I grandi temi

I grandi temi

1 Mondo e Teatro: la riforma di Goldoni

L’esperienza come strumento di conoscenza Fin dagli anni della formazione, Goldoni si dimostra insofferente alle costrizioni e incline a seguire le proprie passioni. Il precoce interesse per il teatro lo porta a leggere i commediografi antichi (Aristofane, Plauto, Terenzio), gli autori italiani (il Machiavelli della Mandragola) e stranieri, ma, accanto alle letture e allo studio, assapora anche il gusto della trasgressione e del divertimento libertino.

Il suo è insomma un apprendistato “irregolare”, in cui si combinano impegno e libertà, crescita culturale ed esperienze di vita. Nello sviluppo della sua personalità, inoltre, hanno un ruolo importante i frequenti viaggi, che lo mettono a contatto con i più vari fermenti culturali. Durante i soggiorni a Milano ha modo di conoscere il pensiero illuminista, che alimenta la propensione a cogliere con spirito critico e antidogmatico le contraddizioni della società; in Toscana, la frequentazione dell’Arcadia lo educa invece a una concezione dell’arte fondata sulla sobrietà e avversa a ogni sterile formalismo.

La realtà veneziana È però l’ambiente veneziano che suggerisce allo scrittore le idee e i valori che ispireranno il suo impegno teatrale. Qui Goldoni assorbe la mentalità della borghesia mercantile e professionale, cui egli stesso appartiene per origini familiari, e la sua cultura concreta e razionale che guarda soprattutto agli affari. Vivace centro editoriale, caratterizzato dalla circolazione di merci, di persone e quindi di idee, la città lagunare ospita inoltre molti teatri, nei quali si affolla un pubblico sempre più ampio e socialmente vario.

Il teatro come impresa Nel Settecento, il teatro è diventato un’attività imprenditoriale redditizia, gestita da affaristi che investono denaro affittando gli stabili, assoldando le compagnie di attori e offrendo gli spettacoli a una platea pagante. Lo scopo principale degli impresari e delle compagnie è divertire il pubblico in modo leggero e disimpegnato, perché questo garantisce l’affluenza degli spettatori.

La qualità della messa in scena, di conseguenza, è spesso sacrificata: si propongono soprattutto generi popolari (melodrammi e commedie anziché tragedie, apprezzate di norma da spettatori culturalmente più avvertiti) e intrecci scontati e ripetitivi, mentre gli attori scadono spesso nella comicità triviale.

La commedia dell’arte Quando Goldoni entra in contatto con il mondo delle scene, il genere più in voga è la commedia dell’arte, molto diffusa fin dal Seicento, in un’epoca in cui il teatro, uscendo dagli ambienti chiusi e riservati delle corti, aveva cominciato a richiamare anche un pubblico borghese e popolare. Come si è visto, la commedia dell’arte è caratterizzata dalla presenza di un canovaccio, cioè di una trama scritta nelle linee essenziali, mentre i dialoghi sono affidati all’improvvisazione degli attori, che impersonano caratteri stereotipati (il servo sciocco, il mercante avaro, il dottore presuntuoso), riconoscibili grazie alle maschere che indossano.

Un programma di riforma Goldoni si propone di superare questa consuetudine attraverso una riforma del teatro che operi su due piani strettamente connessi: quello tecnico-formale e quello contenutistico. In primo luogo abbandona lo strumento del canovaccio, scrivendo tutte le battute e attribuendo quindi un ruolo prioritario all’autore. Trasforma inoltre le maschere tradizionali in personaggi autentici, ispirati alla realtà quotidiana e dotati di una psicologia individuale. In questo modo, egli interviene anche sul piano dei contenuti, portando il teatro ad assumere un ruolo, oltre che di intrattenimento, di riflessione critica su temi morali e sociali.

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I due “libri” di riferimento Per spiegare la genesi della sua riforma, Goldoni ricorre a una metafora. Le sue più importanti fonti di ispirazione, afferma, sono state due: «i due libri su’ quali ho più meditato, e di cui non mi pentirò mai d’essermi servito, furono il Mondo e ’l Teatro». Il libro del Mondo è costituito dalle esperienze di una vita ricca di avvenimenti, viaggi e incontri con abitudini e mentalità diverse, e dall’osservazione attenta e vorace della società e di tutti i suoi ambienti (botteghe, case, piazze, porti). Il libro del Teatro rappresenta invece la conoscenza degli artifici scenici utili a mostrare nel modo più efficace le passioni, i sentimenti, i vizi e le virtù degli esseri umani, oltre che l’insieme degli aspetti pratici della professione – le esigenze economiche degli impresari, il lavoro concreto degli attori, le attese del pubblico – appresi nella sua attività di uomo di teatro. Da queste due dimensioni deriva una riforma fondata, anziché su princìpi astratti, sull’autentica realtà del teatro, e capace quindi di abbinare tradizione e innovazione, gusto personale e richieste del mercato.

T1

«I due libri su’ quali ho più meditato»

Prefazione dell’autore alla prima raccolta delle commedie (1750)

Dopo aver rievocato la passione per il teatro coltivata fin dall’infanzia come inclinazione naturale e irrefrenabile, Goldoni ricorda le condizioni in cui versava a quel tempo la commedia: «Non correvano sulle pubbliche Scene se non sconce Arlecchinate, laidi e scandalosi amoreggiamenti, e motteggi: favole mal inventate, e peggio condotte, senza costume, senza ordine, le quali, anziché correggere il vizio, come pur è primario, antico e più nobile oggetto della Commedia, lo fomentavano». Da tale constatazione nasce il desiderio di rinnovare radicalmente la commedia, sia nella forma sia nei contenuti.

Non mi vanterò io già d’essermi condotto a questo segno,1qualunque ei si sia,2 di

miglior senso,3 col mezzo di un assiduo metodico studio sull’opere o precettive,4

o esemplari5 in questo genere de’ migliori antichi e recenti scrittori e poeti o greci,

o latini, o francesi, o italiani, o d’altre egualmente colte nazioni; ma dirò con ingenuità,

5      che sebben non ho trascurata la lettura de’ più venerabili, e celebri autori,

da’ quali, come da ottimi maestri non ponno6 trarsi, che utilissimi documenti, ed

esempli, contuttociò i due libri su’ quali ho più meditato, e di cui non mi pentirò

mai d’essermi servito, furono il Mondo,7 e ’l Teatro.8 Il primo mi mostra tanti, e

poi tanti vari caratteri di persone, me li dipinge così al naturale,9 che paion fatti

10    apposta per amministrarmi10 abbondantissimi argomenti di graziose, ed istruttive

commedie, mi rappresenta i segni,11 la forza, gli effetti di tutte le umane passioni;

mi provvede di avvenimenti curiosi; m’informa de’ correnti costumi, m’istruisce e

de’ vizi, e de’ difetti, che son più comuni del nostro secolo, e della nostra nazione,12

i quali meritan o la disapprovazione, o la derisione de’ saggi; e nel tempo

15    stesso mi addita in qualche virtuosa persona i mezzi coi quali la virtù a codeste

corruttele13 resiste, ond’io da questo libro raccolgo, rivolgendolo14 sempre, e meditandovi,

in qualunque circostanza, od azione della vita mi trovi, quanto è assolutamente

necessario che si sappia da chi vuole con qualche lode esercitare questa mia

professione. Il secondo poi, il libro cioè del Teatro, mentre io lo vo maneggiando,

20    mi fa conoscere con quali colori si debban rappresentare sulle scene i caratteri, le

passioni, gli avvenimenti, che nel libro del Mondo si leggono; come si debba ombreggiarli

per dar loro un maggiore rilievo, e quali sien quelle tinte, che più li rendon

grati agli occhi dilicati de’ spettatori. Imparo insomma dal Teatro a distinguere

ciò, ch’è più atto a far impressione sugli animi, a destar la maraviglia, od il riso, o

25    quel tal dilettevol solletico15 nell’uman cuore, che nasce principalmente dal trovar

nella commedia che ascoltasi effigiati al naturale,16 e posti con buon garbo nel loro

punto di vista i difetti,17 e ’l ridicolo che trovasi in chi tuttogiorno si pratica,18 in

modo però, che non urti troppo offendendo.

Ho appreso pur19 dal Teatro, e lo apprendo tuttavia all’occasione20 delle mie

30    stesse commedie il gusto particolare della nostra nazione, per cui precisamente io

debbo scrivere, diverso in ben molte cose da quello dell’altre. Ho osservato alle volte

riscuoter grandissimi encomi alcune cosarelle da me prima avute in niun conto,

altre riportarne pochissima lode, e talvolta eziandio21 qualche critica, dalle quali

non ordinario applauso io mi era sperato; dacché22 ho imparato, volendo render

35    utili le mie commedie, a regolar talvolta il mio gusto su quello dell’universale,23 a

cui deggio24 principalmente servire, senza mettermi in pena delle dicerie di alcuni

o ignoranti o indiscreti, e difficili, i quali pretendono di dar la legge al gusto25 di

tutto un popolo, di tutta una nazione, e fors’anche di tutto il mondo, e di tutti i

secoli colla lor sola testa, non riflettendo, che in certe particolarità non integranti26

40    i gusti possono impunemente cambiarsi, e convien lasciarne padrone il popolo

egualmente che delle mode del vestire, e de’ linguaggi.

[…]

Ecco quanto ho io appreso da’ miei due gran libri, Mondo e Teatro. Le mie

commedie sono principalmente regolate, o almeno ho creduto di regolarle, coi

precetti che in essi due libri ho trovati scritti: libri per altro, che soli certamente furono

45    studiati dagli stessi primi autori27 di tal genere di poesia, e che daran sempre

a chiunque le vere lezioni di quest’arte. La natura è una universale e sicura maestra

a chi la osserva. «Quanto si rappresenta sul teatro (scrive un illustre autore)28 non

deve essere se non la copia di quanto accade nel mondo. La commedia, soggiunge,

allora è quale esser deve quando ci pare di essere in una compagnia del vicinato, o

50    in una familiar conversazione, allorché siamo realmente al teatro,29 e quando non

vi si vede se non ciò che si vede tuttogiorno nel mondo. Menandro,30 segue a dire,

non è riuscito31 se non per questo tra i greci, ed i romani credevano di trovarsi in

conversazione quando ascoltavano le commedie di Terenzio,32 perché non vi trovavano

se non quel ch’eran soliti di trovare nelle ordinarie lor compagnie». Anche

55    il gran Lope de Vega,33 per testimonianza del medesimo scrittore, non si consigliava,

componendo le sue commedie con altri maestri, che col gusto de’ suoi uditori.

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Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Pur affermando di aver studiato i più grandi autori della letteratura (moderna e antica, italiana e straniera), Goldoni dichiara di aver tratto materia e procedimenti per l’esercizio della propria arte soprattutto dall’osservazione della realtà e dall’esperienza concreta dell’attività teatrale. Il Mondo è la realtà in cui vive, che gli fornisce personaggi e situazioni e lo informa sulle abitudini, sui vizi e sulle virtù degli esseri umani. Il Teatro – cioè la concreta esperienza teatrale – gli ha insegnato invece come rappresentare questo patrimonio di contenuti, fornendogli i mezzi più efficaci per catturare l’attenzione del pubblico e divertirlo, mostrandogli i suoi difetti senza urtarne la suscettibilità (posti con buon garbo nel loro punto di vista i difetti […] in modo però, che non urti troppo offendendo, rr. 26-28).

Il miglior modello per un commediografo è la natura (La natura è una universale e sicura maestra a chi la osserva, rr. 46-47). Le regole astratte sono inutili: se lo scopo è divertire e, allo stesso tempo, rendere utile la rappresentazione, è più opportuno capire i gusti e la mentalità del pubblico, che si evolvono nel tempo. D’altra parte, gli stessi scrittori antichi ritenevano che la commedia dovesse ritrarre la realtà, in modo che gli spettatori riconoscessero sulla scena ciò che vedevano nella vita di ogni giorno.

Le scelte stilistiche

Per esprimere l’esperienza diretta della realtà, dalla quale attinge la materia delle sue commedie, Goldoni usa la metafora dei due libri (il Mondo e il Teatro). Il richiamo alla natura, inoltre, echeggia un’altra analoga metafora utilizzata da Galileo, il quale proponeva di leggere il «libro della natura» – anziché i filosofi e la Bibbia – per raggiungere la conoscenza del mondo e delle leggi che lo regolano.

La metafora attraversa il testo con l’impiego di diversi termini che evocano l’uso del libro e l’azione dello studio: l’autore parla di volumi su cui ha meditato (r. 7) e di cui si è servito (r. 8); egli sfoglia (rivolgendolo, r. 16) il libro del Mondo e va maneggiando (r. 19) quello del Teatro per mettere in scena le cose che vi si leggono (r. 21). Inoltre, per sottolineare che la propria arte si fonda sull’esperienza, Goldoni impiega numerosi termini tratti dall’ambito dell’insegnamento (mi mostra, r. 8; mi rappresenta, r. 11; mi fa conoscere, r. 20; Imparo, r. 23; Ho appreso, r. 29).

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Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Riassumi ciò che l’autore afferma di avere imparato dall’esperienza del Mondo e del Teatro. Che relazione c’è tra questi due strumenti di conoscenza e quelli costituiti dai libri a stampa?

Analizzare

2 A quale figura retorica ricorre l’autore alla r. 38: popolo […], nazione […], mondo […]?

  • a Anafora.
  • b Climax.
  • c Chiasmo.
  • d Anastrofe.

Interpretare

3 Se dovessi scegliere una metafora alternativa a quella del libro, quale adotteresti? Perché?

Produrre

4 Scrivere per esporre. Goldoni afferma che i gusti del popolo cambiano come le mode del vestire, e de’ linguaggi (r. 41). Dopo aver esaminato qualche foto dei tuoi genitori o di altri parenti o conoscenti della generazione che ti ha preceduto, scattata quando avevano la tua età, osserva il loro modo di vestire e le acconciature; prova inoltre a documentarti sulle letture, i generi musicali, i passatempi, le espressioni gergali più diffuse tra i giovani a quel tempo. Scrivi poi un testo di circa 30 righe su ciò che ti pare essere rimasto costante e ciò che invece ritieni cambiato, provando a individuare le cause (economiche, sociali, culturali) di tali differenze.

Dibattito in classe

5 Goldoni, come già gli antichi Greci, attribuisce al teatro una funzione eminentemente educativa (rr. 23-28): sei d’accordo con lui? Il teatro ha ancora, nella nostra società, questa funzione o è stato sostituito da qualche altro mezzo di espressione? Discutine con i compagni.

2 Aristocrazia, borghesia, popolo: lo sguardo sulla società

Riformare, non sovvertire L’atteggiamento di Goldoni in relazione al mondo che osserva e rappresenta non è mai dogmatico, e le sue commedie non propongono verità assolute o valori astratti. Sebbene egli non si collochi all’interno di un preciso movimento di idee, la sua visione del mondo è influenzata dalle istanze illuministiche e, pur senza porre in discussione il tradizionale assetto sociale, egli non rinuncerà mai alle posizioni di un cauto riformismo.

In un primo tempo Goldoni si propone soprattutto l’obiettivo di mettere in ridicolo una nobiltà retriva e parassitaria, guardando con simpatia alle figure del mercante e del borghese laborioso. Nella seconda fase della sua esperienza di riforma della commedia (quella che coincide con il lavoro presso il teatro San Luca, dal 1753-1754), invece, la sua opera si fa sempre più spesso denuncia dei difetti e dei vizi della borghesia, che egli vede radicarsi e dilagare. Cresce, di conseguenza, la simpatia e l’ammirazione nei confronti dei ceti popolari, senza peraltro che ciò induca Goldoni ad auspicare un sovvertimento dell’ordine sociale. In realtà, egli intende soprattutto mostrare al pubblico i comportamenti che scaturiscono dalla grettezza e dall’egoismo, promuovendo, attraverso l’ironia e il riso, una nuova moralità fondata sulla dignità, sulla giustizia e sulla ricerca del benessere individuale. Mancano invece analisi e teorizzazioni di natura psicologica o filosofica, così come è assente, nella rappresentazione del popolo, una denuncia delle difficili condizioni materiali che caratterizzano la vita dei ceti più umili.

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I valori promossi dalla commedia riformata L’esigenza di riformare la commedia dell’arte nasce anche da questo intento pedagogico. La scelta di Goldoni di scrivere le battute dei personaggi è dettata non soltanto dal desiderio di mondare il linguaggio dalle volgarità, né solo dalla volontà di rendere più realistiche le situazioni, ma anche dall’intenzione di attribuire alle commedie un ruolo formativo ed educativo. Il teatro, secondo Goldoni, deve sì offrire un’occasione di divertimento, ma anche costituire un’esperienza di maturazione, un veicolo di trasmissione di valori che l’autore deve rendere credibili e condivisibili, calandoli in una realtà quotidiana in cui il pubblico possa rispecchiarsi.

In che cosa consistono tali valori? Si tratta di princìpi ispirati alla moderazione e al rispetto delle regole della convivenza civile, auspicati mediante un atteggiamento edificante che addita la via della virtù e condanna il vizio con fermezza ma senza acrimonia: il teatro di Goldoni celebra così il lavoro, la famiglia, la lealtà, la solidarietà, la parsimonia, l’apertura al dialogo, la ricerca del progresso, la libertà dell’individuo all’interno di una comunità, mostrando quali storture siano provocate dalla mancanza di questi princìpi.

T2

La sfida di Mirandolina

La locandiera, atto I, scene IV-VI, IX; atto II, scene XVI-XIX

Nell’ambiente della locanda, circoscritto ma aperto all’andirivieni dei clienti, entrano in relazione fra loro tutte le classi sociali, rappresentate dai singoli personaggi. La commedia si apre con un’esilarante schermaglia, costituita da frecciate e provocazioni, tra il Conte di Albafiorita e il Marchese di Forlipopoli, che vogliono guadagnarsi, ognuno con le proprie risorse, l’amore di Mirandolina. Un terzo cliente, il Cavaliere di Ripafratta (una località nei pressi di Pisa), manifesta invece la sua riprovazione per il comportamento dei due nobili, sostenendo un proprio, originale punto di vista.

ATTO I, scena quarta


II Cavaliere di Ripafratta dalla sua camera, e detti.

CAVALIERE Amici, che cos’è questo romore? Vi è qualche dissensionefra di voi altri?

CONTE Si disputava sopra un bellissimo punto.2

MARCHESE II Conte disputa meco sul merito della nobiltà. (ironico)

5      CONTE Io non levo il merito alla nobiltà: ma sostengo, che per cavarsi dei capricci,

vogliono esser denari.3

CAVALIERE Veramente, Marchese mio…

MARCHESE Orsù, parliamo d’altro.

CAVALIERE Perché siete venuti a simil contesa?

10    CONTE Per un motivo il più ridicolo della terra.

MARCHESE Sì, bravo! il Conte mette tutto in ridicolo.

CONTE Il signor Marchese ama la nostra locandiera. Io l’amo ancor più di lui.

Egli pretende corrispondenza,4 come un tributo alla sua nobiltà. Io la spero,

come una ricompensa alle mie attenzioni.Pare a voi che la questione non

15    sia ridicola?

MARCHESE Bisogna sapere con quanto impegno io la proteggo.

CONTE Egli la protegge, ed io spendo. (al Cavaliere)

CAVALIERE In verità non si può contendere per ragione alcuna che lo meriti meno.6

Una donna vi altera? vi scompone?7 Una donna? che cosa mai mi convien sentire?

20    Una donna? Io certamente non vi è pericolo che per le donne abbia che

dircon nessuno. Non le ho mai amate, non le ho mai stimate, e ho sempre

creduto che sia la donna per l’uomo una infermitàinsopportabile.

MARCHESE In quanto a questo poi, Mirandolina ha un merito estraordinario.

CONTE Sin qua il signor Marchese ha ragione. La nostra padroncina della locanda è

25    veramente amabile.

MARCHESE Quando10  l’amo io, potete credere che in lei vi sia qualche cosa di grande.

CAVALIERE In verità mi fate ridere. Che mai può avere di stravagante11 costei, che non

sia comune all’altre donne?

MARCHESE Ha un tratto12  nobile, che incatena.

30    CONTE È bella, parla bene, veste con pulizia, è di un ottimo gusto.

CAVALIERE Tutte cose che non vagliono un fico.13 Sono tre giorni ch’io sono in questa

locanda, e non mi ha fatto specie veruna.14

CONTE Guardatela, e forse ci troverete del buono.

CAVALIERE Eh, pazzia! L’ho veduta benissimo. È una donna come l’altre.

35    MARCHESE Non è come l’altre, ha qualche cosa di più. Io che ho praticate le prime

dame,15 non ho trovato una donna che sappia unire, come questa, la gentilezza

e il decoro.

CONTE Cospetto di bacco!16 Io son sempre stato solito trattar donne: ne conosco li

difetti ed il loro debole. Pure con costei, non ostante il mio lungo corteggio17  e

40    le tante spese per essa fatte, non ho potuto toccarle un dito.

CAVALIERE Arte, arte sopraffina. Poveri gonzi!18 Le credete, eh? A me non la farebbe.

Donne? Alla larga tutte quante elle sono.

CONTE Non siete mai stato innamorato?

CAVALIERE Mai, né mai lo sarò. Hanno fatto il diavolo19 per darmi moglie, né mai

45    l’ho voluta.

MARCHESE Ma siete unico della vostra casa: non volete pensare alla successione?

CAVALIERE Ci ho pensato più volte, ma quando considero che per aver figliuoli mi

converrebbe soffrire20 una donna, mi passa subito la volontà.21

CONTE Che volete voi fare delle vostre ricchezze?

50    CAVALIERE Godermi quel poco che ho con i miei amici.

MARCHESE Bravo, Cavaliere, bravo; ci goderemo.

CONTE E alle donne non volete dar nulla?

CAVALIERE Niente affatto. A me non ne mangiano22  sicuramente.

CONTE Ecco la nostra padrona. Guardatela, se non è adorabile.

55    CAVALIERE Oh la bella cosa! Per me stimo più di lei quattro volte un bravo cane da

caccia.

MARCHESE Se non la stimate voi, la stimo io.

CAVALIERE Ve la lascio, se23 fosse più bella di Venere.

Scena quinta


Mirandolina e detti.

60    MIRANDOLINA M’inchino a questi cavalieri. Chi mi domanda24 di lor signori?

MARCHESE Io vi domando, ma non qui.

MIRANDOLINA Dove mi vuole, Eccellenza?

MARCHESE Nella mia camera.

MIRANDOLINA Nella sua camera? Se ha bisogno di qualche cosa verrà il cameriere a

65    servirla.

MARCHESE (Che dite di quel contegno?). (al Cavaliere)

CAVALIERE (Quello che voi chiamate contegno, io lo chiamerei temerità,25 impertinenza).

(al Marchese)

CONTE Cara Mirandolina, io vi parlerò in pubblico, non vi darò l’incomodo di venire

nella mia camera. Osservate questi orecchini. Vi piacciono?

MIRANDOLINA Belli.

CONTE Sono diamanti, sapete?

MIRANDOLINA Oh, li conosco. Me ne intendo anch’io dei diamanti.

CONTE E sono al vostro comando.26

75    CAVALIERE (Caro amico, voi li buttate via). (piano al Conte)

MIRANDOLINA Perché mi vuol ella donare quegli orecchini?

MARCHESE Veramente sarebbe un gran regalo! Ella ne ha de’ più belli al doppio.27

CONTE Questi sono legati alla moda.28 Vi prego riceverli per amor mio.

CAVALIERE (Oh che pazzo!). (da sé)

80    MIRANDOLINA No, davvero, signore…

CONTE Se non li prendete, mi disgustate.29

MIRANDOLINA Non so che dire… mi preme tenermi amici gli avventori della mia locanda.

Per non disgustare il signor Conte, li prenderò.

CAVALIERE (Oh che forca!).30 (da sé)

85    CONTE (Che dite di quella prontezza di spirito?). (al Cavaliere)

CAVALIERE (Bella prontezza! Ve li mangia,31 e non vi ringrazia nemmeno). (al Conte)

MARCHESE Veramente, signor Conte, vi siete acquistato gran merito. Regalare una

donna32 in pubblico, per vanità! Mirandolina, vi ho da parlare a quattr’occhi,

fra voi e me: son cavaliere.

90    MIRANDOLINA (Che arsura! Non gliene cascano).33 (da sé) Se altro non mi comandano,

io me n’anderò.

CAVALIERE Ehi! padrona. La biancheria che mi avete dato, non mi gusta.34 Se non ne

avete di meglio, mi provvederò.35(con disprezzo)

MIRANDOLINA Signore, ve ne sarà di meglio. Sarà servita, ma mi pare che la potrebbe

95    chiedere con un poco di gentilezza.

CAVALIERE Dove spendo il mio denaro, non ho bisogno di far complimenti.

CONTE Compatitelo. Egli è nemico capitale36 delle donne. (a Mirandolina)

CAVALIERE Eh, che non ho bisogno d’essere da lei compatito.

MIRANDOLINA Povere donne! che cosa le hanno fatto? Perché così crudele con noi,

100 signor Cavaliere?

CAVALIERE Basta così. Con me non vi prendete maggior confidenza. Cambiatemi

la biancheria. La manderò a prender pel37 servitore. Amici, vi sono schiavo.38

(parte)

Scena sesta


Il Marchese, il Conte e Mirandolina.

105 MIRANDOLINA Che uomo salvatico!39 Non ho veduto il compagno.40

CONTE Cara Mirandolina, tutti non conoscono il vostro merito.

MIRANDOLINA In verità, son cosi stomacata del suo mal procedere, che or ora lo licenzio41

a dirittura.

MARCHESE Sì; e se non vuol andarsene, ditelo a me, che lo farò partire immediatamente.

110 Fate pur uso della mia protezione.

CONTE E per il denaro che aveste a perdere, io supplirò e pagherò tutto. (Sentite,

mandate via anche il Marchese, che pagherò io). (piano a Mirandolina)

MIRANDOLINA Grazie, signori miei, grazie. Ho tanto spirito42 che basta, per dire ad

un forestiere ch’io non lo voglio, e circa all’utile,43 la mia locanda non ha mai

115 camere in ozio.

[…]

Scena nona


Mirandolina, sola.

MIRANDOLINA Uh, che mai ha detto! L’eccellentissimo signor Marchese Arsura mi

sposerebbe?44 Eppure, se mi volesse sposare, vi sarebbe una piccola difficoltà. Io

non lo vorrei. Mi piace l’arrosto, e del fumo non so che farne. Se avessi sposati

120 tutti quelli che hanno detto volermi, oh, avrei pure tanti mariti! Quanti arrivano

a questa locanda, tutti di me s’innamorano, tutti mi fanno i cascamorti; e

tanti e tanti mi esibiscono45 di sposarmi a dirittura. E questo signor Cavaliere,

rustico46 come un orso, mi tratta sì bruscamente? Questi è il primo forestiere

capitato alla mia locanda, il quale non abbia avuto piacere di trattare con me.

125 Non dico che tutti in un salto47 s’abbiano a innamorare: ma disprezzarmi così?

è una cosa che mi muove la bile48 terribilmente. È nemico delle donne? Non le

può vedere? Povero pazzo! Non avrà ancora trovato quella che sappia fare. Ma

la troverà. La troverà. E chi sa che non l’abbia trovata? Con questi per l’appunto

mi ci metto di picca.49 Quei che mi corrono dietro, presto presto mi annoiano.

130 La nobiltà non fa per me. La ricchezza la stimo e non la stimo. Tutto il mio

piacere consiste in vedermi servita,50 vagheggiata,51 adorata. Questa è la mia

debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne. A maritarmi non ci

penso nemmeno; non ho bisogno di nessuno; vivo onestamente, e godo la mia

libertà. Tratto con tutti, ma non m’innamoro mai di nessuno. Voglio burlarmi

135 di tante caricature di amanti spasimati;52 e voglio usar tutta l’arte per vincere,

abbattere e conquassare53 quei cuori barbari54 e duri che son nemici di noi, che

siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura.


[La locandiera ha messo in atto il suo piano di seduzione per far innamorare il

Cavaliere di Ripafratta, fingendo di approvare la sua avversione per le donne,

dimostrando fastidio per le lusinghe del Conte e del Marchese e assumendo un

atteggiamento di complicità con l’ospite, al quale dedica attenzioni particolari

(come la biancheria preziosa o gli intingoli da lei stessa cucinati esclusivamente

per lui). In seguito all’arrivo alla locanda di due attrici, Ortensia e Dejanira,

che si fingono nobildonne ma vengono ben presto smascherate da Mirandolina,

si innesca una sorta di giocosa competizione fra le tre donne per la conquista

del Cavaliere misogino. Sarà la locandiera, però, a prevalere].

ATTO II, scena sedicesima


Il Cavaliere, solo.

cavaliere Tutti sono invaghiti di Mirandolina. Non è maraviglia, se ancor io principiava

140 a sentirmi accendere.55 Ma anderò via; supererò questa incognita56 forza…

Che vedo? Mirandolina? Che vuole da me? Ha un foglio in mano. Mi

porterà il conto. Che cosa ho da fare? Convien soffrire57 quest’ultimo assalto.

Già da qui a due ore io parto.

Scena diciassettesima


Mirandolina con un foglio in mano, e detto.

145 MIRANDOLINA Signore. (mestamente)

CAVALIERE Che c’è, Mirandolina?

MIRANDOLINA Perdoni. (stando indietro)

CAVALIERE Venite avanti.

MIRANDOLINA Ha domandato il suo conto; l’ho servita. (mestamente)

150 CAVALIERE Date qui.

MIRANDOLINA Eccolo. (si asciuga gli occhi col grembiale, nel dargli il conto)

CAVALIERE Che avete? Piangete?

MIRANDOLINA Niente, signore, mi è andato del fumo negli occhi.

CAVALIERE Del fumo negli occhi? Eh! basta… quanto importa il conto?58 (legge) Venti

155 paoli?59 In quattro giorni un trattamento sì generoso: venti paoli?

MIRANDOLINA Quello è il suo conto.

CAVALIERE E i due piatti particolari che mi avete dato questa mattina, non ci sono nel

conto?

MIRANDOLINA Perdoni. Quel ch’io dono, non lo metto in conto.

160 CAVALIERE Me li avete voi regalati?

MIRANDOLINA Perdoni la libertà. Gradisca per un atto di… (si copre, mostrando di

piangere)

CAVALIERE Ma che avete?

MIRANDOLINA Non so se sia il fumo, o qualche flussione60 di occhi.

165 CAVALIERE Non vorrei che aveste patito, cucinando per me quelle due preziose vivande.

MIRANDOLINA Se fosse per questo, lo soffrirei… volentieri… (mostra trattenersi di piangere)

CAVALIERE (Eh, se non vado via!). (da sé) Orsù, tenete. Queste sono due doppie.61

Godetele per amor mio… e compatitemi…62 (s’imbroglia)63

170 MIRANDOLINA (senza parlare, cade come svenuta sopra una sedia)

CAVALIERE Mirandolina. Ahimè! Mirandolina. È svenuta. Che fosse innamorata di

me? Ma così presto? E perché no? Non sono io innamorato di lei? Cara Mirandolina…

Cara? Io cara ad una donna? Ma se è svenuta per me. Oh, come tu sei

bella! Avessi qualche cosa per farla rinvenire. Io che non pratico64 donne, non

175 ho spiriti,65 non ho ampolle.66 Chi è di là? Vi è nessuno? Presto?… Anderò io.

Poverina! Che tu sia benedetta! (parte, e poi ritorna)

MIRANDOLINA Ora poi è caduto affatto.67 Molte sono le nostre armi, colle quali si

vincono gli uomini. Ma quando sono ostinati, il colpo di riserva sicurissimo è

uno svenimento. Torna, torna. (si mette come sopra)

180 CAVALIERE (torna con un vaso d’acqua) Eccomi, eccomi. E non è ancor rinvenuta. Ah,

certamente costei mi ama. (la spruzza, ed ella si va movendo) Animo, animo. Son

qui cara. Non partirò più per ora.

Scena diciottesima


Il Servitore colla spada e cappello, e detti.

servitore Ecco la spada ed il cappello. (al Cavaliere)

185 CAVALIERE Va via. (al Servitore, con ira)

SERVITORE I bauli…

CAVALIERE Va via, che tu sia maledetto.

SERVITORE Mirandolina…

CAVALIERE Va, che ti spacco la testa. (lo minaccia col vaso; il Servitore parte) E non rinviene

190 ancora? La fronte le suda. Via, cara Mirandolina, fatevi coraggio, aprite gli

occhi. Parlatemi con libertà.

Scena diciannovesima


Il Marchese ed il Conte, e detti.

MARCHESE Cavaliere?

CONTE Amico?

195 CAVALIERE (Oh maledetti!). (va smaniando)

MARCHESE Mirandolina.

MIRANDOLINA Oimè! (s’alza)

MARCHESE Io l’ho fatta rinvenire.

CONTE Mi rallegro, signor Cavaliere.

200 MARCHESE Bravo quel signore, che non può vedere le donne.

CAVALIERE Che impertinenza?

CONTE Siete caduto?68

CAVALIERE Andate al diavolo quanti siete. (getta il vaso in terra, e lo rompe verso il Conte

ed il Marchese, e parte furiosamente)

205 CONTE Il Cavaliere è diventato pazzo. (parte)

MARCHESE Di questo affronto voglio soddisfazione.69 (parte)

MIRANDOLINA L’impresa è fatta. Il di lui cuore è in fuoco, in fiamme, in cenere. Restami

solo, per compiere la mia vittoria, che si renda pubblico il mio trionfo, a

scorno70 degli uomini presuntuosi, e ad onore del nostro sesso. (parte)

 >> pagina 344 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Nella locanda di Mirandolina sono ospitati tre nobili, ognuno dei quali esprime una diversa anima del ceto aristocratico messo in ridicolo da Goldoni. Il Marchese di Forlipopoli e il Conte d’Albafiorita rappresentano rispettivamente una nobiltà di sangue, irrimediabilmente decaduta per avere dilapidato le proprie risorse, e una nobiltà acquisita di recente, che fa sfoggio della ricchezza con l’esibizionismo tipico dei parvenu; il Cavaliere di Ripafratta impersona invece un’aristocrazia ancora fiera e altera, che coltiva fino all’eccesso il proprio senso di superiorità, qui tradotto nel disprezzo per il sentimento amoroso e per l’universo femminile.

Ogni personaggio è caratterizzato da manie e debolezze: il Marchese dall’avarizia e dall’orgoglio per i propri privilegi (Fate pur uso della mia protezione, r. 110); il Conte dalla prodigalità e dalla volgarità, che lo porta a ostentare le proprie ricchezze (E per il denaro che aveste a perdere, io supplirò e pagherò tutto, r. 111); il Cavaliere dalla misoginia, esibita come il segno della sua posizione di forza e di dominio (Ehi! padrona. La biancheria che mi avete dato, non mi gusta, r. 92; Dove spendo il mio denaro, non ho bisogno di far complimenti, r. 96).

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Tutt’altro status sociale contraddistingue il personaggio di Mirandolina. La locandiera eredita certi requisiti della servetta, vivace protagonista della commedia dell’arte, dove appariva con vari nomi (Colombina il più frequente); in particolare, Goldoni recupera dalla tradizione il piglio disinvolto e spregiudicato della maschera, ma approfondisce la sua personalità dotandola di una psicologia complessa che la rende autentica, secondo la concezione della commedia riformata.

Dopo essere stata evocata dagli altri personaggi, Mirandolina si presenta agli spettatori con un lungo monologo in cui liquida la proposta di matrimonio del Marchese, troppo a secco di denaro (da cui il soprannome di Arsura che gli affibbia la donna) per essere preso in considerazione, censura l’atteggiamento del Cavaliere, rustico come un orso (r. 123) e nemico delle donne (r. 126), e rivela la propria attitudine a dominare gli uomini (Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata, rr. 130-131).

Ma Mirandolina non è soltanto sfuggente e seduttiva. Da donna borghese, è anche concreta e calcolatrice (Oh, li conosco. Me ne intendo anch’io dei diamanti, r. 73), scaltra (mi preme tenermi amici gli avventori della mia locanda. Per non disgustare il signor Conte, li prenderò, rr. 82-83) e abile negli affari (e circa all’utile, la mia locanda non ha mai camere in ozio, rr. 114-115). Intascando i regali degli ospiti, godendo della loro devozione e facendo mostra di non volerli offendere (per curare in realtà i propri interessi), Mirandolina tiene legati a sé i suoi corteggiatori senza concedersi e senza danneggiare la propria reputazione.

Il Cavaliere, tuttavia, sembra sottrarsi al gioco della locandiera, con l’intenzione di non cadere nella sua rete. Sentendosi sfidata, Mirandolina ingaggia allora una battaglia per il riscatto del genere femminile: e voglio usar tutta l’arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura (rr. 135-137).

Recependo gli ideali illuministici di emancipazione e uguaglianza, però, Goldoni non si limita a far raggiungere a Mirandolina lo scopo immediato, vincere la ritrosia e la misoginia del Cavaliere: dopo aver fatto capitolare l’uomo, infatti, la donna pretenderà una dichiarazione d’amore pubblica, perché la sua sfida non rappresenta più soltanto una questione privata, ma assume una valenza sociale e ideologica

Le scelte stilistiche

I protagonisti interloquiscono tra loro con frasi brevi e vivaci, che coinvolgono direttamente o indirettamente tutti i personaggi. Alcune battute, rivolte a un unico personaggio, sono però pronunciate sottovoce, di nascosto, in modo che gli altri non sentano. Si crea così una complicità con gli spettatori, i quali sono più informati dei personaggi sulla scena. Ciò avviene in modo ancor più chiaro nelle battute che gli attori pronunciano tra sé e sé e nei monologhi: in quello di Mirandolina, la donna, sfogandosi, rivela al pubblico la sua indole e il piano che sta architettando.

I monologhi mostrano inoltre un aspetto importante del temperamento di Mirandolina. Quando si rivolge agli ospiti, la locandiera parla in modo raffinato, con uno stile formale ed elevato, adeguato agli interlocutori (M’inchino a questi cavalieri. Chi mi domanda di lor signori?, r. 60; Dove mi vuole, Eccellenza?, r. 62); nel monologo, invece, il suo linguaggio diventa spontaneo e colloquiale, con il ricorso a soprannomi di scherno (Marchese Arsura, r. 117), a modi di dire proverbiali (Mi piace l’arrosto, e del fumo non so che farne, r. 119), a similitudini basse e colloquiali (rustico come un orso, r. 123) e a espressioni popolari (mi muove la bile, r. 126).

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Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Riassumi il brano letto in circa 20 righe.


2 A quali mezzi fanno ricorso il Conte e il Marchese per sedurre Mirandolina? perché?


3 Quale atteggiamento ha inizialmente il Cavaliere nei confronti di Mirandolina?

Analizzare

4 Qual è la funzione dei numerosi puntini di sospensione alla scena diciasettesima?


5 Individua i vocaboli che caratterizzano le personalità del Conte e del Marchese, sottolineando quelli riconducibili all’ambito semantico del denaro per il primo e del potere per il secondo.


6 Commenta le scelte sintattiche che contribuiscono a rendere la concitazione del Cavaliere quando deve ammettere con sé stesso i propri sentimenti e quando deve soccorrere Mirandolina svenuta.

Interpretare

7 Rileggi il monologo di Mirandolina nella scena nona: potresti definirla una “femminista ante litteram”? perché?

Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento