L’opera
La bottega del caffè
La bottega del caffè è una delle sedici commedie composte da Goldoni nel 1750 per arricchire il calendario degli spettacoli del teatro Sant’Angelo. La necessità di assicurare la fedeltà del pubblico spiega la persistenza, in quest’opera, della tradizione scenica della commedia dell’arte, alla quale gli spettatori veneziani erano ancora affezionati; tuttavia, lo sguardo acuto di Goldoni, che ritrae le virtù e i difetti degli esseri umani nelle loro più minute e spontanee manifestazioni, la chiarezza con cui l’autore trasmette il proprio messaggio morale e la vivacità delle scene, da cui scaturisce una comicità immediata e al tempo stesso raffinata, fanno rientrare a pieno titolo La bottega del caffè nel novero delle commedie riformate.
Una commedia d’ambiente
La genesi dell’opera
Dalla rappresentazione all’edizione a stampa Nel 1750, quando viene portata sulle scene, prima a Mantova, poi a Milano e infine a Venezia, la commedia ha come personaggi principali Brighella e il suo immancabile compare, il garzone Arlecchino, entrambi maschere della commedia dell’arte, che Goldoni fa parlare in veneziano. Il pubblico risponde con grande entusiasmo, tanto che a Venezia lo spettacolo viene replicato ben dodici volte.
Nel 1753, però, in occasione della versione a stampa, Goldoni modifica la fisionomia dei personaggi, trasformandoli in individui dotati di caratteri specifici e di una propria, peculiare personalità: Brighella diventa Ridolfo, Arlecchino viene ribattezzato Trappola. Inoltre, volendo rendere l’opera «universale» (come spiega egli stesso nella premessa dell’edizione a stampa, L’autore a chi legge), l’autore tratteggia vizi e virtù dei protagonisti non più mediante il dialetto, ma attraverso un italiano modellato sul toscano, comprensibile anche a un pubblico non veneziano.
L’ambientazione
Un punto d’osservazione privilegiato Proprio per questa sua prerogativa di attrarre le persone più diverse – esattamente come, a ben vedere, fa il teatro con il pubblico –, la bottega del caffè viene scelta dall’autore non solo quale centro dell’azione, ma anche come vera protagonista della commedia: non a caso il titolo rimanda, anziché a un personaggio, a uno spazio scenico (fatto raro nel teatro goldoniano, che si ripeterà con Il campiello, nel 1756, e in pochi altri casi), che funge da microcosmo catalizzatore delle esperienze quotidiane delle persone che lo frequentano.
Accogliendo avventori di tutti i tipi, la piazzetta veneziana sulla quale si affaccia il locale è un vero e proprio organismo in cui ogni singolo elemento contribuisce a una resa d’insieme: Goldoni ritrae questo spazio con lo sguardo «del poeta che guarda diritto alla realtà e sa introdursi senz’altro in un ambiente, cogliendone i piccoli particolari caratteristici» (Momigliano). Il luogo favorisce relazioni, offre occasioni d’incontro, esprime i caratteri nella loro varietà e originalità: la bottega rappresenta un punto di vista privilegiato su un’umanità multiforme e piena di contraddizioni.
La trama
Il primo atto Sulla piazzetta veneziana in cui si svolge la commedia si affacciano, oltre alla bottega del caffè, quella di un parrucchiere, a destra, e una bisca, a sinistra. Ridolfo è l’onesto e virtuoso gestore della caffetteria, in cui lavora, come garzone, Trappola, servitore furbo e opportunista che, con gran disinvoltura, tratta con i clienti, divertendosi alle loro spalle.
Ridolfo ha preso a cuore le sorti di Eugenio, un giovane mercante di stoffe figlio del suo precedente datore di lavoro, che rischia la rovina a causa delle continue perdite al gioco. A dispetto dei buoni insegnamenti di Ridolfo, però, Eugenio non riesce a liberarsi da due truffatori che approfittano della sua debolezza di carattere: il finto conte Leandro, che si chiama in realtà Flaminio (sposato con Placida, egli ha lasciato il proprio lavoro di scrivano per arricchirsi nella bisca e, fingendosi nobile, è divenuto amante della ballerina Lisaura), e Pandolfo, il padrone della bisca.
Nel frattempo, nella piazza circolano i pettegolezzi diffusi da Don Marzio, un nobile decaduto di origini napoletane, anch’egli avventore della bottega. Vero artista della maldicenza, egli accusa in particolare la ballerina Lisaura, che Leandro ha promesso di sposare, di ricevere uomini in casa, di nascosto. Compaiono inoltre sulla scena, alla ricerca dei rispettivi mariti, Placida, travestita da pellegrina (termine con cui nel Settecento si definivano le donne viaggiatrici e avventuriere, considerate di dubbia moralità), e la moglie di Eugenio, Vittoria, mascherata per non farsi riconoscere, che minaccia di abbandonarlo se egli non si ravvederà.
Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento