T3 - Come si possa rimediare alla tirannide (Della tirannide)

T3

Come si possa rimediare alla tirannide

Della tirannide, libro II, cap. 7

Nel capitolo qui proposto, dal secondo libro del trattato, Alfieri analizza i due modi principali con cui un regime tirannico può essere abbattuto: l’uso della forza da parte di un uomo di «forte sentire» e la degenerazione del tiranno stesso, il quale, comportandosi in modo sempre più scellerato, finisce per esasperare gli animi fino alla rottura dell’equilibrio su cui si reggeva il suo potere. L’autore si scaglia anche contro il dispotismo illuminato e la tirannide moderata, sistemi di governo che all’epoca venivano invece esaltati da molti intellettuali illuministi. Per Alfieri, infatti, la tirannide non è meno pericolosa quando è moderata; lo è anzi di più, perché sottrae goccia a goccia il sangue ai sudditi, in forma subdola e corruttrice, invece di abbandonarsi agli eccessi e quindi rendersi palese. La tirannide, insomma, è un male in sé, sotto qualunque aspetto si presenti, perché toglie all’essere umano quello che ha di più prezioso: l’istinto della libertà e l’impulso a compiere azioni generose.

La volontà, o la opinione di tutti o dei più, mantiene sola la tirannide: la volontà

e l’opinione di tutti o dei più, può sola veramente distruggerla. Ma, se nelle nostre

tirannidi l’universale non ha idea d’altro governo, come si può egli arrivare ad

infondere in tutti, o nei più, questo nuovo pensiero di libertà?1 Risponderò, piangendo,2

5      che mezzo brevemente efficace a produr tale effetto, nessuno ve ne ha; e 
che ne’ paesi dove la tirannide da molte generazioni ha preso radice, moltissime ve

ne vuole prima che la lenta opinion la disvelga.3

E già mi avveggo, che in grazia di questa fatal verità, mi perdonano i tiranni

europei tutto ciò che finora intorno ad essi mi è occorso di ragionare.4

10    Ma, per moderare alquanto questa loro non meno stolta che inumanissima gioja, osserverò;

che ancorché non vi siano efficaci e pronti rimedj contro la tirannide, ve ne

sono molti tuttavia ed uno principalissimo, rapidissimo, ed infallibile, contra i

tiranni.5

Stanno i rimedj contro al tiranno in mano d’ogni qualunque più oscuro privato:6

15    ma i più efficaci e brevi e certi7 rimedj contra la tirannide, stanno (chi ’l

crederebbe?) in mano dello stesso tiranno: e mi spiego. Un animo feroce e libero,8

allor quando è privatamente oltraggiato, o quando gli oltraggi fatti all’universale

vivissimamente il colpiscono, può da sé solo in un istante e con tutta certezza efficacemente

rimediare al tiranno, col ferro:9 e, se molti di questi animi allignassero

20    nelle tirannidi, ben presto anco la moltitudine stessa cangierebbe il pensiero,10

e si verrebbe così a rimediare ad un tempo stesso alla tirannide. Ma, siccome gli

animi di una tal tempra sono cosa rarissima, e principalmente in questi scellerati

governi;11 e siccome lo spegnere12 il solo tiranno null’altro opera per lo più, che

accrescere la tirannide;13 io sono costretto, fremendo, a scrivere qui una durissima

25    verità; ed è, che nella crudeltà stessa, nelle continue ingiustizie, nelle rapine, e nelle

atroci disonestà del tiranno, sta posto14 il più breve, il più efficace, il più certo

rimedio contra la tirannide. Quanto più reo e scellerato è il tiranno, quanto più

oltre spinge manifestamente l’abuso dell’abusiva sua illimitata autorità; tanto più

lascia egli luogo a sperare, che la moltitudine finalmente si risenta; e che ascolti ed

30    intenda e s’infiammi del vero; e ponga quindi solennemente fine per sempre a un

così feroce e sragionevol15 governo. È da considerarsi, che la moltitudine rarissimamente

si persuade della possibilità di quel male che ella stessa provato non abbia,

e lungamente provato:16 quindi gli uomini volgari la tirannide non reputano per

un mostruoso governo, finché uno o più successivi mostri imperanti non ne han

35    fatto loro funesta ed innegabile prova con mostruosi eccessi inauditi.

Se in verun conto mai17 un buon cittadino potesse divenire ministro d’un tiranno,

ed avesse fermato in sé stesso il sublime pensiero di sagrificare la propria

vita, e di più anche la propria fama, per sicuramente ed in breve tempo spegnere

la tirannide, costui non avrebbe altro migliore né più certo mezzo, che di consigliare

40    in tal modo il tiranno, di secondare e perfino talmente instigare la sua

tirannesca natura, che abbandonandosi egli ad ogni più atroce eccesso rendesse

ad un tempo del pari la sua persona e la sua autorità odiosissima e insopportabile

a tutti. E dico io espressamente queste tre parole; La sua persona, la sua autorità, e

a tutti; perché ogni eccesso privato del tiranno non nuocerebbe se non a lui stesso;

45    ma ogni pubblico eccesso, aggiuntosi ai privati, egualmente a furore movendo

l’universale e gl’individui, nuocerebbe ugualmente alla tirannide ed al tiranno; e li

potrebbe quindi ad un tempo stesso interamente entrambi distruggere.18 Questo

infame ed atrocissimo mezzo (che io primo il conosco per tale)19 indubitabilmente

pure sarebbe, come sempre lo è stato, il solo efficace e brevissimo mezzo ad

50    una impresa così importante e difficile. Inorridito ho nel dirlo; ma vie più20 inorridisco

in pensare quai siano questi governi, ne’ quali se un uomo buono operar

pur volesse colla maggior certezza e brevità il sommo bene di tutti, si troverebbe

costretto a farsi prima egli stesso scellerato ed infame, ovvero a desistersi dall’altramente

ineseguibile impresa. Quindi è, che un tal uomo non si può mai ritrovare;

55    e che questo sopraccennato rapido effetto dell’abuso della tirannide non si può

aspettare se non per via di un ministro scellerato davvero. Ma questi, non volendo

perdere del proprio altro che la fama (che già per lo più mai non ebbe); e volendo

egli assolutamente conservare la usurpata autorità, le prede, e la vita; questi lascierà

bensì diventare il tiranno crudele e reo quanto è necessario per fare infelicissimi i

60    sudditi, ma non mai a quell’eccesso che si bisognerebbe per tutti destargli a furore

e a vendetta.21

Da ciò proviene, che in questo mansuetissimo secolo cotanto si è assottigliata22

l’arte del tiranneggiare, ed ella (come ho dimostrato nel primo libro) si appoggia

su tante e così ben velate e varie e saldissime basi, che non eccedendo i tiranni, o

65    rarissimamente eccedendo i modi coll’universale, e non gli eccedendo quasiché

mai co’ privati, se non sotto un qualche velo di apparente legalità, la tirannide si è

come assicurata in eterno.

Or ecco, ch’io già mi sento dintorno gridare: «Ma, essendo queste tirannidi

moderate e soffribili, perché con tanto calore ed astio svelarle e perseguirle?». Perché

70     non sempre le più crudeli ingiurie son quelle che offendono più crudelmente;

perché si debbono misurare i mali dalla loro grandezza e dai loro effetti, più che

dalla lor forza; perché, in somma, colui che ti cava ogni giorno poche oncie23 di

sangue ti uccide a lungo andare ugualmente che colui che ad un tratto ti svena, ma

ti fa stentare assai più. Tutte le facoltà dell’animo nostro intorpidite; tutti i diritti

75    dell’uomo menomati o ritolti;24 tutte le magnanime volontà impedite o deviate

dal vero; e mille e mille altre simili continue offese, che troppo lungo e pomposo

declamatore parrei, se qui ad una ad una annoverarle volessi; ove la vita vera

dell’uomo consista nell’anima e nell’intelletto, il vivere in tal modo tremando, non

è egli un continuo morire? E che rileva25 all’uomo, che nato si sente al pensare e

80    all’operare altamente, di conservare tremante la vita del corpo, gli averi, e l’altre

sue cose (e queste né anco sicure) per poi perdere, senza speranza di riacquistarli

giammai, tutti, assolutamente tutti, i più nobili e veri pregi dell’anima?

 >> pagina 493 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

La riflessione politica di Alfieri è radicale quanto utopica: egli disprezza il dispotismo con tutto sé stesso, ma non approda alla proposta di un sistema politico alternativo; non ragiona sulle possibili vie che la politica potrebbe perseguire per costruire un sistema di governo nuovo né, tanto meno, è animato da uno spirito di riforma che possa correggere e migliorare lo stato presente delle cose.

Alfieri è infuocato da un’idea distruttiva, vagheggiata però in termini piuttosto astratti. Per abbattere la tirannide non si può fare affidamento sull’universale (r. 3), cioè sul popolo, sulla moltitudine, sempre dipinta come cieca, sorda e destinata a subire in eterno l’oppressione del potere; la speranza è semmai riposta nelle mani di pochi individui dotati di un animo feroce e libero (r. 16), capaci di eliminare fisicamente il tiranno. Ma si tratta di una soluzione illusoria: un nuovo tiranno, reso ancor più crudele dalla paura di perdere il potere e la vita, sostituirebbe il primo.

La vera soluzione sta allora nell’azione degli stessi tiranni che, divenendo irragionevoli e sfrenati nel loro esercizio del potere, possono portare il popolo all’esasperazione e alla rivolta. Per argomentare questi passaggi del suo pensiero, Alfieri presenta delle situazioni ipotetiche e paradossali: solo un buon cittadino (r. 36) che si facesse ministro di un tiranno potrebbe spingere costui all’eccesso; ma una tale figura di uomo buono (r. 51) non esiste, perché si troverebbe costretto a farsi prima egli stesso scellerato ed infame (rr. 52-53); d’altra parte, un ministro scellerato davvero (r. 56) non spingerebbe il tiranno alla rovina, sapendo che la fine del despota sarebbe anche la sua. Questi paradossi sono funzionali al rigore dell’argomentazione, e mostrano come i punti di riferimento dell’analisi politica alfieriana siano il razionalismo classico e la spregiudicatezza di Machiavelli, mentre la sua sfiducia verso il popolo è indice di un pessimismo che ha le proprie radici culturali nel pensiero reazionario. Il risultato di questa concezione è l’individuazione della più grande minaccia nel dispotismo illuminato e nella tirannide moderata, ossia in quei governi, allora diffusi in Europa, che mascherano e attenuano le forme esteriori dell’autorità, assicurandosi, proprio in virtù di questa mancanza di gesti estremi, una lunga durata.

>> pagina 494

Le scelte stilistiche

La scrittura trattatistica di Alfieri è carica di tensione, finalizzata com’è a persuadere e a scaldare l’animo dei lettori. In questo passo, come in altri brani della stessa opera, essa si sviluppa con un tono incalzante, accompagnata da un uso insistito del polisindeto* (La volontà, o la opinione di tutti o dei più, mantiene sola la tirannide: la volontà e l’opinione di tutti o dei più, può sola veramente distruggerla, rr. 1-2) che conferisce al testo un ritmo sostenuto. Il procedere del discorso è quello tipico delle dimostrazioni: il ritmo rallenta quando l’autore vuole puntualizzare meglio le sue tesi; si trovano allora anche delucidazioni e domande retoriche, con un frequente uso dei due punti. Il lessico è di facile comprensione; qualche difficoltà nella lettura può invece essere generata dall’alto numero di inversioni* e dalla preferenza per un ordine sintattico non lineare (mezzo brevemente efficace a produr tale effetto, nessuno ve ne ha, r. 5). Quest’ultima caratteristica formale risponde da un lato alla ricerca di uno stile oratorio alto, che ha i suoi modelli nella prosa latina, dall’altro alla tendenza alla concisione e alla concentrazione espressiva tipica anche delle tragedie.

In alcuni passaggi è particolarmente evidente il coinvolgimento emotivo dell’autore: per esempio quando afferma che mi perdonano i tiranni europei tutto ciò che finora intorno ad essi mi è occorso di ragionare (rr. 8-9), cioè che rinunciano a perseguitarlo, avendo egli dimostrato la saldezza del loro potere; oppure quando dichiara di dire piangendo (rr. 4-5) la verità che ha compreso. Il tono neutro di un’esposizione che vuole presentarsi come oggettiva è dunque abilmente variato da componenti maggiormente espressive per ottenere l’adesione psicologica dei lettori.

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 In che modo, secondo Alfieri, può essere abbattuto un regime tirannico?


2 Perché l’autore preferisce una tirannide estrema e violenta a una moderata?


3 Fai la parafrasi delle rr. 14-16.

 >> pagina 495 

Analizzare

4 Trova nel testo alcuni esempi di sintassi non lineare (anastrofi, iperbati, asimmetrie).


5 Evidenzia altri passaggi (oltre a quelli segnalati nell’analisi) in cui emerga il coinvolgimento emotivo dello scrittore.

interpretare

6 A quale secolo si riferisce l’espressione mansuetissimo secolo (r. 62)? E perché viene definito mansuetissimo?

Produrre

7 Scrivere per esporre. Tra i casi più recenti di tirannie rovesciate si possono annoverare gli eventi delle cosiddette “primavere arabe” del 2010 e 2011. Svolgi una ricerca sull’argomento e illustra il fenomeno, evidenziandone gli aspetti positivi ma anche le conseguenze negative, in un testo espositivo-argomentativo di circa 30 righe.

Dibattito in classe

8 Nel passo che hai letto, Alfieri giustifica l’uso della forza e della violenza quando lo scopo è l’abbattimento di un tiranno: sei d’accordo con lui o ritieni che bisognerebbe tentare prima altre strade? Discutine con i compagni

3 Il rifiuto del proprio tempo

Uno scrittore appartato Dopo la conversione letteraria, la cifra esistenziale di Alfieri è la solitudine. L’isolamento in cui il poeta si chiude appare come una rivendicazione di unicità rispetto alla massa e al proprio tempo; la stessa scelta del genere tragico – di cui in Italia si deplorava a quel tempo la decadenza ma a cui nessuno aveva trovato il coraggio di accostarsi per recuperarne il prestigio – è una scelta programmatica di originalità e indipendenza, che rimarca l’eccezionalità dell’artista, incline a esprimersi con modalità personali e a cimentarsi in generi poco frequentati.

Una ribellione integrale Questo sdegnoso isolamento deve però essere interpretato anche alla luce dei cambiamenti sociali in atto all’epoca. La ribellione di Alfieri nasce infatti, come si legge nell’incipit della Vita, dalla cappa soffocante rappresentata dalla provincia piemontese in cui egli è nato, circondato da un’aristocrazia incapace di rinnovarsi in un momento di profonde trasformazioni sociali, nell’ambito delle quali la borghesia va assumendo un ruolo sempre più preponderante sul piano economico e politico.

Dall’altra parte, Alfieri non riesce a farsi interprete delle spinte riformistiche che attraversano il secolo dei Lumi. Il suo rapporto con il pensiero illuministico emerge bene dai suoi trattati: esso rappresenta inizialmente una fonte di ispirazione, ma gli elementi razionali vengono presto superati da aspetti emotivi, esistenziali e psicologici che nulla hanno a che spartire con lo spirito empirico dei philosophes.

Una letteratura dell’io Assetato di alte imprese e dotato di superba e indomita volontà, Alfieri supera il razionalismo settecentesco per dedicarsi invece a una letteratura soggettiva, che pone al centro sentimenti, movimenti dell’animo, aspirazioni, desideri e frustrazioni dell’individuo. Se la sua ideologia politica si rivela antiquata, indecisa com’è tra ribellismo utopistico e posizioni conservatrici, gli aspetti esistenziali e psicologici costituiscono un elemento di novità della sua opera, dando voce alle tendenze preromantiche che si stanno imponendo alla fine del Settecento, e di cui il poeta avverte per primo, in Italia, la forza. Si spiega così la predilezione, nelle tragedie e nelle Rime, per l’individualismo e gli slanci titanici, che esaltano i gesti eclatanti dei protagonisti o dell’io poetico.

Questo nuovo spazio assegnato al mondo interiore dei personaggi ha reso Alfieri un vero e proprio precursore della sensibilità romantica. Non è un caso che proprio dai Romantici egli sarà amato, se non addirittura idolatrato, in un processo di mitizzazione che contribuirà a cristallizzare l’immagine del poeta come eroe ribelle.

 >> pagina 496 
Verso una letteratura psicologica L’originalità di Alfieri non si riduce comunque all’anticipazione di alcune importanti istanze romantiche. Nelle tragedie, ma anche nei trattati e nelle Rime, sono molti i momenti in cui la brama di libertà diventa desiderio di affermazione di sé, frustrato però da leggi e vincoli che non consentono la realizzazione individuale. Sotto questo aspetto, la letteratura alfieriana intende riflettere una profonda impotenza e incapacità di vivere: in essa si trovano espresse, sia pur trasfigurate da un ego debordante, le problematiche psicologiche che legano l’essere umano alle proprie incertezze, facendolo sprofondare nella malinconia e in un destabilizzante senso di vuoto e di solitudine.

T4

Sublime specchio di veraci detti

Rime, 167

In questo sonetto del 1786 il poeta delinea un proprio autoritratto, in cui alla descrizione dell’aspetto fisico segue quella del carattere e della psicologia.


Metro Sonetto.
 Asset ID: 116941 (let-altvoc-sublime-specchio-di-ver50.mp3

Audiolettura

Sublime specchio di veraci detti,

mostrami in corpo e in anima qual sono:

capelli, or radi in fronte, e rossi pretti;

4      lunga statura, e capo a terra prono;


sottil persona in su due stinchi schietti;

bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono;

giusto naso, bel labro, e denti eletti;

8      pallido in volto, più che un re sul trono:


or duro, acerbo, ora pieghevol, mite;

irato sempre, e non maligno mai;

11    la mente e il cor meco in perpetua lite:


per lo più mesto, e talor lieto assai,

or stimandomi Achille, ed or Tersite:

14    uom, se’ tu grande, o vil? Muori, e il saprai.

 >> pagina 497 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

In questo celebre sonetto, l’esaltazione della propria personalità esemplare si traduce nella convenzionale costruzione di un autoritratto ideale. Il componimento inaugura il fortunato genere della descrizione di sé, in cui si cimenteranno – per non fare che gli esempi più illustri – Ugo Foscolo e Alessandro Manzoni, l’inglese George Byron e il francese François-René de Chateaubriand, indicando proprio questa lirica come modello.

Il testo è divisibile in due parti. Nelle quartine* compare un lungo elenco di qualità fisiche che descrivono l’autore: Alfieri ha capelli rossi ormai diradati, è alto, tiene il capo abbassato in segno di meditazione o forse perché chino sui libri, è magro, di carnagione chiara, ha occhi azzurri e, nel complesso, ha un aspetto che definisce sano.

Il pallore del volto, paragonato a quello di un re sul trono, prepara la seconda parte, in cui si analizza il carattere. La costruzione della frase si basa qui (si vedano i vv. 9-10) sull’accostamento di aggettivi appartenenti allo stesso campo semantico ma di significato opposto. Il poeta delinea così la propria indole soggetta a repentini cambi di umore (proprio come quella degli eroi delle sue tragedie): a tratti brusco e a tratti mite, sempre adirato ma mai malvagio e, soprattutto, con una parte razionale e una emotiva (mente e cor, v. 11) in perenne contrasto. L’umore oscilla dalla tristezza alla gioia, dall’autoesaltazione (quando si sente un Achille indomito e trionfante) al disprezzo di sé (quando si paragona invece al vile Tersite, che nell’Iliade sobilla la massa contro i re ma finisce per essere ridicolizzato dall’esercito greco: un’identificazione, questa, che forse assillava l’autore, abituato a inveire contro monarchi e tiranni).

Alla luce di questa descrizione Alfieri propone, in chiusura, una sentenza che va oltre l’ambito autobiografico: egli sostiene che il giudizio definitivo sul carattere di un individuo si possa stabilire soltanto al momento della morte. L’affermazione di carattere generale trasporta così l’autorappresentazione di sé in una dimensione più ampia e assoluta.

Le scelte stilistiche

La solennità del testo è resa dalla presenza di molte figure retoriche. Dopo l’apostrofe* del primo verso, segue un’enumerazione* che occupa le due quartine e forma una compatta sequenza descrittiva, conclusa dall’efficace metafora* del re sul trono (v. 8), un richiamo diretto al tema della tirannide ricorrente in tutta l’opera alfieriana. Nelle terzine* domina invece l’antitesi* degli aggettivi (duro e acerbo contro pieghevol e mite, v. 9; irato opposto a non maligno, v. 10; mesto contro lieto, v. 12, e così via), rimarcata dall’antonomasia* di Achille e Tersite (v. 13).

 >> pagina 498 

Verso le COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Fai la parafrasi del sonetto.


2 Quale tipo di carattere emerge dalla lirica?


3 Quali colori prevalgono nella descrizione dell’aspetto fisico?

ANALIZZARE

4 Ricava lo schema delle rime.


5 A quali campi semantici fa riferimento il lessico utilizzato?


6 In bianca pelle, occhi azzurri (v. 6) c’è una figura retorica. Quale?

  • a Chiasmo.
  • b Climax.
  • c Metafora.
  • d Iperbato.

INTERPRETARE

7 C’è corrispondenza tra la descrizione fisica e quella caratteriale? Motiva la tua risposta.

Produrre

8 Scrivere per argomentare. Osserva a p. 497 il celebre ritratto di François- Xavier Fabre di Vittorio Alfieri. Rispetto al ritratto “a parole” fornito dal sonetto, quali somiglianze e differenze noti? Per quali motivi, secondo te? Scrivi al riguardo un testo espositivo-argomentativo di circa 20 righe.


9 Scrivere per descrivere. Sull’esempio della poesia, scrivi un tuo autoritratto di circa 15 righe in cui vi sia spazio sia per la descrizione fisica sia per quella del carattere e della psicologia.

T5

La fuga da Parigi

Continuazione della quarta epoca, cap. 22

Nell’ultima epoca della Vita Alfieri appare un uomo diverso da quello delle parti precedenti. Nel racconto della sua fuga da una Parigi agitata dai rivoluzionari si può notare come il carattere dello scrittore sia diventato ancor più sdegnoso, essendosi egli attestato su posizioni fortemente reazionarie che lo spingono a una furiosa invettiva contro la Rivoluzione del 1789.

Fuga di Parigi, donde per le Fiandre e tutta la Germania tornati in Italia ci fissiamo in Firenze.


Impiegati, o perduti circa due mesi in cercare, ed ammobiliare una nuova casa,

nel principio del ’92 ci tornammo1 ad abitare; ed era bellissima e comodissima. Si

sperava ogni giorno, che verrebbe quello di un qualche sistema di cose soffribile;2

5      ma più spesso ancora si disperava che omai sorgesse un tal giorno. In questo stato

di titubazione,3 la mia donna4 ed io (come anche tutti, quanti n’erano allora in

Parigi ed in Francia, o ci aveano che fare pe’ loro interessi), andavamo strascinando

il tempo.5 Io fin da due anni e più innanzi, avea fatto venir di Roma tutti i miei

libri lasciativi nell’83, e da allora in poi li avea anche molto accresciuti sì6 in Parigi,

10    che in quest’ultimo viaggio di Inghilterra, e d’Olanda. Onde per questa parte poco

mi mancava ad avere ampiamente tutti i libri, che mi potessero esser utili o necessarj

nella ristretta mia sfera letteraria. Onde tra i libri, e la cara compagna, nessuna

consolazione domestica mi mancava; solamente mancavaci la speranza viva, e la

verisimiglianza che ciò potesse durare. Questo pensiero mi sturbava7 da ogni occupazione,

15    e mi tiravo innanzi per traduttore nel Virgilio e Terenzio,8 non potendo far

altro. Frattanto, né in quest’ultimo, né all’anteriore9 mio soggiorno in Parigi io non

volli mai né trattare, né conoscere pur di vista nessuno di quei tanti facitori di falsa

libertà,10 per cui mi sentiva la più invincibile ripugnanza, e ne aveva il più alto disprezzo.

Quindi anche sino a questo punto, in cui scrivo da più di quattordici anni

20    che dura questa tragica farsa,11 io mi posso gloriare di esser vergine di lingua di orecchi,

e d’occhi perfino, non avendo mai né visto, né udito, né parlato con qualunque

di codesti schiavi dominanti francesi, né con nessuno dei loro schiavi serventi.

Nel marzo di quell’anno ricevei lettere di mia madre, che furon l’ultime: ella vi

esprimeva con caldo e cristiano affetto molta sollecitudine di vedermi,12 diceva, «in

25    paese,13 dove sono tanti torbidi;14 dove non è più libero l’esercizio della cattolica

religione, e dove tutti tremano sempre, ed aspettano continui disordini e disgrazie».

Pur troppo bene diceva, e presto si avverò; ma quando mi ravviai verso l’Italia,

la degnissima e veneranda matrona non esisteva più. Passò di questa vita il dì 23 

aprile 1792, in età di anni settanta compiuti.

30    Erasi frattanto rotta la guerra coll’imperatore,15 che poi divenne generale e fune-

sta. Venuto il giugno, in cui si tentò già di abbattere intieramente il nome del Re,16

che altro più non rimaneva; la congiura di quel giorno 20  giugno17 essendo andata

fallita, le cose strascinarono ancora malamente sino al famoso dieci d’agosto,18 in cui

la cosa scoppiò come ognuno sa.

35    Accaduto quest’avvenimento, io non indugiai più neppure un giorno, e il mio

primo ed unico pensiero essendo di togliere da ogni pericolo la mia donna, già

dal dì 12 feci in fretta in fretta tutti i preparativi per la nostra partenza. Rimaneva

la somma difficoltà dell’ottenere passaporti per uscir di Parigi, e del regno. Tanto

c’industriammo19 in quei due o tre giorni, che il dì 15, o 16, già gli avevamo ottenuti

40    come forestieri, prima dai Ministri di Venezia io, e di Danimarca la Signora,

che erano quasi che i soli Ministri esteri rimasti presso quel simulacro di Re.20

Poi con molto più stento si ottenne dalla sezione nostra comunitativa21 detta du

Montblanc degli altri passaporti, uno per ciascheduno individuo, sì per noi due,

che ogni servitore, e cameriera, con la pittura22 di ciascuno, di statura, pelo,23 età,

45    sesso, e che so io. Muniti così di tutte queste schiavesche patenti,24 avevamo fissato

la partenza nostra pel lunedì 20  agosto; ma un giusto presentimento, trovandoci

allestiti,25 mi fece anticipare, e si partì il dì 18, sabato, nel dopo pranzo. Appena

giunti alla Barrière Blanche, che era la nostra uscita la più prossima per pigliar

la via di San Dionigi per Calais,26 dove ci avviavamo per uscire al più presto di

50    quell’infelice paese; vi ritrovammo tre o quattro soli soldati di guardie nazionali,

con un uffiziale, che visti i nostri passaporti, si disponeva ad aprirci il cancello di

quell’immensa prigione,27 e lasciarci ire a buon viaggio.28 Ma v’era accanto alla

Barriera una bettolaccia,29 di dove sbucarono fuori ad un tratto una trentina forse

di manigoldi della plebe, scamisciati, ubriachi, e furiosi. Costoro, viste due carrozze

55    che tante n’avevamo, molto cariche di bauli, e imperiali,30 ed una comitiva

di due donne di servizio, e tre uomini, gridarono che tutti i ricchi se ne voleano

fuggir di Parigi, e portar via tutti i loro tesori, e lasciarli essi nella miseria e nei

guai. Quindi ad altercare31 quelle poche e tristi guardie con quei molti e tristi birbi,32

esse per farci uscire, questi per ritenerci.33 Ed io balzai di carrozza fra quelle

60     turbe,34 munito di tutti quei sette passaporti, ad altercare, e gridare, e schiamazzar

più di loro; mezzo col quale sempre si vien a capo dei Francesi. Ad uno ad uno si

leggevano, e facevano leggere da chi di quelli legger sapeva, le descrizioni delle nostre

rispettive figure. Io pieno di stizza e furore, non conoscendo in quel punto,35

o per passione sprezzando l’immenso pericolo, che ci soprastava, fino a tre volte

65    ripresi in mano il mio passaporto, e replicai ad alta voce: «Vedete, sentite; Alfieri

è il mio nome; Italiano e non Francese; grande, magro, sbiancato; capelli rossi,

son io quello, guardatemi; ho il passaporto; l’abbiamo avuto in regola da chi lo

può dare; e vogliamo passare, e passeremo per Dio». Durò più di mezz’ora questa

piazzata, mostrai buon contegno, e quello ci salvò. Si era frattanto ammassata più

70    gente intorno alle due carrozze, e molti gridavano: «Diamogli il fuoco a codesti

legni». Altri: «Pigliamoli a sassate». Altri: «Questi fuggono; son dei nobili e ricchi,

portiamoli indietro al Palazzo della Città,36 che se ne faccia giustizia». Ma insomma

il debole ajuto delle quattro guardie nazionali, che tanto qualcosa diceano per

noi, ed il mio molto schiamazzare, e con voce di banditore replicare e mostrare i

75    passaporti, e più di tutto la mezz’ora e più di tempo, in cui quei scimiotigri37 si

stancarono di contrastare,38 rallentò l’insistenza loro; e le guardie accennatomi di

salire in carrozza, dove avea lasciato la Signora, si può credere in quale stato, io

rientratovi, rimontati i postiglioni39 a cavallo si aprì il cancello, e di corsa si uscì,

accompagnati da fischiate, insulti e maledizioni di codesta genia. E buon per noi

80     che non prevalse di essere ricondotti40 al Palazzo di Città, che arrivando così due

carrozze in pompa stracariche, con la taccia41 di fuggitivi, in mezzo a quella plebaccia

si rischiava molto; e saliti poi innanzi ai birbi della Municipalità, si era certi

di non poter più partire, d’andare anzi prigioni,42 dove se ci trovavano nelle carceri

il dì 2 settembre, cioè quindici giorni dopo, ci era fatta la festa43 insieme con tanti

85    altri galantuomini che crudelmente vi furono trucidati. Sfuggiti di un tale inferno,

in due giorni e mezzo arrivammo a Calais, mostrando forse quaranta e più volte

i nostri passaporti; ed abbiamo saputo poi che noi eramo stati i primi forestieri

usciti di Parigi, e del regno dopo la catastrofe del 10 agosto. […]

 >> pagina 501 

Analisi ATTIVA

I contenuti tematici

Il capitolo descrive la fuga rocambolesca e drammatica di Alfieri da Parigi, insieme all’amata contessa d’Albany. Lo scrittore mostra tutto il suo disprezzo per i rivoluzionari francesi, che reputa, con un ossimoro, schiavi dominanti (r. 22), indicando con l’espressione una condizione di subalternità plebea da cui essi non si potranno liberare mai, nemmeno prendendo le leve del potere. Da questi facitori di falsa libertà (rr. 17-18) Alfieri dichiara di essersi tenuto sempre alla larga, rifugiandosi nelle consolazioni dell’amore e dello studio. Pieno di stizza e furore (r. 63), egli intende abbandonare la Francia, che non rappresenta più ai suoi occhi una fucina di libertà, ma una terra di violenza, teatro di un regime politico fondato sul terrore.

La condanna alfieriana degli eventi che hanno scosso la Francia dopo il 1789 mostra come lo spirito antitirannico che aveva animato la riflessione politica (e il temperamento) dello scrittore fin dalla giovinezza non si rivolga soltanto contro i regimi monarchici e assolutisti, ma anche verso forme di governo democratiche e radicali che, ai suoi occhi, costituiscono una nuova forma di oppressione. Ma il cambiamento di giudizio sulla Rivoluzione francese deriva anche da un mutamento della sua visione del mondo, che lo porta su posizioni sempre più reazionarie.


1 Quali sono i motivi per cui Alfieri fugge da Parigi?


2 Individua tutti i termini dispregiativi che Alfieri usa riferendosi ai francesi rivoluzionari e alla Francia.

La descrizione di sé che Alfieri grida ai rapitori, sfidandoli a viso aperto, ricorda il ritratto che, in forma poetica, compare nel sonetto Sublime specchio di veraci detti ( T4, p. 496), e che costituisce il filo rosso della narrazione autobiografica. In realtà, la personalità e il carattere dello scrittore si sono evoluti rispetto ai tempi descritti nelle prime due parti dell’opera: egli non è più un uomo in perenne fuga verso paesaggi estremi; non più l’amante insoddisfatto che passa da una donna all’altra, ma un uomo ormai appagato dai suoi affetti e dalle consolazioni domestiche (rr. 12-13).

Eppure, nonostante la presenza della contessa d’Albany rassereni l’animo indomito di Alfieri, la percezione della noia e di un’inquietudine di fondo continua ad accompagnarlo, anche nell’ultima epoca della Vita. Ad acuire tale stato d’animo si aggiungono qui le difficoltà legate alle circostanze: l’incertezza, l’impossibilità di partire, l’attesa dei passaporti, lo sdegno per la piega presa dagli eventi rivoluzionari.


3 Individua le espressioni che Alfieri usa per indicare gli eventi che seguiranno alla sua fuga: quale immagine della Rivoluzione ne emerge?


4 Quali sono le reazioni di Alfieri nel momento in cui la sua carrozza viene fermata? Ti sembrano coerenti con la sua personalità?

Le scelte stilistiche

Sul piano stilistico il brano presenta un originale impasto di eroismo avventuroso e abbassamento ironico. Il racconto, pur drammatico, non è infatti privo di momenti quasi comici: tale è per esempio l’atteggiamento dello scrittore durante la discussione con i birbi (rr. 58-59) che lo vorrebbero derubare, quando egli si vede costretto a schiamazzare, e con voce di banditore replicare (r. 74), immagine più ridicola che drammatica. Lo stesso piglio retorico che egli usa con i banditi («Vedete, sentite; Alfieri è il mio nome; Italiano e non Francese; […] vogliamo passare, e passeremo per Dio», rr. 65-68) contrasta con il contesto tutt’altro che solenne in cui viene adottato. Ironico – o meglio sarcastico – è anche il commento secondo cui altercare, e gridare, e schiamazzar più di loro (rr. 60-61) è il mezzo col quale sempre si vien a capo dei Francesi (r. 61).


5 Con che tono vengono descritte le pratiche burocratiche necessarie al rilascio dei passaporti?

 >> pagina 502 

A creare vivacità e turbamento contribuiscono lo stile vibrante, le battute brevi, le esclamazioni (per Dio, r. 68), il ricorso a parole dall’accentuata espressività (piazzata, r. 69; schiamazzare, r. 74, e così via) e il procedimento sintattico di coordinazione per asindeto, che conferisce alle scene un ritmo concitato.


6 A partire da quale punto del testo il ritmo narrativo subisce una forte accelerazione? perché?


7 Individua altri esempi di linguaggio fortemente espressivo.

I grandi temi di Vittorio Alfieri

1 La visione tragica

• l’affinità di temperamento tra Alfieri e gli eroi tragici

• la semplificazione delle trame, funzionale alla concentrazione espressiva e all’analisi psicologica dei personaggi

• i conflitti esterni (libertà/tirannide) e quelli interiori dei protagonisti

2 La tensione antitirannica

• il rifiuto di ogni costrizione morale e politica

• la tirannide come figura astratta e come metafora dei limiti imposti alla libertà individuale

• l’esaltazione dell’uomo libero e dello scrittore eroe, che soli possono opporsi alla tirannide

3 Il rifiuto del proprio tempo

• la sdegnosa solitudine di Alfieri

• a sostanziale estraneità allo spirito riformistico settecentesco

• una letteratura dell’io che anticipa elementi d ella sensibilità preromantica e romantica

• la modernità di Alfieri: malessere esistenziale e incapacità di vivere del personaggio eroe

Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento