T1 - Il libro dell’universo (Il Saggiatore)

T1

Il libro dell’universo

Il Saggiatore, cap. 6

In questo brano tratto dal Saggiatore Galileo polemizza con il rivale Orazio Grassi, sostenendo che è profondamente sbagliato cercare di studiare la natura attraverso le opinioni di autori di testi letterari, del tutto lontani da preoccupazioni di veridicità. Secondo Galileo, la scienza non ha bisogno della falsa autorità dei libri, ma del contatto diretto con i fenomeni osservati.

Egli1 di nuovo vuol pure ch’io abbia reputato gran mancamento nel padre Grassi2

l’aver egli aderito alla dottrina di Ticone,3 e risentitamente domanda: Chi ei4 doveva 

seguitare?5 forse Tolomeo,6 la cui dottrina7 dalle nuove osservazioni in Marte è

scoperta per falsa?8 forse il Copernico,9 dal quale più presto si deve rivocar ognuno,10

5      mercé dell’ipotesi ultimamente dannata?11 Dove io noto più cose: e prima

replico, ch’è falsissimo ch’io abbia mai biasimato il seguitar Ticone, ancor che con

ragione avessi potuto farlo, come pur finalmente dovrà restar manifesto12 a i suoi

aderenti per l’Antiticone del signor cavalier Chiaramonte;13 sì che14 quanto qui scrive 

il Sarsi, è molto lontano dal proposito; e molto più fuor del caso15 s’introducono

10    Tolomeo e Copernico, de’ quali non si trova che scrivessero mai parola attenente

a distanze, grandezze, movimenti e teoriche di comete,16 delle quali sole, e non

d’altro, si è trattato,17 e con altrettanta occasione vi si potevano accoppiare Sofocle,

e Bartolo, o Livio.18 Parmi,19 oltre a ciò, di scorgere nel Sarsi ferma credenza,20 che

nel filosofare21 sia necessario appoggiarsi all’opinioni di qualche celebre autore, sì

15    che la mente nostra, quando non si maritasse col discorso d’un altro,22 ne dovesse

in tutto rimanere sterile ed infeconda; e forse stima23 che la filosofia sia un libro

e una fantasia d’un uomo, come l’Iliade e l’Orlando furioso, libri ne’ quali la meno

importante cosa è che quello che vi è scritto sia vero. Signor Sarsi, la cosa non istà

così. La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta

20    aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima

non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli24

è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, 

senza i quali mezi25 è impossibile a intenderne umanamente parola;

senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.26

25    Ma posto pur anco,27 come al Sarsi pare, che l’intelletto nostro debba farsi

mancipio28 dell’intelletto d’un altr’uomo […], e che nelle contemplazioni de’ moti

celesti si debba aderire ad alcuno, io non veggo per qual ragione ei s’elegga Ticone,

anteponendolo a Tolomeo e a Nicolò Copernico, de’ quali due abbiamo i sistemi

del mondo interi e con sommo artificio costrutti e condotti al fine;29 cosa ch’io

30    non veggo che Ticone abbia fatta, se già al Sarsi non basta l’aver negati gli altri due

e promessone un altro, se ben poi non esseguito.30

 >> pagina 83 

Analisi ATTIVA

I contenuti tematici

Il brano presenta una vivace critica di Galileo nei confronti della cultura del suo tempo. Mentre padre Grassi, per avanzare le proprie argomentazioni, cerca di appoggiarsi all’opinioni di qualche celebre autore (r. 14), Galileo sostiene che per conoscere la verità è necessario osservare direttamente ciò che ci circonda. Per comprendere l’universo non ci si può dunque affidare alla fantasia d’un uomo (r. 17), ma alle verità che ci offre la matematica, perché la natura segue leggi che possono essere scoperte, comprese e interpretate soltanto attraverso il linguaggio sintetico e analitico dei numeri e delle forme geometriche. Senza questo prezioso strumento di indagine, all’uomo non rimarrebbe che aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto (r. 24), smarrito all’interno di un mondo del tutto incomprensibile.


1 A quale proposito l’autore si riferisce all’Iliade e all’Orlando furioso (r. 17)


2 Quale funzione espressiva svolgono le interrogative dirette delle rr. 2-5?

La conoscenza nasce dunque dalla natura: Galileo mette così in discussione il principio d’autorità, il cosiddetto ipse dixit, l’idea cioè che per procedere nella scienza sia necessario basarsi pedissequamente su concetti non verificati né verificabili, forti soltanto del nome di chi li ha affermati, spesso a partire da una visione erronea del mondo. Il metodo galileiano è invece di tipo induttivo: si deve partire dall’osservazione dei fenomeni concreti per trarne leggi e regole di validità generale.


3 Spiega la metafora presente alle rr. 15-16.


4 Nella frase quando [la mente nostranon si maritasse col discorso d’un altro (r. 15) quale figura retorica riconosci?

  • a Iperbole.
  • b Similitudine.
  • c Metafora.
  • d Sineddoche.
 >> pagina 84 

Le scelte stilistiche

L’immagine centrale del ragionamento galileiano è la metafora* dell’universo come un libro che bisogna saper leggere. Non si tratta di una trovata originale, essendo stata riproposta, in tempi relativamente vicini all’autore, anche dal filosofo umanista Pico della Mirandola e da molti scrittori rinascimentali, tra cui Tommaso Campanella. Tuttavia il concetto acquista qui una forza espressiva nuova nell’evidenziare che la scrittura in un tale libro non deve essere poetica o fantastica, ma razionale e matematica. Impadronirsi di questo linguaggio rappresenta la condizione necessaria per comprendere le leggi dell’universo e la ricchezza della natura in tutta la sua varietà.


5 Spiega, in relazione al contesto, il seguente periodo: La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo) (rr. 19-20).


6 Ricerca sul dizionario l’etimologia e i vari significati del termine artificio (r. 29).

2 La centralità dell’esperienza

L’importanza della tecnica Uno sconvolgimento così rivoluzionario qual è quello portato dalle teorie cosmologiche galileiane si deve a un procedimento sperimentale, che fa convergere in un’unica direzione la scienza e la tecnica o, se si preferisce, la teoria e la pratica: sono le osservazioni astronomiche che Galileo compie mediante l’uso del cannocchiale a permettergli di confutare l’opinione comune, secondo la quale tutti i pianeti e i corpi celesti, a eccezione delle stelle fisse, giravano intorno alla Terra. Nelle opere di Galileo, infatti, le ricerche scientifiche e le acquisizioni tecniche sono strettamente connesse tra loro: l’elaborazione concettuale e speculativa non può rimanere su un piano astratto, ma deve sposarsi con gli esempi pratici e i risultati verificabili. Anzi si può dire che per formulare soluzioni di carattere generale occorre partire sempre dalla risoluzione di problemi concreti.

Galileo “artigiano” Quest’ottica pragmatica matura in Galileo durante la frequentazione degli ambienti produttivi della Repubblica di Venezia, come l’arsenale, dove egli può studiare le soluzioni pratiche escogitate dagli “arsenalotti”, gli operai dei cantieri, che non sempre sono pienamente consapevoli di tutte le possibili applicazioni del loro lavoro. Abbandonando ogni aristocratico disprezzo nei confronti del lavoro manuale e dell’attività degli “artefici”, cioè degli artigiani, degli ingegneri, degli architetti, e anzi scambiando informazioni con loro, Galileo elabora un approccio assolutamente inedito allo studio della realtà naturale.
 >> pagina 85 

Teoria e pratica Già a partire dal suo primo scritto, La bilancetta, composto nel 1586, si può notare come lo scienziato pisano si interessi all’aspetto tecnico e pratico degli esperimenti da lui condotti, assicurandosi perfino di offrire le indicazioni necessarie affinché chiunque li possa riprodurre per conto proprio, verificando così l’affidabilità dei risultati ottenuti. Molti anni dopo, le ricerche contenute nel suo ultimo lavoro, i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, costituiranno «l’atto di nascita di un nuovo sapere», che integra scienza e tecnica in un connubio grazie al quale «un corpus organico di teorie può essere per la prima volta applicato alla ingegneria civile e alla scienza delle costruzioni» (Rossi).

T2

L’invenzione del cannocchiale

Lettera a Leonardo Donato, Padova, 24 agosto 1609

In questa lettera Galileo presenta il telescopio al doge di Venezia, chiedendogli il permesso di commercializzarlo.

Ser.mo Principe,1

Galileo Galilei, humilissimo servo della Ser.à V.a,2 invigilando3 assiduamente et

con ogni spirito4 per potere non solamente satisfare al carico5 che tiene della lettura6 

di Matematica nello Studio di Padova, ma con qualche utile et segnalato

5      trovato7 apportare straordinario benefizio alla S.tà V.a, compare al presente avanti

di quella8 con un nuovo artifizio di un occhiale cavato dalle più recondite speculazioni 

di prospettiva,9 il quale conduce gl’oggetti visibili così vicini all’occhio, et

così grandi et distinti gli10 rappresenta, che quello che è distante, v. g.,11 nove miglia,

ci apparisce come se fusse lontano un miglio solo: cosa che per ogni negozio12 et

10    impresa marittima o terrestre può esser di giovamento inestimabile; potendosi in

mare in assai maggior lontananza del consueto scoprire legni et vele dell’inimico,13

sì che per due hore et più di tempo possiamo prima scoprir lui che egli scuopra

noi, et distinguendo il numero et la qualità de i vasselli,14 giudicare le sue forze,

per allestirsi alla caccia,15 al combattimento o alla fuga; et parimente potendosi in

15    terra scoprire dentro alle piazze,16 alloggiamenti et ripari dell’inimico da qualche

eminenza17 benché lontana, o pure anco nella campagna aperta vedere et particolarmente 

distinguere, con nostro grandissimo vantaggio, ogni suo moto et preparamento; 

oltre a molte altre utilità, chiaramente note ad ogni persona giudiziosa.18

Et pertanto, giudicandolo degno di essere dalla S. V.19 ricevuto et come utilissimo

20    stimato, ha determinato20 di presentarglielo et sotto l’arbitrio suo rimettere il determinare 

circa questo ritrovamento,21 ordinando et provedendo che, secondo che

parerà oportuno alla sua prudenza,22 ne siano o non siano fabricati.

Et questo presenta con ogni affetto il detto Galilei alla S. V., come uno de i frutti

della scienza che esso, già 17 anni compiti,23 professa nello Studio di Padova, con

25    speranza di essere alla giornata per presentargliene de i maggiori, se piacerà al

S. Dio et alla S. V. che egli, secondo il suo desiderio, passi il resto della vita sua al

servizio di V. S.24 Alla quale humilmente si inchina, et da Sua Divina Maestà gli

prega25 il colmo di tutte le felicità.

 >> pagina 86 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

In questa breve epistola, Galileo mette in luce i vantaggi di carattere strategico della sua invenzione, che consistono nella possibilità di scorgere un nemico prima di essere visti da lui, in modo da disporre un’adeguata difesa o da programmare un attacco. Per lo scienziato è di fondamentale importanza riuscire a convincere il doge della bontà del suo ritrovato: se il cannocchiale riscuoterà successo, dalla sua commercializzazione Galileo otterrà grandi vantaggi materiali.

Sebbene affermi che il cannocchiale sia stato cavato dalle più recondite speculazioni di prospettiva (rr. 6-7), in realtà Galileo non disponeva di grandi conoscenze in questo campo. Aveva sentito parlare di quello strano oggetto e aveva capito che per costruirlo avrebbe dovuto fissare una lente concava e una convessa alle due estremità di un tubo, ma non sapeva bene come. Tuttavia, provando e riprovando, alla fine era riuscito a ottenere il risultato sperato.

Anche in questo caso l’esperienza diretta e il metodo sperimentale sono alla base delle conquiste galileiane, fondate su tentativi, errori e nuovi tentativi, guidati da osservazioni empiriche e teorie elaborate in base al calcolo e all’esperienza. Da questo momento in poi la scienza inizia a valersi in modo determinante dell’ausilio della tecnica per rivestire un ruolo nuovo: non più quello di rivelare astruse verità o di disputare intorno alle opinioni degli auctores, ma quello di investigare direttamente la realtà sensibile.

Vale la pena, infine, rilevare un dato inerente la biografia galileiana: parlando di sé in terza persona, lo scienziato si descrive come un devoto servitore della Repubblica di Venezia, disposto a rimanere alle sue dipendenze per tutta la vita. Ma le cose non andranno così: di lì a poco egli tornerà in Toscana.

 >> pagina 87 

Le scelte stilistiche

Galileo si mostra molto ossequioso e sottomesso all’autorità del doge: usa uno stile alto dal punto di vista lessicale (invigilando, r. 2, in luogo di “vigilando”; eminenza, r. 16, in luogo di “altura” ecc.), ma allo stesso tempo umile quanto ai toni, ben lontani da quelli polemici presenti in molti suoi scritti, fino a sfiorare – così diremmo in base alla nostra sensibilità – il servilismo (humilissimo servo, r. 2; humilmente si inchina, r. 27). Tuttavia sarebbe un errore vedere in tali accenti l’espressione di un carattere fiaccato dalla sudditanza nei confronti del potere, poiché essi rispondono, in realtà, a una precisa convenzione di genere, quella dello stile epistolare.

Il genere epistolare, del resto, esalta felicemente l’originalità della prosa di Galileo, sempre efficace, vivace ed espressiva. Poiché all’autore sta a cuore convincere il doge dell’utilità pratica della sua invenzione, non gli interessa tanto esibirsi nella costruzione di periodi retoricamente sostenuti, ma piuttosto andare direttamente al cuore delle questioni che intende sottolineare. Qui, per esempio, lo fa attraverso una struttura sintattica spezzata in modo quasi schematico: si noti, dopo i due punti alla r. 9, l’elenco dei diversi usi possibili del cannocchiale, reso attraverso una serie di frasi separate dal punto e virgola (rr. 9-18). In tal modo il genere epistolare viene piegato da Galileo al suo obiettivo di diffusione delle nuove conoscenze, coniugando la piacevolezza espositiva con il rigore logico-argomentativo.

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 In quale veste Galileo scrive al Doge?

Analizzare

2 Individua nel testo le parti riconducibili alla struttura di una lettera formale.


3 Quali esempi di applicazione dell’uso del cannocchiale vengono portati da Galileo?

Interpretare

4 Galileo dà, nella lettera, dettagliate spiegazioni scientifiche sul funzionamento del cannocchiale? perché?


5 Perché Galileo non presenta il cannocchiale come uno strumento utile per l’osservazione astronomica?


6 Qual è il fine di questa epistola?

3 Scienza e fede

Galileo e la religione Galileo è credente, quindi pensa che la Bibbia non possa in alcun modo affermare cose false. Per lui sia le Scritture sia la natura promanano da Dio, e quindi la fede e la scienza, che derivano necessariamente dal Creatore, sono entrambe veritiere e non possono contraddirsi a vicenda; qualora sembrassero farlo, ciò sarebbe dovuto unicamente a un errore umano nell’interpretazione dei testi sacri. In altre parole, non può esistere un contrasto tra verità scientifiche e verità rivelate dalla Bibbia: eventuali discordanze tra le scoperte scientifiche e le posizioni dei teologi si verificano soltanto a causa di un fraintendimento, da parte di questi ultimi, del vero significato dello specifico passo biblico, perché i teologi non sono tutti ispirati da Dio e quindi possono anche sbagliare.

Le leggi della teologia e le leggi della scienza A differenza della teologia, che è soggetta all’arbitrio degli interpreti della Bibbia, la scienza deve attenersi meticolosamente alle rigide leggi imposte da Dio alla natura, e quindi, se condotta secondo i princìpi che regolano quest’ultima, può essere ancora più affidabile delle Scritture, o meglio delle loro interpretazioni, per quanto riguarda la descrizione e lo studio della realtà fisica. Infatti, mentre «la Scrittura in molti luoghi è non solamente capace, ma necessariamente bisognosa d’esposizioni diverse dall’apparente significato delle parole», la natura è una «osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio» (Lettera a Benedetto Castelli, 21 dicembre 1613), e quindi è più direttamente comprensibile, in quanto per capirla pienamente, se si conoscono le leggi che la governano, non c’è bisogno di alcuna ulteriore interpretazione.
 >> pagina 88

Un passo biblico controverso D’altra parte, per potersi rivolgere a tutti gli uomini la Bibbia si serve di immagini, semplificazioni e metafore che, se non adeguatamente decodificate, possono ingannare i più ingenui e sprovveduti, alimentando in essi false credenze. Proprio una lettura superficiale e distorta della Bibbia costituisce, secondo Galileo, il motivo principale del rifiuto della dottrina copernicana. Si tratta di un brevissimo passo del Libro di Giosuè (10, 12-13), in cui è scritto che Dio fermò il Sole per allungare il giorno e dare agli israeliti il tempo sufficiente a sterminare il popolo degli amorrei. Secondo i teologi, questi versetti biblici forniscono la dimostrazione che il Sole gira intorno alla Terra; infatti, se il Sole non fosse stato in movimento, Dio non avrebbe potuto fermarlo.

L’interpretazione di Galileo Galileo contesta questa interpretazione e cerca di volgere a proprio favore l’argomento utilizzato contro di lui. Secondo lo scienziato, l’autore del testo biblico nel descrivere il miracolo dell’allungamento del giorno ha voluto esprimersi usando termini comprensibili a tutti, anche se non conformi alla realtà dei moti celesti. Del resto, anche qualora si volesse ritenere che quel passo sia la dimostrazione del moto del Sole, esso sarebbe comunque in contrasto con la cosmografia tolemaica, accettata dalla Chiesa, perché nel sistema di Tolomeo la lunghezza del giorno non dipende dal movimento del Sole, ma da quello del “primo mobile” (uno dei cieli della cosmografia tradizionale).
L’autonomia della scienza Quindi, se per adeguare il testo delle Scritture alla cosmografia tradizionale è necessario interpretarle in un senso diverso da quello letterale, allora è dimostrato che la Bibbia non va seguita alla lettera, ma, appunto, interpretata, specialmente quando essa tratta questioni legate alla descrizione del mondo naturale. In tal modo, si potrà capire che la Bibbia non contraddice i risultati della scienza e che quest’ultima può quindi svilupparsi in piena autonomia senza per questo mettersi in conflitto con la Chiesa.

T3

Come va il cielo e come si va al cielo

Lettera a Madama Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana

In questa celebre epistola, scritta tra il febbraio e l’estate del 1615, Galileo espone con precisione il proprio pensiero in merito al rapporto tra fede e scienza.

Il motivo, dunque, che loro1 producono per condennar l’opinione della mobilità

della Terra e stabilità del Sole, è, che leggendosi nelle Sacre lettere, in molti luoghi,

che il Sole si muove e che la Terra sta ferma, né potendo la Scrittura mai mentire o

errare, ne séguita per necessaria conseguenza2 che erronea e dannanda sia3 la sentenza 

5      di chi volesse asserire, il Sole esser per se stesso immobile, e mobile la Terra.

Sopra questa ragione parmi4 primieramente da considerare, essere e santissimamente 

detto e prudentissimamente stabilito, non poter mai la Sacra Scrittura

mentire, tutta volta che5 si sia penetrato il suo vero sentimento; il qual non credo

che si possa negare essere molte volte recondito e molto diverso da quello che suona 

10    il puro significato delle parole.6 Dal che ne séguita, che qualunque volta alcuno,

nell’esporla, volesse fermarsi sempre nel nudo suono literale,7 potrebbe, errando

esso,8 far apparir nelle Scritture non solo contradizioni e proposizioni remote9 dal

vero, ma gravi eresie e bestemmie ancora: poi che sarebbe necessario dare a Iddio

e piedi e mani e occhi, non meno affetti corporali ed umani, come d’ira, di pentimento, 

15    d’odio, ed anco tal volta10 la dimenticanza delle cose passate e l’ignoranza

delle future; le quali proposizioni, sì come, dettante lo Spirito Santo, furono in tal

guisa11 profferite da gli scrittori sacri per accomodarsi alla capacità del vulgo12 assai

rozzo e indisciplinato, così per quelli che meritano d’esser separati dalla plebe13 è

necessario che i saggi espositori14 ne produchino15 i veri sensi, e n’additino le ragioni 

20    particolari per che e’16 siano sotto cotali parole profferiti […].

Di qui mi par di poter assai ragionevolmente dedurre, che la medesima Sacra Scrittura, 

qualunque volta gli è occorso di pronunziare alcuna conclusione naturale,17 e

massime18 delle più recondite e difficili ad esser capite, ella non abbia pretermesso questo 

medesimo avviso,19 per non aggiugnere confusione nelle menti di quel medesimo

25    popolo e renderlo più contumace20 contro a i dogmi di più alto misterio. […]

Stante, dunque, ciò, mi par che nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe 

cominciare dalle autorità di luoghi21 delle Scritture, ma dalle sensate esperienze

e dalle dimostrazioni necessarie: perché, procedendo di pari22 dal Verbo divino la

Scrittura Sacra e la natura, quella23 come dettatura dello Spirito Santo, e questa24

30    come osservantissima25 essecutrice de gli ordini di Dio;26 ed essendo, di più, convenuto27 

nelle Scritture, per accomodarsi all’intendimento dell’universale,28 dir molte

cose diverse, in aspetto e quanto al nudo significato delle parole, dal vero assoluto;

ma, all’incontro,29 essendo la natura inesorabile ed immutabile, e mai non trascendente 

i termini delle leggi impostegli, come quella che nulla cura30 che le sue recondite 

35    ragioni e modi d’operare sieno o non sieno esposti alla capacità degli uomini;

pare che quello degli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone dinanzi a gli

occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser

revocato in dubbio, non che31 condennato, per luoghi della Scrittura che avessero

nelle parole diverso sembiante; poi che non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi 

40    così severi com’ogni effetto di natura,32 né meno eccelentemente ci si scuopre

Iddio negli effetti di natura che ne’ sacri detti delle Scritture33 […].

Non avendo voluto lo Spirito Santo insegnarci se il cielo si muova o stia fermo,

né la sua figura sia in forma di sfera o di disco o distesa in piano, né se la Terra sia

contenuta nel centro di esso o da una banda,34 non avrà manco avuto intenzione

45    di renderci certi di altre conclusioni dell’istesso genere, e collegate in maniera con

le pur ora nominate, che senza la determinazion di esse non se ne può asserire

questa o quella parte;35 quali sono il determinar del moto e della quiete di essa

Terra e del Sole.

E se l’istesso Spirito Santo a bello studio36 ha pretermesso37 d’insegnarci simili proposizioni, 

50    come nulla attenenti alla sua intenzione, ciò è alla nostra salute,38 come si

potrà adesso affermare, che il tener di esse questa parte, e non quella, sia tanto necessario 

che l’una sia de Fide, e l’altra erronea?39 Potrà, dunque essere un’opinione eretica, e

nulla concernente alla salute dell’anime? o potrà dirsi, aver lo Spirito Santo voluto non

insegnarci cosa concernente alla salute? Io qui direi che quello che intesi da persona

55    ecclesiastica costituita in eminentissimo grado, ciò è l’intenzione dello Spirito Santo

essere d’insegnarci come si vadia40 al cielo, e non come vadia il cielo.

 >> pagina 90 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Galileo nota che la Bibbia dà lezioni etiche, non scientifiche; quindi le Sacre Scritture non insegnano come funzionano i corpi celesti (come vadia il cielo, r. 56), ma come salvare la propria anima (come si vadia al cielo, r. 56). Per questo motivo in esse non si trovano disquisizioni astronomiche, ma piuttosto vengono trattati problemi di ordine morale. Quando i testi sacri accennano a fenomeni astronomici o naturali in genere, non pretendono di avere validità scientifica.

Chi ha scritto i vari libri sacri si rivolgeva a un pubblico molto vasto, comprendente anche persone ignoranti. Pertanto i riferimenti alla natura contenuti nella Bibbia non dovevano essere per forza veritieri, ma piuttosto semplici e alla portata di tutti. Perciò nel trattare questioni naturali gli autori dei testi sacri hanno adottato il punto di vista del volgo, assai rozzo e indisciplinato (rr. 17-18).

Se nella Bibbia troviamo un riferimento al moto del Sole, ciò non deriva dal fatto che il Sole si muova davvero, bensì dalla volontà di accordarsi alla visione della realtà propria dell’uomo comune, secondo il quale, appunto, è il Sole a muoversi, mentre la Terra sta ferma: in questo modo i lettori della Bibbia hanno trovato in essa una descrizione della realtà confacente al loro punto di vista. Lo stesso argomento viene usato da Giordano Bruno (1548-1600) nel dialogo La cena de le ceneri (1584) che però Galileo, per prudenza, non cita mai: Bruno era stato infatti condannato per eresia e mandato al rogo dall’Inquisizione romana.

 >> pagina 91 

Verso le COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Riassumi il contenuto della lettera a Cristina di Lorena in circa 5 righe.


2 Spiega il passo contenuto tra le righe 54-56.

analizzare

3 Rintraccia i termini e le espressioni a tuo giudizio più significativi che riguardano l’area semantica del ragionamento e dell’argomentazione.

INTERPRETARE

4 Spiega il motivo per cui non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi così severi com’ogni effetto di natura (rr. 39-40).

Dibattito in classe

5 Trovi che l’argomentazione di Galileo sia valida ancora oggi? perché? Discutine con i tuoi compagni.

4 La scelta del volgare e la forma del dialogo

Uno stile ordinato nel secolo del disordine Lo stile di Galileo non segue le consuetudini espressive proprie del suo tempo: mentre la letteratura barocca ama la bizzarria, l’esagerazione e l’astrusità formale, la prosa dello scienziato pisano è un modello di ordine, di elegante chiarezza e di cristallina perfezione. La ricerca della concretezza non va confusa però con la banalità formale: l’entusiasmo dello scopritore e la combattività del pensatore in lotta con le convenzioni del suo tempo si accompagnano spesso a un’aggettivazione ricca ed efficace, a un’eloquenza polemica e a un’ironia alimentata da metafore e immagini curiose ( p. 101).

L’ideale ariostesco D’altra parte, non dobbiamo dimenticare che, oltre che scienziato, Galileo è anche un letterato: un letterato raffinatissimo, profondo conoscitore della poesia e della prosa cinquecentesca, protagonista in prima persona delle discussioni linguistiche e retoriche che animano la scena culturale coeva. Il suo ideale di comunicazione si rifà al modello di Ariosto, capace di adattarsi con grande varietà ed eleganza allo spirito della civiltà rinascimentale, anche sul difficile piano dei rapporti con il potere; viceversa la scrittura di Tasso gli appare incerta, oscura e artificiosa, emblema di un gusto prebarocco alla vacua ricerca del meraviglioso.

Dal latino al volgare La letteratura rappresenta infatti per Galileo lo specchio di una precisa mentalità e di un determinato orientamento ideologico. La decisione di scrivere in volgare, soprattutto, non rimanda a una semplice scelta estetica, ma piuttosto a un aspetto decisivo della sua “politica culturale”. Mentre, nella sua epoca, i testi scientifici continuano a essere redatti in latino, egli decide di adottare prevalentemente il volgare perché ritiene che la scienza debba essere alla portata di tutti, secondo una prospettiva fortemente anticlassista. Fare uscire la scienza dalla ristretta cerchia degli specialisti significa assicurare a essa un legame più stretto con il mondo della tecnica e dei mestieri, composto da persone spesso poco colte, ma esperte nella soluzione dei problemi pratici.

La ricerca di un ampio pubblico Il messaggio delle grandi scoperte deve, insomma, essere divulgato in forme “democratiche” e giungere con chiarezza agli aristocratici illuminati, ma anche ai borghesi e agli esponenti delle categorie produttive, destinati a uscire dai cantieri e dalle botteghe per acquistare onori, ricchezze e privilegi sulla scena delle società moderne. Non deve sorprendere, dunque, che anche gli avversari di Galileo colgano l’efficacia di tale operazione culturale: i giudici che lo accusano dinanzi al tribunale dell’Inquisizione sottolineano che lo scienziato «non solo arma l’opinione copernicana di argomenti nuovi […], ma lo fa in italiano, lingua […] la più indicata per trascinare dalla sua il volgo ignorante fra cui l’errore fa più facilmente presa».

 >> pagina 92 

L’arte del confronto Alla volontà di far circolare il più possibile le idee e metterle a confronto tra loro si deve, infine, il rinnovamento che Galileo realizza di due generi letterari congeniali alla promozione intellettuale, la lettera e il dialogo. L’epistola, rivolgendosi a destinatari lontani, permette di superare barriere e confini e, allo stesso tempo, di presupporre la presenza di un interlocutore da sollecitare e convincere, anche in modo fittizio, o comunque ben sapendo che si tratta di una comunicazione solo formalmente privata, destinata in ultima istanza alla pubblicazione. Il dialogo consente di sottolineare invece, nel confronto-scontro degli argomenti, il conflitto tra il vecchio e il nuovo: si presta, insomma, a diventare un valido strumento di polemica metodologica, affidando al lettore il compito di riflettere, senza pregiudizi, sulla costante e faticosa ricerca della verità.

T4

Un mondo di carta

Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, Seconda giornata

Nella prima giornata del Dialogo Simplicio, il testardo difensore delle teorie aristoteliche, ha respinto tutte le fondate argomentazioni propostegli dai suoi due interlocutori, i copernicani Salviati e Sagredo. Ora, in apertura della seconda giornata, ribadisce la sua fede incrollabile nella visione imposta dalla tradizione, rivendicando la propria cieca devozione al “principio di autorità”.

simplicio Io vi confesso che tutta questa notte sono andato ruminando le cose di

ieri,1 e veramente trovo di molte belle nuove e gagliarde considerazioni; con

tutto ciò mi sento stringer assai più dall’autorità di tanti grandi scrittori, ed in

particolare…2 Voi scotete la testa, signor Sagredo, e sogghignate, come se io

5      dicessi qualche grande esorbitanza.3

sagredo Io sogghigno solamente, ma crediatemi4 ch’io scoppio nel voler far forza di

ritener5 le risa maggiori, perché mi avete fatto sovvenire6 di un bellissimo caso,

al quale io mi trovai presente non sono molti anni, insieme con alcuni altri

nobili amici miei, i quali vi potrei ancora nominare.

10    salviati Sarà ben che voi ce lo raccontiate, acciò forse il signor Simplicio non continuasse 

di creder d’avervi esso mosse le risa.7

sagredo Son contento. Mi trovai un giorno in casa8 un medico molto stimato in

Venezia, dove alcuni per loro studio, ed altri per curiosità, convenivano9 tal volta 

a veder qualche taglio10 di notomia11 per mano di uno veramente non men

15    dotto che diligente e pratico notomista. Ed accadde quel giorno, che si andava

ricercando l’origine e nascimento de i nervi, sopra di che è famosa controversia

tra i medici galenisti ed i peripatetici,12 e mostrando il notomista come, partendosi13 

dal cervello e passando per la nuca, il grandissimo ceppo14 de i nervi si

andava poi distendendo per la spinale15 e diramandosi per tutto il corpo, e che

20    solo un filo sottilissimo come il refe16 arrivava al cuore, voltosi17 ad un gentil

uomo ch’egli conosceva per filosofo peripatetico, e per la presenza del quale

egli aveva con estraordinaria diligenza scoperto e mostrato il tutto, gli domandò 

s’ei restava ben pago e sicuro, l’origine de i nervi venir dal cervello e non dal

cuore;18 al quale il filosofo, doppo essere stato alquanto sopra di sé,19 rispose:

25    «Voi mi avete fatto veder questa cosa talmente aperta e sensata, che quando il

testo d’Aristotile non fusse in contrario, che apertamente dice, i nervi nascer dal

cuore, bisognerebbe per forza confessarla per vera».20

simplicio Signori, io voglio che voi sappiate che questa disputa dell’origine de i nervi 

non è miga21 così smaltita22 e decisa come forse alcuno si persuade.

30    sagredo Né sarà mai al sicuro, come si abbiano di simili contradittori,23 ma questo

che voi dite non diminuisce punto24 la stravaganza della risposta del Peripatetico, 

il quale contro a così sensata esperienza non produsse altre esperienze o

ragioni d’Aristotile, ma la sola autorità ed il puro ipse dixit.25

simplicio Aristotile non si è acquistata sì grande autorità se non per la forza delle

35    sue dimostrazioni e della profondità de i suoi discorsi: ma bisogna intenderlo,

e non solamente intenderlo, ma aver tanta gran pratica ne’ suoi libri, che se ne

sia formata un’idea perfettissima,26 in modo che ogni suo detto vi sia sempre

innanzi alla mente; perché e’27 non ha scritto per il volgo, né si è obligato a

infilzare i suoi silogismi28 col metodo triviale ordinato,29 anzi, servendosi del

40    perturbato,30 ha messo talvolta la prova di una proposizione fra testi che par

che trattino di ogni altra cosa: e però bisogna aver tutta quella grande idea,31 e

saper combinar questo passo con quello, accozzar32 questo testo con un altro

remotissimo; ch’e’ non è dubbio che chi averà questa pratica,33 saprà cavar da’

suoi libri le dimostrazioni di ogni scibile, perché in essi è ogni cosa.

45    sagredo Ma, signor Simplicio mio, come l’esser le cose disseminate in qua e in là

non vi dà fastidio, e che voi crediate con l’accozzamento e con la combinazione

di varie particelle trarne il sugo, questo che voi e gli altri filosofi bravi farete

con i testi d’Aristotile, farò io con i versi di Virgilio o di Ovidio, formandone

centoni34 ed esplicando con quelli tutti gli affari de gli uomini e i segreti della

50    natura. Ma che dico io di Virgilio o di altro poeta? io ho un libretto assai più

         breve d’Aristotile e d’Ovidio, nel quale si contengono tutte le scienze, e con

pochissimo studio altri se ne può formare una perfettissima idea: e questo è l’alfabeto; 

e non è dubbio che quello che saprà ben accoppiare e ordinare questa

e quella vocale con quelle consonanti o con quell’altre, ne caverà35 le risposte

55    verissime a tutti i dubbi e ne trarrà gli insegnamenti di tutte le scienze e di tutte 

le arti, in quella maniera appunto che il pittore da i semplici colori diversi,

separatamente posti sopra la tavolozza, va, con l’accozzare un poco di questo

con un poco di quello e di quell’altro, figurando36 uomini, piante, fabbriche,

uccelli, pesci, ed in somma imitando tutti gli oggetti visibili, senza che su la

60    tavolozza sieno né occhi né penne né squamme37 né foglie né sassi: anzi pure

è necessario che nessuna delle cose da imitarsi, o parte alcuna di quelle, sieno

attualmente38 tra i colori, volendo39 che con essi si possano rappresentare tutte

le cose; ché40 se vi fussero, verbigrazia,41 penne, queste non servirebbero per

dipignere altro che uccelli o pennacchi.

65    salviati E’ son vivi e sani alcuni gentil uomini che furon presenti quando un dottor

leggente42 in uno Studio famoso, nel sentir circoscrivere il telescopio,43 da sé

non ancor veduto, disse che l’invenzione era presa da Aristotile; e fattosi portare

un testo,44 trovò certo luogo dove si rende la ragione onde avvenga che dal fondo 

d’un pozzo molto cupo si possano di giorno veder le stelle in cielo; e disse a

70    i circostanti: «Eccovi il pozzo, che denota il cannone; eccovi i vapori grossi, da

i quali è tolta l’invenzione de i cristalli; ed eccovi finalmente fortificata la vista

nel passare i raggi per il diafano più denso e oscuro».45

sagredo Questo è un modo di contener tutti gli scibili46 assai simile a quello col

quale un marmo contiene in sé una bellissima, anzi mille bellissime statue; ma

75    il punto sta a saperle scoprire: o vogliam dire che e’ sia simile alle profezie di

Giovacchino47 o a’ responsi degli oracoli de’ gentili,48 che non s’intendono se

non doppo gli eventi delle cose profetizate. […]

simplicio Io credo, e in parte so, che non mancano al mondo de’ cervelli molto

stravaganti, le vanità de’ quali non dovrebbero ridondare in pregiudizio d’Aristotile,49

80    del quale mi par che voi parliate talvolta con troppo poco rispetto; e

la sola antichità, e ’l gran nome che si è acquistato nelle menti di tanti uomini

segnalati, dovrebbe bastar a renderlo riguardevole appresso di tutti i letterati.

salviati Il fatto non cammina50 così, signor Simplicio: sono51 alcuni suoi seguaci 

troppo pusillanimi, che danno occasione, o, per dir meglio, che darebbero

85    occasione, di stimarlo meno, quando noi volessimo applaudere alle loro leggereze.52 

E voi, ditemi in grazia, sete53 così semplice che non intendiate54 che

quando Aristotile fusse stato presente a sentir il dottor che lo voleva far autor

del telescopio, si sarebbe molto più alterato contro di lui che contro quelli che

del dottore e delle sue interpretazioni si ridevano? Avete voi forse dubbio che

90    quando55 Aristotile vedesse le novità scoperte in cielo, e’ non fusse per mutar

opinione e per emendar i suoi libri e per accostarsi alle più sensate dottrine,56

discacciando da sé quei così poveretti di cervello che troppo pusillanimamente57 

s’inducono a voler sostenere ogni suo detto, senza intendere che quando

Aristotile fusse tale quale essi se lo figurano, sarebbe un cervello indocile,58 una

95    mente ostinata, un animo pieno di barbarie, un voler tirannico, che, reputando

tutti gli altri come pecore stolide,59 volesse che i suoi decreti60 fussero anteposti 

a i sensi, alle esperienze, alla natura istessa? Sono i suoi seguaci che hanno

data l’autorità ad Aristotile, e non esso che se la sia usurpata o presa; e perché

è più facile il coprirsi sotto lo scudo d’un altro che ’l comparire a faccia aperta,

100  temono né61 si ardiscono d’allontanarsi un sol passo, e più tosto62 che mettere

qualche alterazione nel cielo di Aristotile, vogliono impertinentemente63 negar

quelle che veggono nel cielo della natura. […]

simplicio Ma quando si lasci Aristotile, chi ne ha da essere scorta nella filosofia?64

nominate voi qualche autore.

105 salviati Ci è bisogno di scorta ne i paesi incogniti e selvaggi, ma ne i luoghi aperti e

piani i ciechi solamente hanno bisogno di guida; e chi è tale, è ben che si resti in

casa, ma chi ha gli occhi nella fronte e nella mente, di quelli si ha da servire per

iscorta.65 Né perciò dico io che non si deva ascoltare Aristotile, anzi laudo66 il

vederlo e diligentemente studiarlo, e solo biasimo il darsegli in preda in maniera 

110 che alla cieca si sottoscriva a ogni suo detto67 e, senza cercarne altra ragione,

si debba avere per decreto inviolabile; il che è un abuso che si tira dietro un

altro disordine estremo, ed è che altri non si applica più a cercar d’intender la

forza delle sue dimostrazioni.68 E qual cosa è più vergognosa che ’l sentir nelle

publiche dispute, mentre si tratta di conclusioni dimostrabili uscir un di traverso 

115 con un testo, e bene spesso scritto in ogni altro proposito, e con esso serrar la

bocca all’avversario? Ma quando pure69 voi vogliate continuare in questo modo

di studiare, deponete70 il nome di filosofi, e chiamatevi o istorici o dottori di

memoria; ché non conviene che quelli che non filosofano mai, si usurpino l’onorato 

titolo di filosofo. Ma è ben ritornare a riva, per non entrare in un pelago

120 infinito,71 del quale in tutt’oggi non si uscirebbe. Però,72 signor Simplicio, venite

pure con le ragioni e con le dimostrazioni, vostre o di Aristotile, e non con testi

e nude autorità, perché i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile,73 

e non sopra un mondo di carta.74

 >> pagina 96 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Il brano si apre con un aneddoto riguardante un anatomista. Sagredo afferma che le parole di Simplicio, il quale si sforza di conciliare le nuove acquisizioni scientifiche con le teorie filosofiche del passato, lo fanno sorridere perché gli ricordano un bellissimo caso (r. 7) occorso durante una lezione di anatomia. In quell’occasione un peripatetico, cioè un seguace della dottrina aristotelica, davanti all’evidente smentita di una teoria relativa al sistema nervoso, affermò che avrebbe creduto a quella evidenza se solo Aristotele non avesse detto il contrario.

All’aneddoto Simplicio replica affermando che i testi di Aristotele dicono sempre la verità, ma sono difficili da interpretare, perché il filosofo greco nelle sue opere ricorre anche ad artifici logici molto complessi e articolati come l’ordine perturbato (r. 40), usato dagli antichi geometri greci. Tramite questo procedimento logico, Aristotele ha messo talvolta la prova di una proposizione fra testi che par che trattino di ogni altra cosa (rr. 40-41); perciò, per comprenderne gli scritti è necessario saper combinare insieme brani di varie sue opere, anche se trattano di argomenti diversi.

Tuttavia, nota Sagredo, un tale procedimento è decisamente privo di fondamento logico, e seguendolo chiunque può far dire qualsiasi cosa a qualsiasi testo, compresi i libri dei poeti e l’alfabeto stesso. Il passo citato si chiude con un invito a non studiare il mondo sui libri, ma direttamente, osservando la natura e i suoi fenomeni.

Il riferimento all’anatomista è probabilmente ispirato dalla forte influenza che esercitò Andrea Vesalio (forma italianizzata del nome del medico fiammingo André Vésale, 1514-1564) sull’ambiente culturale padovano e veneziano frequentato da Galilei. Vesalio è considerato il fondatore dell’anatomia, e proprio a Padova iniziò la carriera. Qui l’aneddoto è introdotto da Galileo per mostrare quanto siano forti le convinzioni degli aristotelici i quali, anche davanti all’evidenza del contrario, continuano a sostenere le posizioni del loro maestro. Qualcosa di simile era accaduto allo stesso Galileo quando, volendo illustrare a filosofi e accademici le prodigiose scoperte del cannocchiale, si era trovato spesso di fronte al loro rifiuto di accettare la realtà dei fatti.

Sebbene sappia che Aristotele ha torto in diverse sue conclusioni, Galileo ne stima comunque la statura intellettuale. Infatti per la comune propensione all’indagine diretta della realtà, egli si sente in qualche modo simile al filosofo greco, ma al tempo stesso lontanissimo dai suoi seguaci, in quanto, secondo lo scienziato pisano, questi ultimi non seguono affatto l’esempio del loro maestro, non essendo interessati a investigare la natura, ma soltanto a ripetere pedissequamente gli scritti aristotelici. In una lettera al suo amico Fortunio Liceti, Galileo scrive: «Io mi rendo sicuro che se Aristotele tornasse al mondo, egli riceverebbe me tra i suoi seguaci».

 >> pagina 97 

Le scelte stilistiche

Fin dalla prima battuta di questo passo si può notare quanto la forma dialogica sia per Galileo funzionale a drammatizzare l’esposizione dei contenuti. L’intervento di Simplicio, infatti, presenta un’interruzione brusca, nel momento in cui l’aristotelico si accorge che, mentre sta parlando, Sagredo sogghigna, trattenendo a stento le risa: Voi scotete la testa, signor Sagredo – esclama Simplicio –, e sogghignate, come se io dicessi qualche grande esorbitanza (rr. 4-5). Questa battuta porta il lettore a immaginare il vivace contesto in cui le parole vengono pronunciate.

È infatti un dialogo avvincente, ricco di momenti ironici e di occasioni di scontro acceso, che fanno emergere la personalità degli interlocutori: l’ironia polemica e canzonatoria di Sagredo (io ho un libretto assai più breve d’Aristotile e d’Ovidio, nel quale si contengono tutte le scienze, e con pochissimo studio altri se ne può formare una perfettissima idea: e questo è l’alfabeto; non è dubbio che quello che saprà ben accoppiare e ordinare questa e quella vocale con quelle consonanti o con quell’altre, ne caverà le risposte verissime a tutti i dubbi e ne trarrà gli insegnamenti di tutte le scienze e di tutte le arti, rr. 50-56); la pacatezza ammonitrice di Salviati, che non rinuncia alla mordace sferzata finale (i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta, rr. 122-123); lo stolido dogmatismo di Simplicio, che non riesce a opporre che inconsistenti preconcetti formalistici.

Verso le COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Perché all’inizio del brano Simplicio è confuso? Quali pensieri lo assillano?


2 A quale scopo Salviati racconta l’aneddoto del cannocchiale?

Analizzare

3 Oltre a quanto già indicato nell’analisi, individua altre parole ed espressioni ironiche.

INTERPRETARE

4 Inserisci nella tabella le argomentazioni di Simplicio e quelle dei suoi due interlocutori.


 Simplicio

Sagredo e Salviati


 


 
   
   


 

5 Per quale motivo certi aristotelici più tosto che mettere qualche alterazione nel cielo di Aristotile, vogliono impertinentemente negar quelle che veggono nel cielo della natura (rr. 100-102)?


6 Individua nel testo tutti i termini di ambito scientifico: quali osservazioni puoi fare, anche considerando il moderno lessico scientifico?

Produrre

7 Scrivere per esporre. Immagina di intervistare i tre personaggi sugli argomenti affrontati nel loro dialogo, in modo da far risaltare i loro diversi punti di vista. Prepara un testo di circa 30 righe.

 >> pagina 98 

I grandi temi di Galileo

1 La visione scientifica della realtà

• la ricerca della verità tramite l’esperienza diretta e l’osservazione dei fenomeni

• l’applicazione del ragionamento matematico all’indagine scientifica

 dal principio di autorità al principio di verificabilità di una teoria

 stile e linguaggio aderenti alla realtà

2 La centralità dell’esperienza

• la connessione tra ricerca scientifica e acquisizioni tecniche

• il rapporto tra elaborazione concettuale e risultati pratici

3 Scienza e fede

 la non contraddizione tra scienza e fede, entrambe emanazioni di Dio

 il fraintendimento delle Sacre Scritture come origine delle discordanze tra scoperte scientifiche e posizioni teologiche

• l’autonomia della scienza dalle leggi teologiche

4 La scelta del volgare e la forma del dialogo

 l’ordine, l’eleganza e la chiarezza dello stile galileiano

 il volgare quale strumento di divulgazione scientifica presso un ampio pubblico

 la lettera e il dialogo come forme congeniali alla circolazione delle idee

Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento