T3 - Il Cavaliere nella rete (La locandiera)

T3

Il Cavaliere nella rete

La locandiera, atto III, scene I-VII

Il brano che qui presentiamo segue immediatamente, nella commedia, quello precedente: dall’inizio del terzo atto, in una manciata di scene, Mirandolina riesce a irretire completamente il Cavaliere spregiatore delle donne.

ATTO III, scena prima


Camera di Mirandolina con tavolino e biancheria da stirare.

MIRANDOLINA, poi Fabrizio.

MIRANDOLINA Orsù, l’ora del divertimento1 è passata. Voglio ora badare a’ fatti miei.

Prima che questa biancheria si prosciughi2 del tutto, voglio stirarla. Ehi, Fabrizio.

5      FABRIZIO Signora.

MIRANDOLINA Fatemi un piacere. Portatemi il ferro caldo.

FABRIZIO (con serietà,3 in atto di partire) Signora sì.

MIRANDOLINA Scusate, se do a voi questo disturbo.

FABRIZIO Niente, signora. Finché io mangio il vostro pane, sono obbligato a servirvi,

10    (vuol partire)

MIRANDOLINA Fermatevi; sentite: non siete obbligato a servirmi in queste cose; ma so

che per me lo fate volentieri, ed io… basta, non dico altro.

FABRIZIO Per me vi porterei l’acqua colle orecchie.4 Ma vedo che tutto è gettato via.5

MIRANDOLINA Perché gettato via? Sono forse un’ingrata?

15    FABRIZIO Voi non degnate i poveri uomini.6 Vi piace troppo la nobiltà.

MIRANDOLINA Uh povero pazzo! Se vi potessi dir tutto! Via, via, andatemi a pigliar

il ferro.

FABRIZIO Ma se ho veduto io con questi miei occhi…

MIRANDOLINA Andiamo, meno ciarle.7 Portatemi il ferro.

20    FABRIZIO (andando) Vado, vado, vi servirò, ma per poco.

MIRANDOLINA (mostrando parlar da sé, ma per esser sentita) Con questi uomini, più che

loro si vuol bene, si fa peggio.

FABRIZIO (con tenerezza, tornando indietro) Che cosa avete detto?

MIRANDOLINA Via, mi portate questo ferro?

25    FABRIZIO Sì, ve lo porto. (Non so8 niente. Ora la mi tira su, ora la mi butta giù. Non

so niente), (da sé, parte)

Scena seconda


Mirandolina, poi il Servitore del Cavaliere.

MIRANDOLINA Povero sciocco! Mi ha da servire a suo marcio dispetto. Mi par di ridere

a9 far che gli uomini facciano a modo mio. E quel caro signor cavaliere, ch’era

30    tanto nemico delle donne? Ora, se volessi, sarei padrona di fargli fare qualunque

bestialità.10

SERVITORE Signora Mirandolina.

MIRANDOLINA Che c’è, amico?

SERVITORE Il mio padrone la riverisce, e manda a vedere come sta.

35    MIRANDOLINA Ditegli che sto benissimo.

SERVITORE (le dà una boccetta d’oro) Dice così, che beva un poco di questo spirito di

melissa,11 che le farà assai bene.

MIRANDOLINA è d’oro questa boccetta?

SERVITORE Sì, signora, d’oro, lo so di sicuro.

40    MIRANDOLINA Perché non mi ha dato lo spirito di melissa quando mi è venuto

quell’orribile svenimento?12 Servitore Allora questa boccetta egli non l’aveva.

MIRANDOLINA Ed ora come l’ha avuta?

SERVITORE Sentite. In confidenza. Mi ha mandato ora a chiamar un orefice, l’ha comprata,

e l’ha pagata dodici zecchini; e poi mi ha mandato dallo speziale13 a

45    comprar lo spirito.

MIRANDOLINA Ah, ah, ah! (ride)

SERVITORE Ridete?

MIRANDOLINA Rido, perché mi manda il medicamento dopo che son guarita del male.

SERVITORE Sarà buono per un’altra volta.

50    MIRANDOLINA Via, ne beverò un poco per preservativo14 (beve). Tenete (gli vuol dar la

boccetta), ringraziatelo.

SERVITORE Oh! la boccetta è vostra.

MIRANDOLINA Come mia?

SERVITORE Sì. Il padrone l’ha comprata a posta.15

55    MIRANDOLINA A posta per me?

SERVITORE Per voi; ma zitto.

MIRANDOLINA Portategli16 la sua boccetta, e ditegli che lo ringrazio.

SERVITORE Eh via.

MIRANDOLINA Vi dico che gliela portiate, che non la voglio.

60    SERVITORE Gli volete far quest’affronto?

MIRANDOLINA Meno ciarle. Fate il vostro dovere. Tenete.

SERVITORE Non occorr’altro. Gliela porterò. (Oh che donna! Ricusa17 dodici zecchini!

Una simile non l’ho più ritrovata, e durerò fatica a trovarla), (parte)

Scena terza


Mirandolina, poi Fabrizio.

65    MIRANDOLINA Uh è cotto, stracotto, e biscottato!18 Ma siccome quel che ho fatto con

lui, non l’ho fatto per interesse, voglio ch’ei confessi la forza delle donne, senza

poter dire che sono interessate e venali.

FABRIZIO (sostenuto, col ferro da stirare in mano) Ecco qui il ferro.

MIRANDOLINA è ben caldo?

70    FABRIZIO Signora sì, è caldo; così foss’io abbruciato.19

MIRANDOLINA Che cosa vi è di nuovo?

FABRIZIO Questo signor cavaliere manda le ambasciate, manda i regali. Il servitore

me l’ha detto.

MIRANDOLINA Signor sì, mi ha mandato una boccettina d’oro, ed io gliel’ho rimandata

75    indietro.

FABRIZIO Gliel’avete rimandata indietro?

MIRANDOLINA Sì, domandatelo al servitore medesimo.

FABRIZIO Perchè gliel’avete rimandata indietro?

MIRANDOLINA Perché… Fabrizio… non dica… Orsù, non parliamo altro.20

80    FABRIZIO Cara Mirandolina, compatitemi.

MIRANDOLINA Via, andate, lasciatemi stirare.

FABRIZIO Io non v’impedisco di fare…

MIRANDOLINA Andatemi a preparare un altro ferro, e quando è caldo, portatelo.

FABRIZIO Sì, vado. Credetemi, che se parlo…

85    MIRANDOLINA Non dite altro. Mi fate venire la rabbia.

FABRIZIO Sto cheto.21 (Ell’è una testolina bizzarra, ma le voglio bene), (da sé, e parte)

MIRANDOLINA Anche questa è buona. Mi faccio merito con Fabrizio d’aver ricusata la

boccetta d’oro del cavaliere. Questo vuol dir saper vivere, saper fare, saper profittare

di tutto, con buona grazia, con pulizia,22 con un poco di disinvoltura. In materia

90    d’accortezza, non voglio che si dica ch’io faccio torto al sesso.23 (va stirando)

Scena quarta


Il Cavaliere e detta.

CAVALIERE (da sé, indietro) (Eccola. Non ci volevo venire, e il diavolo mi ci ha strascinato).

95    MIRANDOLINA (lo vede colla coda dell’occhio, e stira) (Eccolo, eccolo).

CAVALIERE Mirandolina?

MIRANDOLINA (stirando) Oh signor cavaliere! Serva umilissima.

CAVALIERE Come state?

MIRANDOLINA (stirando senza guardarlo). Benissimo, per servirla.

CAVALIERE Ho motivo di dolermi di voi.

100 MIRANDOLINA (guardandolo un poco) Perché, signore?

CAVALIERE Perché avete ricusato una piccola boccettina che vi ho mandato.

MIRANDOLINA (stirando) Che voleva ch’io ne facessi?

CAVALIERE Servirvene nelle occorrenze.24

MIRANDOLINA Per grazia del cielo non sono soggetta agli svenimenti, (stirando) Mi è

105 accaduto oggi quello che non mi è accaduto mai più.25

CAVALIERE Cara Mirandolina… non vorrei esser io stato cagione di quel funesto accidente.26

MIRANDOLINA (stirando) E sì ho timore che ella appunto ne sia stata la causa.

CAVALIERE (con passione) Io? Davvero?

110 MIRANDOLINA (stirando con rabbia) Mi ha fatto bere quel maledetto vino di Borgogna,

e mi ha fatto male.

CAVALIERE (rimane mortificato) Come? Possibile?

MIRANDOLINA (stirando) È così senz’altro. In camera sua non ci vengo mai più.

CAVALIERE V’intendo. In camera mia non ci verrete più? Capisco il mistero.27 Sì, lo

115 capisco. Ma veniteci, cara, che vi chiamerete28 contenta (amoroso).

MIRANDOLINA Questo ferro è poco caldo: ehi; Fabrizio? (forte verso la scena) Se l’altro

ferro è caldo, portatelo.

CAVALIERE Fatemi questa grazia, tenete questa boccetta.

MIRANDOLINA (con disprezzo,29 stirando) In verità, signor cavaliere, dei regali io non ne

120 prendo.

CAVALIERE Li avete pur presi dal conte d’Albafiorita.

MIRANDOLINA (stirando) Per forza. Per non disgustarlo.30

CAVALIERE E vorreste fare a me questo torto? e disgustarmi?

MIRANDOLINA Che importa a lei che una donna la disgusti? Già le donne non le può

125 vedere.

CAVALIERE Ah, Mirandolina! ora non posso dire così.

MIRANDOLINA Signor cavaliere, a che ora fa la luna nuova?31

CAVALIERE II mio cambiamento non è lunatico. Questo è un prodigio della vostra

bellezza, della vostra grazia.

130 MIRANDOLINA (ride forte, e stira) Ah, ah, ah.

CAVALIERE Ridete?

MIRANDOLINA Non vuol che rida? Mi burla, e non vuol ch’io rida?

CAVALIERE Eh furbetta? Vi burlo eh? Via, prendete questa boccetta.

MIRANDOLINA (stirando) Grazie, grazie.

135 CAVALIERE Prendetela, o mi farete andare in collera.

MIRANDOLINA (chiamando forte, con caricatura) Fabrizio, il ferro.

CAVALIERE (alterato) La prendete, o non la prendete?

MIRANDOLINA Furia, furia32 (prende la boccetta, e con disprezzo la getta nel paniere della

biancheria).

140 CAVALIERE La gettate così?

MIRANDOLINA (chiama forte, come sopra) Fabrizio.

Scena quinta


Fabrizio col ferro, e detti.

FABRIZIO Son qua. (Vedendo il Cavaliere s’ingelosisce).

MIRANDOLINA (prende il ferro) È caldo bene?

145 FABRIZIO (sostenuto) Signora sì.

MIRANDOLINA (a Fabrizio, con tenerezza) Che avete, che mi parete turbato?

FABRIZIO Niente, padrona, niente.

MIRANDOLINA (come sopra) Avete male?

FABRIZIO Datemi l’altro ferro, se volete che lo metta nel fuoco.

150 MIRANDOLINA (come sopra) In verità, ho paura che abbiate male.

CAVALIERE Via, dategli il ferro, e che se ne vada.

MIRANDOLINA (al Cavaliere) Gli voglio bene, sa ella? È il mio cameriere fidato.

CAVALIERE (da sé, smaniando) (Non posso più).

MIRANDOLINA (dà il ferro a Fabrizio) Tenete, caro, scaldatelo.

155 FABRIZIO (con tenerezza) Signora padrona…

MIRANDOLINA (lo scaccia) Via, via, presto.

FABRIZIO (Che vivere è questo? sento che non posso più) (da se, e parte).

Scena sesta


Il Cavaliere e Mirandolina.

CAVALIERE Gran finezze,33 signora, al suo cameriere!

160 MIRANDOLINA E per questo, che cosa vorrebbe dire?

CAVALIERE Si vede che ne siete invaghita.34

MIRANDOLINA (stirando) Io innamorata di un cameriere? Mi fa un bel complimento,

signore; non sono di sì cattivo gusto io. Quando volessi amare, non getterei il

mio tempo sì malamente.35

165 CAVALIERE Voi meritereste l’amore di un re.

MIRANDOLINA (stirando) Del re di spade, o del re di coppe?36

CAVALIERE Parliamo sul serio, Mirandolina, e lasciamo gli scherzi.

MIRANDOLINA (stirando) Parli pure, che io l’ascolto.

CAVALIERE Non potreste per un poco lasciar37 di stirare?

170 MIRANDOLINA Oh perdoni! Mi preme allestire38 questa biancheria per domani.

CAVALIERE Vi preme dunque quella biancheria più di me?

MIRANDOLINA (stirando) Sicuro.

CAVALIERE E ancora lo confermate?

MIRANDOLINA (stirando) Certo. Perché di questa biancheria me ne ho da servire, e di

175 lei non posso far capitale di niente.39

CAVALIERE Anzi potete dispor di me con autorità.

MIRANDOLINA Eh, che ella non può vedere le donne.

CAVALIERE Non mi tormentate più. Vi siete vendicata abbastanza. Stimo voi, stimo

le donne che sono della vostra sorte,40 se pur ve ne sono. Vi stimo, vi amo e vi

180 domando pietà.

MIRANDOLINA Sì signore, glielo diremo41 ( stirando in fretta, si fa cadere un manicotto).42

CAVALIERE Credetemi… (leva di terra il manicotto e glielo dà)

MIRANDOLINA Non s’incomodi.

CAVALIERE Voi meritate di esser servita.

185 MIRANDOLINA (ride forte) Ah, ah, ah.

CAVALIERE Ridete?

MIRANDOLINA Rido perché mi burla.

CAVALIERE Mirandolina, non posso più.43

MIRANDOLINA Le vien male?

190 CAVALIERE Sì, mi sento mancare.

MIRANDOLINA (gli getta con disprezzo la boccetta) Tenga il suo spirito di Melissa.

CAVALIERE Non mi trattate con tanta asprezza. Credetemi, vi amo, ve lo giuro, (vuol

prenderle la mano, ed ella col ferro lo scotta) Ahimè!

MIRANDOLINA Perdoni: non l’ho fatto apposta.

195 CAVALIERE Pazienza! Questo è niente. Mi avete fatto una scottatura più grande.44

MIRANDOLINA Dove, signore?

CAVALIERE Nel cuore.

MIRANDOLINA (chiama ridendo) Fabrizio!

CAVALIERE Per carità, non chiamate colui.

200 MIRANDOLINA Ma se ho bisogno dell’altro ferro.

CAVALIERE Aspettate… (ma no…) chiamerò il mio servitore.45

MIRANDOLINA (vuol chiamar Fabrizio). Eh! Fabrizio…

CAVALIERE Giuro al cielo, se viene colui gli spacco la testa.46

MIRANDOLINA Oh questa è bella! Non mi potrò servire della mia gente?47

205 CAVALIERE Chiamate un altro; colui non lo posso vedere.

MIRANDOLINA Mi pare ch’ella si avanzi un poco troppo,48 signor cavaliere, (si scosta

dal tavolino col ferro in mano)

CAVALIERE Compatitemi… son fuor di me.

MIRANDOLINA Anderò io in cucina, e sarà contento.

210 CAVALIERE No, cara, fermatevi.

MIRANDOLINA (passeggiando) È una cosa curiosa questa.

CAVALIERE (le va dietro) Compatitemi.

MIRANDOLINA (passeggia) Non posso chiamar chi voglio?

CAVALIERE (le va dietro) Lo confesso. Ho gelosia di colui.

215 MIRANDOLINA (da sé, passeggiando) (Mi vien dietro come un cagnolino).

CAVALIERE Questa è la prima volta ch’io provo che cosa sia amore.

MIRANDOLINA (camminando) Nessuno mi ha mai comandato.

CAVALIERE (la segue) Non intendo di comandarvi: vi prego.

MIRANDOLINA (voltandosi con alterezza) Che cosa vuole da me?

220 CAVALIERE Amore, compassione, pietà.

MIRANDOLINA Un uomo, che stamattina non poteva veder le donne, oggi chiede amore,

e pietà? Non gli abbado,49 non può essere, non gli credo. (Crepa, schiatta,50

impara a disprezzar le donne), (da sé, e parte)

Scena settima


Cavaliere solo.

225 Oh maledetto il punto, in cui ho principiato a mirar costei!51 Son caduto nel laccio,

e non vi è più rimedio.

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Analisi ATTIVA

I contenuti tematici

Le capacità seduttive di Mirandolina si esercitano qui nei confronti di due personaggi: il servo Fabrizio e il Cavaliere. Mirandolina è un’autentica commediante, nei cui gesti verità e finzione si mescolano con grande abilità. Per esempio, parlando con Fabrizio, a un certo punto sospende il discorso (ma so che per me lo fate volentieri, ed io... basta, non dico altro, rr. 11-12), lasciandogli immaginare ciò che vuole. Poco più avanti finge di parlar da sé, ma per essere sentita (come recita la didascalia, r. 21), dando speranza a Fabrizio, che ne è subito intenerito. Con il povero servo utilizza – diremmo – il bastone e la carota, tanto da disorientare completamente il giovane: Non so niente. Ora la mi tira su, ora la mi butta giù. Non so niente (rr. 25-26).

La locandiera riesce così a manipolare con grande facilità gli uomini che la circondano, e di ciò è affatto consapevole: Mi par di ridere a far che gli uomini facciano a modo mio (rr. 28-29). Mostrandosi disinteressata al denaro nel momento in cui rifiuta la boccetta d’oro donatale dal Cavaliere, convince quest’ultimo ancor di più della sua onestà, e lo stesso fa con Fabrizio. Della propria astuzia Mirandolina si compiace con una dose di mal celato orgoglio: Questo vuol dir saper vivere, saper fare, saper profittare di tutto, con buona grazia, con pulizia, con un poco di disinvoltura (rr. 88-89).


1 Quale espressione usa Fabrizio per dire che farebbe di tutto per Mirandolina? E perché pensa di esserle indifferente?


2 In quali punti del testo Mirandolina esprime la consapevolezza che il Cavaliere sia ormai ai suoi piedi? A quali figure retoriche ricorre?


3 Come puoi interpretare l’affermazione di Mirandolina non voglio che si dica ch’io faccio torto al sesso (r. 90)?

Nella quarta scena il Cavaliere si reca nella stanza in cui Mirandolina sta stirando. È un passo avanti non da poco: negli atti precedenti era sempre stata lei ad andare nella camera del cliente con il pretesto di servirlo. Ormai, però, l’uomo non sa più trattenersi, e Goldoni ne mostra tutte le smanie e le furie. Mirandolina prima lo lusinga, lasciandogli credere che il suo svenimento sia stato dovuto a lui (come lei ne fosse innamorata: Eh sì, ho timore che ella appunto ne sia stata la causa, r. 108), ma subito dopo lo disillude (Mi ha fatto bere quel maledetto vino di Borgogna, e mi ha fatto male, rr. 110-111). Poi lo fa ingelosire, mostrandosi particolarmente tenera con Fabrizio, di cui gli parla in questi termini: Gli voglio bene, sa ella? È il mio cameriere fidato (r. 152). In tal modo ottiene la capitolazione del suo nobile cliente, che si spinge a smentire esplicitamente il proprio credo antifemminile: Stimo voi, stimo le donne che sono della vostra sorte, se pur ve ne sono. Vi stimo, vi amo, e vi domando pietà (rr. 178-180).

Alla fine della scena sesta il Cavaliere giunge addirittura a domandare a Mirandolina amore, compassione, pietà (r. 220), dove il climax discendente sottolinea il progressivo ridimensionamento delle aspettative, purché la donna si degni di riconoscere, al limite anche senza ricambiarlo, il sentimento che egli prova verso di lei. La completa capitolazione del Cavaliere è sottolineata da una scena brevissima, la settima, occupata da una sola battuta dell'uomo: Oh maledetto il punto, in cui ho principiato a mirar costei! Son caduto nel laccio e non vi è più rimedio (rr. 225-226).


4 Nella scena quarta, quali strategie usa Mirandolina per fingere scarso interesse per il Cavaliere e le sue richieste, oltre al rifiuto della boccettina?


5 Quale atteggiamento mostra Mirandolina verso il cavaliere nella scena sesta?


6 Considera le didascalie presenti nel brano: qual è la loro funzione rispetto al gioco di seduzione che sta avvenendo?


7 Scrivere per raccontare. Reinterpreta il brano dal punto di vista di Fabrizio, raccontando in prima persona, come se fossi lui, quanto accade sulla scena (circa 40 righe).

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3 Fra italiano e dialetto

La creazione di un nuovo “italiano” Quando Goldoni inizia a scrivere per il teatro, si trova ad affrontare un nodo difficile quanto ineludibile: il problema della lingua. Egli mira a creare opere che raggiungano un pubblico socialmente e culturalmente vario, e siano comprensibili in buona parte d’Italia. Gli Stati italiani del tempo, tuttavia, non dispongono di una lingua davvero unitaria, se si esclude il toscano letterario, che ha però un carattere prevalentemente libresco, inadeguato a esprimere le mille sfaccettature della vita quotidiana. Le lingue utilizzate nella vita di tutti i giorni sono dunque i dialetti, che presentano una ricchezza e una duttilità straordinarie ma hanno potenzialità d’impiego limitate dal fattore geografico.

Per risolvere questo problema, Goldoni inventa un “italiano” che si serve di strumenti linguistici di diversa provenienza, approdando a un’originale miscela plurilinguistica costituita da un toscano “dialettizzato” da termini lombardi, venetismi, francesismi e forme colloquiali fiorentine.

Lo stile al servizio della naturalezza espressiva Per Goldoni, la lingua è soprattutto un mezzo di comunicazione, efficace se raggiunge un pubblico ampio. Per questa ragione, al fine di rendere chiari i discorsi dei suoi personaggi, Goldoni li fa interloquire con un linguaggio non letterario, caratterizzato da una sintassi semplice (i periodi sono sempre brevi), che privilegia la paratassi alla subordinazione; il lessico quotidiano e familiare, inoltre, è sempre coerente con l’ambiente di provenienza dei protagonisti della scena.

Intendendo ritrarre con naturalezza e realismo il mondo in cui gli spettatori si devono riconoscere, Goldoni mira insomma all’«imitazione delle persone che parlano più di quelle che scrivono». Rivendicando di essere un «poeta comico» e non un «accademico della Crusca», egli attinge il linguaggio direttamente dalle conversazioni che ascolta tra le persone, dai dialoghi tra uomini e donne, che riflettono le mentalità e gli orizzonti culturali delle diverse classi sociali.

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Il dialetto come strumento realistico Il ricorso al dialetto veneziano si spiega proprio in relazione a questo principio di verosimiglianza, che in alcuni casi porta Goldoni a sacrificare la fruibilità delle sue commedie da parte di un pubblico non veneziano per esaltare l’effetto realistico della lingua. Il dialetto veneziano è utilizzato sia in concomitanza con l’italiano, per caratterizzare i personaggi del popolo o le maschere più tradizionali (come Arlecchino), sia come lingua esclusiva di alcune commedie (I rusteghi, Sior Todero brontolon, Le baruffe chiozzotte).

Si tratta di una scelta meditata e non caricaturale, compiuta per dare forza e credibilità all’intento mimetico che la riforma goldoniana si propone. Il dialetto, infatti, esprime perfettamente la concretezza delle esperienze quotidiane, rende con immediatezza sentimenti e riflessioni, fa scaturire la comicità dalla semplicità e dall’istintività delle reazioni. Non a caso Goldoni vi ricorre per rappresentare un’umanità popolare genuina e autentica, che egli descrive dall’interno, mettendone in luce vizi e virtù senza scadere in atteggiamenti parodistici o paternalistici.

T4

Todero: il vincitore sconfitto

Sior Todero brontolon, atto III, scene XIV-ultima

Benché ricco, Todero – un “rustego” (cioè uno zotico) brontolone e dispotico – priva il figlio, Pellegrino, e la nuora, Marcolina, di qualsiasi agio e libertà. Grazie all’iniziativa dell’amica Fortunata, Marcolina trova per la figlia Zanetta un buon partito, Meneghetto: ricco, rispettoso, di modi eleganti, parente della stessa Fortunata. I due giovani si piacciono, ma Todero ha già stabilito di far unire in matrimonio Zanetta con il modesto Nicoletto, figlio del suo fattore, Desiderio, così da tutelare i propri interessi e risparmiare sulla dote. Marcolina si oppone al progetto, ma non può contare sull’aiuto del marito, debole di carattere e succube del padre. Così, con la complicità di Zanetta combina il matrimonio tra la propria servetta e Nicoletto; poi, grazie all’onestà di Meneghetto, che si dichiara disposto a rinunciare alla dote (almeno finché vive Todero), riesce a far sposare i due giovani. Riportiamo le ultime tre scene della commedia, in cui compaiono tutti i personaggi per lo scioglimento finale, in un vivace e incalzante scambio di battute.

Scena quattordicesima


Todero, Marcolina, Fortunata, Meneghetto e Desiderio.

desiderio E mi? Cossa ha da esser de mi?

todero E vu tornerè a Bergamo a arar i campi.

desiderio Oh! sior patron, la sa con quanta attenzion, con quanta fedeltà l’ho servia. 

5      La servirò ancora per gnente, senza salario, per gnente.

todero Me servirè per gnente? (con più dolcezza)

desiderio Sior sì, ghe lo prometto.

fortunata Sior sì, sior sì, el ve servirà per gnente. Ma de aria no se vive. El ve servirà

per gnente, e el se pagherà da so posta. (a Todero, forte)

10    desiderio Cossa gh’ìntrela ela? Me vorla veder precipità?

todero Tasè là. (a Desiderio) Son poveromo; mi no posso pagar un fattor. (

Fortunata)

marcolina Caro sior missier, no gh’avè vostro fio?

todero Nol xe bon da gnente. (a Marcolina)

15    fortunata Sior Meneghetto lo assisterà. (a Todero)

todero Cossa gh’ìntrelo elo in ti fatti mii? (a Fortunata)

fortunata El gh’intreria, sel volesse. (a Todero, dolcemente)

marcolina Intèndelo, sior missier? (a Todero, dolcemente)

todero Coss’è, coss’è stà? Cossa voleu che intenda? Che zente seu? No savè gnanca

20    parlar.

fortunata Parlè vu, sior zerman. (a Meneghetto)

meneghetto Sior Todero, la vede che quella scrittura sì fatta xe revocada dal fatto.

todero Ben; e cussì?

meneghetto Se la se degna de accordarme so siora nezza…

25    todero Via; gh’è altro?

meneghetto Son pronto a darghe la man.

todero E no disè altro più de cussì?

meneghetto La comandi.

todero No m’aveu ditto che la torrè senza dota?

30    meneghetto Sior sì, senza dota.

todero Mo vedeu? No savè parlar. Sior sì, son galantomo: quel che ho promesso,

mantegno: ve la darò.

marcolina Bravo, sior missier, son contenta anca mi.

todero No ghe xe bisogno che siè contenta, o che no siè contenta; co son contento

35    mi, basta.

marcolina (Mo el xe ben un omazzo!).

todero E vu, sior, cossa feu qua? (a Desiderio)

desiderio Stago a veder sta bella scena: vedo tutto, capisso tutto. Che i se comoda,

che i se sodisfa; ma mi non anderò via de qua. Ho servio, semo parenti. Faremo

40    lite.

meneghetto Avanti de far lite, che sior Desiderio renda conto della so amministrazion.

desiderio El diavolo che ve porta. Vago via per no precipitar. (parte)

Scena quindicesima


Todero, Marcolina, Fortunata, Meneghetto, poi Zanetta.

todero Credeu che el m’abbia robà?

fortunata Anemo, anemo: ve sè liberà, no ghe pensè più. La vegna, la vegna, siora

Zanetta. (alla porta)

zanetta Cossa comàndela?

fortunata (Ala savesto?). (a Zanetta)

ZANETTA (Ho sentìo tutto). (a Fortunata, con allegria)

50    meneghetto Finalmente, siora Zanetta, spero che el cielo seconderà le mie brame e

me concederà l’onor de conseguirla per mia consorte.

ZANETTA Sior sì… la fortuna… per consolarme… El compatissa, che no so cossa dir.

marcolina Via, deve la man.

todero Tasè là, siora: tocca a mi a dirghelo. (a Marcolina)

55    ZANETTA (Oh poveretta mi!).

todero Sposeve. (a Zanetta e Meneghetto)

meneghetto Questa xe mia muggier.

ZANETTA Questo xe mio mario. (forte con spirito, e presto)

fortunata Brava, brava. La l’ha ditto pulito.

Scena ultima


60    Pellegrino e detti.

pellegrino Coss’è? Cossa xe stà? Ghe xe strepiti, ghe xe sussuri? Me maraveggio; son

qua mi; son paron anca mi. (in aria di voler far il bravo)

todero Martuffo!

marcolina Saveu che strepiti, saveu che sussuri che ghe xe? Che vostra fia xe novizza.

65    pellegrino Con chi?

marcolina Co sior Meneghetto.

pellegrino No ve l’oggio ditto, che sarave andà tutto ben?

marcolina Sior sì, xe andà tutto ben; ma no per vu, no per la vostra direzion. Muè

sistema, sior Pellegrin; za che sior missier ha mandà via de casa sior Desiderio,

70    preghelo che el ve fazza operar, che el ve prova, che el se prevala de vu. In quel

che no savè, sior Meneghetto ve assisterà. Mi pregherò sior missier de compatirme, 

de averme un poco de carità, de non esser con mi cussì aspro, de non

esser in casa cussì suttilo. Ringraziemo el cielo de tutto, e ringraziemo de cuor

chi n’ha sofferto con tanta bontà; pregandoli, che avendo osservà che brutto

75    carattere che xe l’indiscreto, che xe el brontolon, no i voggia esser contra de mi

né indiscreti, né brontoloni.

 >> pagina 357 
traduzione

ATTO III, scena quattordicesima


ToderoMarcolinaFortunataMeneghetto e Desiderio.


desiderio E di me? Che cosa ne sarà di me?

todero E voi tornerete a Bergamo ad arare i campi.

desiderio Oh! signor padrone, sa con quanta cura, con quanta fedeltà l’ho servita. La servirò ancora per niente, senza salario, per niente.

todero Mi servirete per niente? (con più dolcezza)

DESIDERIO Signor sì, glielo prometto.

fortunata Signor sì, signor sì, vi servirà per niente. Ma di aria non si vive. Vi servirà per niente, e si pagherà da solo.1 (a Todero, forte)

DESIDERIO Che cosa c’entra lei? Mi vuole vedere andare in rovina?

TODERO Taci. (a Desiderio) Sono un poveruomo; non posso pagare un fattore.2 (a Fortunata)

marcolina Caro signor suocero, non avete vostro figlio?

TODERO È un buono a nulla. (a Marcolina)

FORTUNATA Il signor Meneghetto lo assisterà. (a Todero)

TODERO Che cosa c’entra lui nei fatti miei? (a Fortunata)

fortunata C’entrerebbe se voi voleste. (a Todero, dolcemente)

MARCOLINA Capite, signor suocero? (a Todero, dolcemente)

TODERO Cos’è, cos’è questa cosa? Cosa volete che capisca? Che gente siete? Non sapete neanche parlare.3

FORTUNATA Parlate voi, signor cugino. (a Meneghetto)

meneghetto Signor Todero, vede che quel contratto4 è stato sciolto da ciò che è successo.

TODERO Bene; e perciò?

MENEGHETTO Se si degna di concedermi la sua signora nipote…

TODERO Via; c’è altro?

MENEGHETTO Sono pronto a darle la mano.

TODERO E non dite altro più di così?

MENEGHETTO Comandi.

TODERO Non mi avevate detto che la prendete senza dote?

MENEGHETTO Signor sì, senza dote.

TODERO Dunque vedete? Non sapete parlare. Signor sì, son galantuomo: quello che ho promesso, mantengo: ve la darò.5

MARCOLINA Bravo, signor suocero, sono contenta anch’io.

TODERO Non c’è bisogno che tu sia contenta, o che non sia contenta; quando sono contento io, basta.

MARCOLINA (Ma costui è davvero un grand’uomo!).6

TODERO E voi, signore, che cosa fate qua? (a Desiderio)

DESIDERIO  Sto a vedere questa bella scena: vedo tutto, capisco tutto. Che facciano quel che vogliono, quel che a loro pare; ma io non andrò via di qua. Ho servito, siamo parenti. Andremo in tribunale.

MENEGHETTO Prima di ricorrere al tribunale, che il signor Desiderio renda conto della sua amministrazione.

DESIDERIO  Che il diavolo vi porti. Vado via per non andare in rovina.7 (parte)


Scena quindicesima


Todero, Marcolina, Fortunata, Meneghetto, poi Zanetta.

TODERO  Credete che mi abbia derubato?

fortunata Andiamo, andiamo: vi siete liberato, non ci pensate più. Venga, venga, signora Zanetta. (alla porta)

zanetta Che cosa comanda?

fortunata (Lo ha saputo?). (a Zanetta)

zanetta (Ho sentito tutto). (a Fortunata, con allegria)

MENEGHETTO  Finalmente, signora Zanetta, spero che il cielo asseconderà i miei desideri e mi concederà l’onore di averla come mia consorte.

zanetta Signor sì… la fortuna… per consolarmi… Cerchi di capire, che non so che cosa dire.

marcolina Via, datevi la mano.

todero Tacete, signora: tocca a me a dirglielo. (a Marcolina)

ZANETTA (Oh poveretta me!).

todero Sposatevi. (a Zanetta e Meneghetto)

MENEGHETTO  Questa è mia moglie.

ZANETTA Questo è mio marito. (forte con spirito, e presto)

fortunata Brava, brava. L’ha detto ben chiaro.


Scena ultima


Pellegrino e detti.

pellegrino Cosa c’è? Cos’è questa faccenda? Si fanno strepiti, si sussurra? Mi meraviglio; sono qua io; sono padrone anch’io. (con l’aria di voler fare il bravaccio)

TODERO Sciocco!

MARCOLINA Volete sapere che strepiti, che sussurri, che cosa c’è? Che vostra figlia è sposa.

PELLEGRINO Con chi?

MARCOLINA Con il signor Meneghetto.

PELLEGRINO Non ve l’avevo detto, che sarebbe andato tutto bene?

MARCOLINA Signor sì, è andato tutto bene; ma non per voi, non per la vostra iniziativa. Cambiate sistema, signor Pellegrino; giacché il signor suocero ha mandato via di casa il signor Desiderio, pregatelo che vi faccia agire, che vi metta alla prova, che si avvalga di voi. In quel che non sapete, il signor Meneghetto vi assisterà. Io pregherò il signor suocero di scusarmi, di concedermi un poco di carità, di non esser con me così aspro, di non esser in casa così suscettibile. Ringraziamo il cielo di tutto, e ringraziamo di cuore chi8 ci ha sopportato con tanta bontà; pregandoli che, avendo osservato che brutto carattere è l’indiscreto, è il brontolone, non voglia che ci siano contro di me né indiscreti, né brontoloni.

 >> pagina 359 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

«Non vi è niente di più fastidioso, di più molesto alla Società, di un uomo che brontola sempre; cioè che trova a dire su tutto, che non è mai contento di niente, che tratta con asprezza, che parla con arroganza e si fa odiare da tutti. Todero in questa commedia non è brontolon solamente, ma avaro e superbo […]. Tutta la morale di questa Commedia consiste nell’esposizione di un carattere odioso, affinché se ne correggano quelli che si trovano, per loro disgrazia, da questa malattia attaccati»: così spiega Goldoni nell’introduzione (L’autore a chi legge) che, nell’edizione a stampa, precede la commedia.

Tutti i difetti di Todero contribuiscono in effetti a renderlo ridicolo e odioso agli occhi degli spettatori. In queste scene finali, pur dovendo accettare il fatto compiuto (l’impossibilità di far sposare la nipote Zanetta con Nicoletto), egli cerca ancora di imporsi come vincitore (Tasè là, siora: tocca a mi a dirghelo, r. 54), mettendo così in evidenza il contrasto tra la sua meschinità (co son contento mi, basta, rr. 35-36), che fino all’ultimo non gli permette di avere altri interessi se non il proprio guadagno (No m’aveu ditto che la torrè senza dota?, r. 29), e la dignità e nobiltà d’animo del giovane Meneghetto, il quale dimostra disinteresse per il denaro (Sior sì, senza dota, r. 30).

 >> pagina 360

Accanto alla satira dei comportamenti umani, l’opera contiene anche una dimensione di denuncia sociale. Todero è un vecchio e ricco mercante, dunque un rappresentante di quella borghesia veneziana cui Goldoni aveva attribuito, nelle commedie della prima fase, un ruolo preminente nella società, e che ora dipinge con i vizi e le ottusità tipiche della nobiltà. Egli non è soltanto burbero e scostante, ma anche incapace di condurre i propri affari in modo conveniente.

Alla fine della vicenda, è proprio Meneghetto a liberare il vecchio Todero dall’amministratore Desiderio, che si rivela profittatore e truffatore (Avanti de far lite, che sior Desiderio renda conto della so amministrazion, r. 41). Si viene così a scoprire come il vecchio despota, che allo scopo di rimanere l’unico padrone della sua attività non aveva mai concesso considerazione e stima al figlio, si sia in realtà lasciato truffare proprio da colui che aveva scelto come collaboratore. Il confronto tra i due personaggi, Todero e Meneghetto, fa emergere dunque, su un piano sociale, l’involuzione di una classe mercantile avida e cinica, che ha dimenticato i valori positivi della bontà, della lealtà e della sincerità.

Pellegrino, il figlio di Todero, conferma anche nell’ultima scena l’incapacità di opporsi al padre o di assumersi responsabilità; al contrario, Marcolina e Fortunata – grazie alle quali si è concluso il matrimonio – sono intraprendenti e determinate. La ribellione di Marcolina, però, è tutta privata: si è opposta al suocero e ha sottratto la figlia a un destino di tristezze e frustrazioni, ma sa di averlo fatto per conto del marito, di cui non contesta il ruolo. Alla fine della commedia, infatti, esorta Pellegrino a prendere parte attiva negli affari del padre e si propone di chiedere comprensione e benevolenza al suocero, dimostrando di adeguarsi alle gerarchie che governano la famiglia e la società borghese, dove il matrimonio è contrattato dai parenti affinché sia conveniente alle parti in gioco. Ancora una volta, quindi, Goldoni mostra di stimare l’intelligenza femminile alla pari di quella maschile – condividendo la posizione degli Illuministi –, ma senza mettere in discussione l’assetto sociale consolidato dalla tradizione.

Le scelte stilistiche

L’avidità e la mancanza di sensibilità di Todero sono messe alla berlina soprattutto attraverso i dialoghi. Rispondendo a Meneghetto con domande incalzanti, e solo apparentemente ingenue (Ben; e cussì?, r. 23; Via; gh’è altro?, r. 25; E no disè altro più de cussì?, r. 27), il vecchio brontolone spinge il giovane a confermare la propria rinuncia alla dote, prima di concedere la mano della nipote (Sior sì, son galantomo: quel che ho promesso, mantegno: ve la darò, rr. 31-32), presentandosi sfacciatamente come uomo leale, attraverso l’uso del termine galantomo (r. 31) e dei verbi promesso (r. 31) e mantegno (r. 32), quando il suo comportamento è ispirato soltanto alla difesa del proprio interesse.

Il dialetto è utilizzato nei registri più adatti alla caratterizzazione dei personaggi: più studiato e formale quello di Meneghetto (Sior Todero, la vede che quella scrittura sì fatta xe revocada dal fatto, r. 22), più colloquiale quello di Desiderio (El diavolo che ve porta. Vago via per no precipitar, r. 42).

La sua efficacia non è solo realistica, ma anche comica, costituendo una riserva di espressioni spontanee che danno colore e vivacità ai dialoghi con immagini iperboliche dal significato ironico (Mo el xe ben un omazzo!, r. 36), termini popolari (Martuffo!, r. 63) ed esortazioni che rendono bene la concretezza della quotidianità (Anemo, anemo: ve sè liberà, no ghe pensè più. La vegna, la vegna, siora Zanetta, rr. 45-46).

 >> pagina 361 

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Riassumi in circa 10 righe il contenuto del brano.


2 Come appare, nelle scene qui antologizzate, il rapporto fra Todero e il figlio Pellegrino?

Analizzare

3 Spiega quali scelte stilistiche conferiscono un significato ironico alla seguente battuta di Fortunata: Sior sì, sior sì […] el se pagherà da so posta (rr. 8-9).

Interpretare

4 Cerca nel testo il passaggio in cui Meneghetto viene presentato a Todero e spiega in che cosa consista l’astuzia di Fortunata nel convincere il vecchio mercante a concedergli la mano di Zanetta.

COMPETENZE LINGUISTICHE

5 Associa a ciascun termine o espressione dialettale il corrispondente italiano.


gnente
 

missier

 

zerman

 

me maraveggio

 

gh’ìntrela

 

zente

 

la vegna

 

za

 

xe

 

nezza

 

tase

 

cussì

 

Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento