2 - L’io lirico

2 L’io lirico

L’espressione della soggettività La dimensione riflessiva in Foscolo è onnipresente; si traduce in meditazione, approfondimento psicologico incessante, ascolto dell’io profondo, tentativo continuo di definizione di sé che arriva fino all’autocelebrazione. Una parte rilevante della sua produzione costituisce infatti l’espressione della propria soggettività, descrivendo gli impulsi che la determinano: i sonetti, in particolare, si configurano come un vero «libro dell’io» (Palumbo), nel quale anche la Storia, nella sua dimensione pubblica e collettiva, sembra restare in secondo piano, come una realtà esterna di cui il poe­ta registra soprattutto le conseguenze sul piano dell’interiorità. Così sotto la lente d’ingrandimento non va tanto il conflitto con il mondo (il «reo tempo» del sonetto Alla sera) quanto i suoi riflessi sul sentimento individuale, sulle speranze o sui dolori privati.

Autobiografia e letteratura Nelle sue opere poetiche l’io lirico foscoliano scopre la funzione dell’autobiografia come vera e propria avventura esistenziale, da esprimere in un’opera che intreccia inevitabilmente vita e arte, motivi della tradizione letteraria e reinterpretazione personale. Allo stesso tempo però la sua scrittura rifiuta il realismo: la poesia non deve in alcun modo essere “copia del reale”, bensì dominio dell’immaginazione e specchio dell’ideale (concetto che diventerà esplicito nelle Grazie).

Il potere della fantasia È il poeta stesso a descrivere, nel saggio Dell’origine e dell’ufficio della letteratura, il potenziale inesauribile dell’immaginazione umana: «La fantasia, traendo dai secreti della memoria le larve [fantasmi] degli oggetti, e rianimandole con le passioni del cuore, abbellisce le cose che si sono ammirate ed amate; rappresenta piaceri perduti che si sospirano [si rimpiangono]; offre alla speranza, alla previdenza i beni e i mali trasparenti nell’avvenire; […] e quasi per compensare l’umano genere dei destini che lo condannano servo perpetuo ai prestigi dell’opinione ed alla clava della forza, crea le deità del bello, del vero, del giusto, e le adora; crea le grazie, e le accarezza; elude le leggi della morte, e la interroga e interpreta il suo freddo silenzio; precorre le ali del tempo, e al fuggitivo attimo presente congiunge lo spazio di secoli e secoli ed aspira all’eternità; sdegna la terra».

Questo “sdegnare la terra” indica nel contempo il disprezzo per la mediocrità della condizione mortale e l’aspirazione dell’artista a trascendere le costrizioni dell’esistenza contingente, e quindi a superare la semplice espressione di un “reale” piatto e banale. Contro l’incombere della notte e dell’oblio che avvolge gli anni e l’esistenza delle cose e delle persone, all’uomo non resta che affidarsi all’unica forma d’azione capace di lasciare la memoria dell’io: come Foscolo scrive nell’ultimo dei suoi sonetti (Che stai? Già il secol l’orma ultima lascia), l’«arte» e la «fama» che dipende dalle «libere carte» sono gli unici obiettivi a cui egli affida la propria esistenza e il ricordo di sé.

Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento