L’AUTORE nel tempo

L’AUTORE nel tempo

La fortuna di Alfieri è immediata, e le sue tragedie, per più di mezzo secolo, occupano i palcoscenici di tutta Italia, ammirate da spettatori illustri (Napoleone, tra gli altri) e rappresentate dalle più note compagnie teatrali e dagli attori più celebrati, come il fiorentino Paolo Belli Blanes (1774-1823).
L’esaltazione ottocentesca del poeta e dell’uomo

I suoi testi, e in particolar modo le «tragedie della libertà», svolgono un importante ruolo sociale ed educativo nel rafforzare il sentimento dell’identità nazionale italiana: prende così forma un vero e proprio mito di Alfieri, cui si comincia a guardare come maestro di vita e di patriottismo. A crearlo contribuisce più di tutti Ugo Foscolo, che lo raffigura nei Sepolcri come spirito errabondo e anima tormentata, emblema del valore politico della poesia. Ma anche su un piano meramente letterario il magistero alfieriano è decisivo nella formazione di molti illustri poeti e scrittori dell’Ottocento italiano: Giacomo Leopardi, per esempio, esalta lo stile e la lingua dei trattati alfieriani, e nella canzone Ad Angelo Mai celebra la figura dello scrittore astigiano come colui che «in su la scena / mosse guerra a’ tiranni».

La fortuna di Alfieri continua ininterrotta – forse con la sola vistosa eccezione di Manzoni, che lo giudica «non liberale, non patriota, non democratico» – anche per tutto il Risorgimento, durante il quale il poeta gode della stima di personaggi come Vincenzo Gioberti, Carlo Cattaneo, Silvio Pellico e, soprattutto, di Giuseppe Mazzini, che si sofferma a riflettere sulla sua visione pessimistica della vita politica e sociale. Fino a quest’epoca le tragedie e i trattati sono interpretati come vere e proprie opere di libertà, e sull’autore non si registrano sostanziali divergenze di vedute.

Le perplessità di De Sanctis

Il giudizio inizia a problematizzarsi nella seconda metà del secolo, quando agli elogi cominciano ad accompagnarsi le critiche. Francesco De Sanctis sottolinea come nelle sue tragedie Alfieri sia «più preoccupato delle idee che mette in bocca a’ suoi eroi che della loro anima, e della loro personalità», evidenziando dunque la scarsa caratterizzazione dei personaggi, ridotti spesso, a suo avviso, a freddi stereotipi.

Croce e il Novecento

Nel primo Novecento Benedetto Croce riconosce al «furore» di Alfieri un importante valore di innovazione che lo rende sì un figlio dell’Illuminismo, ma – a differenza di Parini – già proiettato verso il nuovo secolo e la sensibilità preromantica. Il critico non manca però di rilevare nella sua opera un eccesso di declamazione retorica, che mina la qualità della poesia.

Nella critica novecentesca successiva a Croce si continuano a mettere in luce gli aspetti libertari, ma si sottolineano anche le incoerenze e le astrattezze della poetica alfieriana, le spinte reazionarie e le pulsioni emotive che spesso sovraccaricano la portata ideologica del pensiero dello scrittore.

Oggi, l’opera di Alfieri può risultare in parte distante dalla sensibilità contemporanea, ma per i suoi aspetti psicologici ed esistenziali essa appare ancora attuale: ciò spiega la valorizzazione, da parte della critica più recente, della componente lirica e problematica della sua produzione, e per contro il ridimensionamento dei miti alimentati dalla temperie risorgimentale (le inquietudini, il titanismo dei personaggi eroici sconfitti in nome di una concezione sublime della libertà, lo sdegno profondo nei confronti della mediocrità altrui), percepiti come frutto di pose eccessivamente retoriche ed esibizionistiche.

Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento