessi a lui si volsero,

come aspettando il fato;

ei fe’ silenzio, ed arbitro

s’assise in mezzo a lor.

55    E sparve, e i dì nell’ozio

chiuse in sì breve sponda,

segno d’immensa invidia,

e di pietà profonda,

d’inestinguibil odio

60    e d’indomato amor.

come sul capo al naufrago

l’onda s’avvolve e pesa;

l’onda su cui del misero,

alta pur dianzi e tesa

65    scorrea la vista a scernere

prode remote invan;

tal su quell’alma il cumulo

delle memorie scese:

oh quante volte ai posteri

70    narrar se stesso imprese,

e sull’eterne pagine

cadde la stanca man!

Oh quante volte, al tacito

morir d’un giorno inerte,

75    chinati i rai fulminei,

le braccia al sen conserte,

stette, e dei dì che furono

l’assalse il sovvenir!

E ripensò le mobili

80    tende, e i percossi valli,

e il lampo dei manipoli,

e l’onda dei cavalli,

e il concitato imperio,

e il celere obbedir.

85    Ah! forse a tanto strazio

cadde lo spirto anelo,

e disperò; ma valida

venne una man dal cielo,

e in più spirabil aere

90    pietosa il trasportò;

e l’avviò sui floridi

sentier della speranza,

ai campi eterni, al premio

che i desideri avanza,

95    ove è silenzio e tenebre

la gloria che passò.

Bella Immortal! benefica

Fede ai trionfi avvezza!

scrivi ancor questo, allegrati;

100 che più superba altezza

al disonor del Golgota

giammai non si chinò.

Tu dalle stanche ceneri

sperdi ogni ria parola:

105 il Dio che atterra e suscita,

che affanna e che consola,

sulla deserta coltrice

accanto a lui posò.

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Analisi ATTIVA

I contenuti tematici

Il cinque maggio è divisibile in tre parti. La prima inscena lo stupore che coglie il mondo alla notizia della morte di Napoleone; commosso, il poeta decide di rompere il rigoroso riserbo al quale sino ad allora si era attenuto (vv. 1-24). A differenza degli altri grandi letterati del suo tempo (come Vincenzo Monti, Carlo Porta, Ugo Foscolo), Manzoni non aveva mai celebrato le imprese dell’imperatore, quando questi era in vita. Né intende farlo ora: se nella seconda parte ne ripercorre la sfolgorante carriera, i trionfi e le disfatte (vv. 25-54), maggiore spazio è riservato nella terza ai giorni amari dell’esilio sull’isola di Sant’Elena, sigillati dal decisivo intervento della Grazia, in punto di morte (vv. 55-108). Siamo dinanzi a una «provida sventura» simile a quella di Ermengarda chiusa in convento, o del conte di Carmagnola imprigionato. Anche Napoleone si trova a vivere un’esperienza di reclusione, che scatena l’onda insostenibile dei ricordi. La fede, infine, gli consente di affrontare la morte placato, trasformando le sue vicende terrene nella più istruttiva delle parabole.


1 Che cosa si augura l’autore per il proprio cantico (v. 23)?


2 La seconda parte dell’ode, quella dedicata alla vicenda di Napoleone, può essere ulteriormente suddivisa: come?

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Operando con vigorosa determinazione nel mondo, senza evitare il ricorso a ingiustizie e violenze, da oscuro ufficiale nato in una provincia remota, la Corsica, Napoleone diventa imperatore dei francesi. Signore degli eserciti, giudice dei secoli l’un contro l’altro armato (v. 50), uom fatale (v. 8) che da solo si dà il nome, sollevandosi al di sopra della massa anonima degli uomini, raggiunge un premio ch’era follia sperar (v. 42) e pretende di decidere l’avvenire del mondo.

Più che ricordare Ulisse o Alessandro Magno, egli incarna dunque il prototipo dell’uomo moderno, l’eroe romantico che cerca di costruirsi da solo un destino. In questa prospettiva non stupisce come la pietà e l’ammirazione di Manzoni nascano non al cospetto dei trionfi, ma nel momento esatto in cui Napoleone mette da parte la superbia con cui aveva cercato di sostituirsi a Dio e si trova a riconoscerne la suprema grandezza.


3 Ricostruisci le tappe principali della vicenda di Napoleone menzionate nel testo, eventualmente aiutandoti con una mappa.


4 Una delle caratteristiche di Napoleone è la rapidità: individua nel testo tutti i termini e le espressioni che vi si riferiscono.

Ancora una volta Manzoni riconosce nella sconfitta l’opportunità di dimostrare un eroismo ben diverso dal modello titanico di stampo romantico, nonché l’unico mezzo per giungere alla salvezza eterna. L’esistenza di Napoleone, che finisce i suoi giorni su uno scoglio in mezzo all’Atlantico dopo avere imperversato dall’alpe alle piramidi, / dal Manzanarre al Reno (vv. 25-26), è ai suoi occhi un’altissima dimostrazione della divina onnipotenza. I posteri pronunceranno l’ardua sentenza (v. 32) sulla gloria terrena dell’imperatore, ma questa conta infinitamente meno del giudizio di Dio, a cui spetta l’unica vera gloria: le imprese umane, anche le più ardite, viste dalla prospettiva dell’eternità si riducono a polvere. Animato da questa convinzione, Manzoni conclude Il cinque maggio con una vibrante apostrofe* alla Fede, che avvicina l’ode a un inno sacro, composto, questa volta, non in occasione di una festa liturgica, ma per interpretare a maggior lode di Dio la morte di un grande protagonista della Storia.


5 Nella terza parte dell’ode, alla rapidità dell’azione si sostituisce la staticità: perché? Individua termini ed espressioni ad essa riferiti.


6 Attraverso quali passaggi viene descritta la crisi umana e spirituale di Napoleone?

Le scelte stilistiche

L’ode è caratterizzata da uno stile solenne sin dall’attacco, divenuto proverbiale, che riduce a due monosillabi la più straordinaria delle vite: Ei fu (v. 1). Anche in seguito l’insistenza sul passato remoto contribuisce a fissare in una dimensione di compiutezza la rievocazione delle imprese di Napoleone, il cui nome non viene mai pronunciato.

A innalzare il discorso contribuiscono l’uso degli aggettivi, che spesso ricorrono prima del verbo, in posizione di rilievo (valida venne, pietosa il trasportò), i latinismi (nunzio, solio, coltrice, securo ecc.) e il fitto tessuto di figure retoriche, tra le quali è opportuno segnalare almeno le due estese similitudini* (vv. 1-8; vv. 61-68), le anastrofi*, gli iperbati*, la metafora* tesa a sottolineare la rapidità d’azione di Napoleone (di quel securo il fulmine / tenea dietro al baleno, vv. 27-28).

Allo scopo di sottolineare il vorticoso turbine degli accadimenti è frequente il ricorso all’antitesi* (per esempio due volte nella polvere, / due volte in sull’altar, vv. 47-48; d’inestinguibil odio / e d’indomato amor, vv. 59-60). Per contrasto, ai due estremi dell’ode Manzoni delinea una situazione di stasi, evocando la salma immobile del condottiero, alla quale nella conclusione si accosta Dio.


7 Individua nel testo almeno altri tre esempi di antitesi.


8 In quali punti del testo, e perché, viene usato il presente?


9 Scrivere per esporre. Altri due grandi artisti e intellettuali sono rimasti affascinati dalla figura di Napoleone, il musicista Ludwig van Beethoven e il filosofo Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Svolgi una ricerca sul rapporto tra Napoleone e queste due personalità e illustra i risultati in un testo espositivo di circa 40 righe.

 >> pagina 854 

6 La riflessione sulla lingua

Tra milanese e francese Ai tempi di Manzoni erano in pochi a capire il toscano, e pochissimi in grado di parlarlo, persino fra i ceti colti.

Nella seconda introduzione al Fermo e Lucia, addirittura, Manzoni riconosce nel milanese l’unica lingua «nella quale ardirei promettermi di parlare […] tanto da stancare il più paziente uditore, senza proferire un barbarismo [vocabolo straniero]; e di avvertire immediatamente qualunque barbarismo che scappasse altrui». In realtà l’autore conosce molto bene anche il francese, perfezionato negli anni trascorsi a Parigi e periodicamente esercitato nelle lettere. In una di esse, scritta all’amico Claude Fauriel nel 1806, confessa di aver visto «con un piacere misto d’invidia il popolo di Parigi intendere ed applaudire alle commedie di Molière», mentre in Italia l’eccessivo scarto fra lingua scritta e lingua parlata rende impossibile agli scrittori l’effetto di erudire «la moltitudine, di farla invaghire del bello e dell’utile, e di rendere in questo modo le cose un po’ più come dovrebbono essere».

La scelta del fiorentino Il problema della popolarità del linguaggio, che tormenta Manzoni sin dalla gioventù, diviene pressante nel momento in cui egli inizia a dedicarsi alla stesura del romanzo, rendendosi conto ben presto dell’estrema difficoltà del compito, moltiplicata dalla mancanza di una lingua comune nella penisola e di una norma universalmente riconosciuta.

Di qui i dubbi che accompagnano la transizione dall’eclettismo del Fermo e Lucia al “toscano-milanese” della ventisettana (ovvero l’edizione del 1827), figlio di febbrili consultazioni di vocabolari e altre fonti libresche. Subito dopo, il viaggio a Firenze, con la celebre “risciacquatura dei panni in Arno”, contribuisce a orientare l’autore verso l’uso vivo del ceto colto cittadino. A questa opzione è improntata la revisione linguistica del romanzo, che sfocia nell’edizione definitiva, comparsa in dispense fra il 1840 e il 1842.

 >> pagina 855

Le riflessioni teoriche sulla lingua D’altra parte, alla produzione creativa Manzoni accompagna intense riflessioni teoriche, che avrebbero dovuto convergere nel trattato Della lingua italiana, al quale lavora per decenni, scrivendone cinque redazioni senza mai giungere a un esito ritenuto soddisfacente. Nelle carte di questo «eterno lavoro», pubblicate solo nel XX secolo, lo scrittore articola le sue idee in materia di lingua, ragionando sul concetto di “uso” e confutando le posizioni espresse in merito da puristi e Classicisti. Nelle pagine di Sentir messa, egli insiste sui vantaggi del toscano, unico idioma utilizzato dagli italiani di varia provenienza per comunicare tra loro.

La tesi “fiorentinista” viene pubblicamente espressa e difesa dallo scrittore in interventi più estemporanei, a cominciare dalla Lettera sulla lingua italiana a Giacinto Carena, pubblicata nel 1850, in cui auspica la redazione di un vocabolario dell’uso vivo e caldeggia l’individuazione di una capitale linguistica da assumere a modello. Come il latino fu la lingua di Roma e il francese è la lingua di Parigi, il fiorentino sarà la lingua dell’Italia. L’unità politica non può, secondo Manzoni, prescindere dall’unità linguistica: la nuova nazione dovrà porsi e risolvere il problema. Queste convinzioni impregnano i numerosi interventi, pubblici e privati, che negli anni della vecchiaia Manzoni instancabilmente dedica a una questione che ritiene non puramente estetica, ma innanzitutto sociale e politica.

T9

La Relazione al ministro Broglio

Il ministro della Pubblica istruzione Emilio Broglio, all’inizio del 1868, istituisce una commissione incaricata di occuparsi delle strategie con cui promuovere «in tutti gli ordini del popolo la notizia della buona lingua e della buona pronunzia». Ne affida la presidenza a Manzoni, che in breve tempo consegna e fa stampare su varie riviste una Relazione intorno all’unità della lingua e ai mezzi di diffonderla, dove ribadisce gli orientamenti più volte espressi in precedenza, rimarcando la necessità di una diffusione capillare del fiorentino parlato.

Una nazione dove siano in vigore vari idiomi e la quale aspiri ad avere una lingua

in comune, trova naturalmente in questa varietà un primo e potente ostacolo al

suo intento.

In astratto, il modo di superare un tale ostacolo è ovvio ed evidente: sostituire a

5       que’ diversi mezzi di comunicazione d’idee un mezzo unico, il quale, sottentrando

a fare nelle singole parti della nazione l’ufizio essenziale che fanno i particolari

linguaggi,1 possa anche soddisfare il bisogno, non così essenziale, senza dubbio,

ma rilevantissimo, d’intendersi gli uomini dell’intera nazione tra di loro, il più

pienamente e uniformemente che sia possibile.

10    Ma in Italia, a ottenere un tale intento, s’incontra questa tanto singolare quanto

dolorosa difficoltà, che il mezzo stesso è in questione;2 e mentre ci troviamo

d’accordo nel voler questa lingua, quale poi essa sia, o possa, o deva3 essere, se ne

disputa da cinquecento anni.

Una tale, si direbbe quasi, perpetuità4 di tentativi inutili potrebbe, a prima vista,

far credere che la ricerca stessa sia da mettersi, una volta per sempre, nella gran

classe di quelle che non hanno riuscita, perché il loro intento è immaginario, e il

mezzo che si cerca non vive che nei desideri.

Lontani per sé da un tale scoraggimento,5 e animati dall’autorevole e patriottico

invito del sig. Ministro, i sottoscritti6 non esitano a esprimere la loro persuasione,

20    che il mezzo c’era, come c’è ancora; che il non avere esso potuta esercitare la sua

naturale attività ed efficacia, è avvenuto per la mancanza di circostanze favorevoli,7

senza però, che una tale mancanza abbia potuto farlo dimenticare, né renderlo

affatto inoperoso; e che questa sua debole attività è quella che ha data occasione ai

tanti sistemi che hanno potuto sovrapporglisi come le borraccine e i licheni a un

25    albero che vegeti stentatamente.8

Questo mezzo, indicato dalla cosa stessa, e messo in evidenza da splendidi

esempi,9 è: che uno degl’idiomi, più o meno diversi, che vivono in una nazione,

venga accettato da tutte le parti di essa per idioma o lingua comune […].

In verità, pensando a que’ due gran fatti delle lingue latina e francese, non si

30    può a meno di non ridere della taccia di municipalismo10 che è stata data e si vuol

mantenere a chi pensa che l’accettazione e l’acquisto dell’idioma fiorentino sia il

mezzo che possa dare di fatto all’Italia una lingua comune. Senza il municipalismo

di Roma e di Parigi non ci sarebbe stata, né lingua latina, né lingua francese. […]

Riconosciuta poi che fosse la necessità d’un tal mezzo, la scelta d’un idioma

35    che possa servire al caso nostro, non potrebbe esser dubbia; anzi è fatta. Perché

è appunto un fatto notabilissimo questo: che, non c’essendo stata nell’Italia moderna

una capitale che abbia potuto forzare in certo modo le diverse province a

adottare il suo idioma, pure il toscano, per la virtù d’alcuni scritti famosi al loro

primo apparire, per la felice esposizione di concetti più comuni, che regna in

40    molti altri, e resa facile da alcune qualità dell’idioma medesimo, che non importa

di specificar qui, abbia potuto essere accettato e proclamato per lingua comune

dell’Italia,11 dare generalmente il suo nome (così avesse potuto dar la cosa) agli

scritti di tutte le parti d’Italia, alle prediche, ai discorsi pubblici, e anche privati,

che non fossero espressi in nessun altro de’ diversi idiomi d’Italia. E la ragione

45    per cui questa denominazione sia stata accettata così facilmente, è che esprime

un fatto chiaro, uno di quelli la di cui virtù è nota a chi si sia. Ognuno infatti, che

non sia preoccupato da opinioni arbitrarie e sistematiche,12 intende subito che

per poter sostituire un linguaggio novo a quello d’un paese, bisogna prendere il

linguaggio d’un altro paese.

50    S’aggiunga un altro fatto importante anch’esso, cioè che, o tutti o quasi tutti

quelli che negano al toscano la ragione di essere la lingua comune d’Italia, gli concedono

pure qualcosa di speciale, una certa qual preferenza, un certo qual privilegio

sopra gli altri idiomi d’Italia […].

È da osservarsi, del rimanente, che la denominazione di lingua toscana non

55    corrisponde esattamente alla cosa che si vuole e si deve volere, cioè a una lingua

una; mentre il parlare toscano è composto d’idiomi pochissimo dissimili bensì13

tra di loro, ma dissimili, e quindi non formanti una unità. Ma l’improprietà del

vocabolo non potrà cagionare equivoci, quando si sia, in fatto, d’accordo nel concetto;

in quella maniera che le denominazioni di latino, di francese, di castigliano,

60    quantunque derivate, non da delle città, ma dai territori, non hanno impedito che

per latino s’intendesse il linguaggio di Roma, come, per francese e per castigliano,

s’intendono quelli di Parigi e di Madrid.

Uno poi de’ mezzi più efficaci e d’un effetto più generale, particolarmente nelle

nostre circostanze, per propagare una lingua, è, come tutti sanno, un vocabolario.

65    E, secondo i princìpi e i fatti qui esposti, il vocabolario a proposito14 per l’Italia non

potrebbe esser altro che quello del linguaggio fiorentino vivente.

 >> pagina 857

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Infervorato dall’incarico ricevuto dal ministero, che lo chiama a intervenire operativamente sulla questione che più gli stava a cuore, l’ormai vecchio Manzoni si pone al lavoro e in pochi mesi appronta la Relazione, che suscita accese discussioni. La componente fiorentina della commissione, in particolare, dissente sul ruolo secondario che in essa viene attribuito agli scrittori, ritenuti tradizionalmente modelli fondamentali in materia di lingua. Manzoni, convinto che la questione della lingua nel nuovo contesto nazionale sia un’urgenza sociale prima che una questione letteraria, assegna, come si è detto, un ruolo cruciale alla parlata della classe colta fiorentina. Approva per questo motivo l’invio di maestri toscani in tutto il paese, e incoraggia la compilazione di un vocabolario dell’uso vivo, che bandisca gli usi storici degli autori dei secoli andati e funga da punto di riferimento per una serie di dizionari bilingui, atti a suggerire il corrispondente fiorentino corretto dei termini dialettali.

Il ruolo di Manzoni nel promuovere la sovrapposizione fra italiano e lingua parlata a Firenze (che in quegli anni era capitale del Regno) è senza dubbio decisivo, ma più sotto forma di esempio pratico che come proposta teorica. Già alla fine dell’Ottocento, infatti, I promessi sposi diventano nelle scuole del Regno una fondamentale palestra di lingua. I tormentati ripensamenti linguistici che avevano accompagnato la stesura del romanzo vengono così premiati da un esito che supera ogni più rosea aspettativa.

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Sintetizza il contenuto del brano in circa 5 righe.

Analizzare

2 Individua ed esamina i passi in cui si espongono le ragioni del privilegio accordato al toscano.

Interpretare

3 In che senso Manzoni sminuisce il ruolo degli scrittori in materia di lingua, e per quali motivi?

Produrre

4 Scrivere per esporre. Per ciò che riguarda la lingua, oggi un problema analogo si pone con i numerosi stranieri presenti in Italia che conoscono l’italiano solo in parte. Fai una ricerca sull’argomento e illustra i risultati in un testo espositivo di circa 30 righe.

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I grandi temi di Manzoni

1 La formazione illuministica

le ascendenze familiari: nipote (per parte di madre) di Cesare Beccaria e figlio naturale di Giovanni Verri

l’adesione, a Parigi, all’Illuminismo liberale degli idéologues

lo sviluppo degli ideali democratici ed egualitari, che dopo la conversione non vengono abbandonati ma elaborati in chiave cristiana

la tensione morale: letteratura come servizio per la collettività

i modelli morali e stilistici di Alfieri, Monti, Foscolo, Parini

la fedeltà al «santo Vero» nella pratica letteraria

2 La conversione religiosa

una fede razionale, intesa come strumento di conoscenza e di giudizio sulle cose umane

il rigore morale derivante dall’influsso della corrente giansenista

la fedeltà alla Chiesa pur nel rifiuto del potere temporale dei papi

il messaggio rivoluzionario del Vangelo

l’attenzione verso gli “ultimi”

il pessimismo cristiano: l’uomo è predisposto per natura al peccato e può trovare la salvezza solo attraverso la Grazia

3 La partecipazione al movimento romantico

l’appoggio esterno al movimento romantico milanese

il rifiuto della mitologia e delle unità aristoteliche di tempo e luogo in nome della verosimiglianza

la concezione della letteratura: «l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo»

il “vero poetico”, cioè l’analisi dei sentimenti e dei pensieri, integra il “vero storico” nelle opere d’arte

la dominante ispirazione religiosa nel romanticismo di Manzoni

4 L’impegno politico-patriottico

Manzoni come padre riconosciuto del Risorgimento italiano

la partecipazione defilata agli eventi storici della sua epoca

i sentimenti patriottici e l’adesione ai moti del 1821 e del 1848

5 Storia e Provvidenza

la meditazione sulla Storia come elemento essenziale in tutta l’opera di Manzoni

l’apertura alle masse popolari, normalmente escluse dalle trattazioni storiche

la presenza del male nella Storia: pessimismo giansenistico di Manzoni

il concetto di «provida sventura»: attraverso le umiliazioni e le sconfitte gli uomini conquistano la salvezza

la “iniquità dei tempi”, ovvero le ingiustizie presenti nel contesto storico, non sollevano l’uomo dalle sue responsabilità

6 La riflessione sulla lingua

la ricerca di una lingua nazionale e popolare

le tre redazioni dei Promessi sposi

la riflessione teorica, che si svolge in molte lettere e testi sparsi e nel trattato mai compiuto Della lingua italiana

la scelta del fiorentino parlato dalle persone colte

la prosa di Manzoni come modello linguistico nazionale

la Relazione per il ministro Broglio, in cui si auspica la redazione di un vocabolario della lingua d’uso

Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento