Galileo, uno stile tutto nuovo di Marcello Aprile

LETTURA critica

Galileo, uno stile tutto nuovo

di Marcello Aprile

Il linguista Marcello Aprile (n. 1970) evidenzia le novità stilistiche e linguistiche della prosa galileiana, che può essere ritenuta un modello per la successiva trattatistica scientifica italiana. La fiducia nella razionalità dell’universo e nella possibilità dell’essere umano di comprenderne le leggi e i meccanismi si traduce in scelte espressive il più possibile chiare e lineari. La scelta del dialogo è motivata dalla consapevolezza del fatto che le straordinarie novità scientifiche che si intendevano comunicare potevano affermarsi soltanto per via dialettica. Quanto al lessico, la grande innovazione galileiana è stata quella di “tecnificare” parole di utilizzo quotidiano: assumerle, cioè, nel lessico scientifico con significati specifici, tecnici appunto, diversi da quelli dell’uso comune. Lo scienziato pisano ha raggiunto così un equilibrio tra il polo letterario e quello usuale della lingua, fra espressività e tecnicalità del linguaggio.

Esiste, anche per chi non crede nei miti di fondazione, un nome che più degli altri rappresenta il nuovo balzo in avanti che comincia intorno all’ultimo quarto del XVI secolo. Galileo Galilei è senz’altro l’esponente più importante dell’ultimo, grande periodo della scienza italiana (anche se, almeno sul piano linguistico, «certe scelte galileiane appaiono meno inedite del creduto», Altieri Biagi); opera però all’interno di un movimento transnazionale complesso e stratificato in cui, per l’ultima volta nella storia da allora alla contemporaneità, in settori fondamentali come la meccanica e l’astronomia, lo spazio geografico italiano, soprattutto con i poli rappresentati dal nord-est (le università di Bologna e Padova) e dalla Toscana e con l’opera delle Accademie (su tutte quelle dei Lincei e del Cimento), è parte dell’avanguardia europea. 

Il nuovo salto di qualità e fondato, in molti campi della scienza, «sull’uso e la costruzione di strumenti e [su]l rilancio del metodo sperimentale, congiunto in alcuni casi a un’estensione dell’uso della matematica nella descrizione di fenomeni naturali» (Russo, Santoni). Sul piano culturale, come osserva Altieri Biagi, 

«scienziati “nuovi” del Seicento e del Settecento concordano nell’affermare la semplicità a cui si può ridurre la varietà e l’apparente complicazione dei fenomeni naturali, e la regolarità a cui si può ricondurre l’apparente “irregolarità” una volta che l’uomo sia riuscito a impadronirsi delle leggi a cui i fenomeni ubbidiscono. La fede nella struttura razionale dell’Universo, e quindi nella capacità dell’uomo di intenderne intensivamente, se non estensivamente, alcune sue parti, è il fondamento epistemologico su cui si costruiscono tutte le discipline». 

Abbiamo fatto cenno a come già nel Cinquecento il dialogo sia una delle forme fondamentali del trattato, e sia quella che spinge al massimo grado la non-visualità, la scelta di non ricorrere a una delle cifre stilistiche e costitutive della trattatistica rinascimentale. La fortuna di questa forma prosegue e anzi si accentua nel secolo successivo, finendo persino per caratterizzarsi ideologicamente. Per Galileo, che trae il dialogo dalla letteratura e insieme dai trattati ingegneristici del secolo precedente, esso rappresenta un «naturale approdo di una personalità di scienziato e di scrittore che, fin dagl’inizi, aveva avuto piena consapevolezza della “novità” del suo pensiero e del fatto che tale novità, avrebbe potuto affermarsi solo dialetticamente, nei confronti d[ell]a scienza ufficiale» (Altieri Biagi).

La funzione di sfida al sistema ufficiale operata attraverso il dialogo conterà moltissimo: alcuni allievi di Galileo (per esempio Bonaventura Cavalieri) vi rinunceranno per via dei rischi che la sua stessa adozione comportava. Questa forma di comunicazione scientifica sarà poi recuperata, con un’accentuazione didattico-divulgativa, a bufera ormai passata, sulle soglie del Settecento. [...] 

Un’ultima notazione: il Sei-Settecento è anche l’ultima fase della convivenza della cultura scientifica e di quella letteraria nello stesso alveo: la divaricazione parte da qui e non verrà più riassorbita. [...] 

Il lessico della trattatistica scientifica è oggetto di riflessioni radicali da parte degli scienziati sei-settecenteschi. Se il Seicento è il secolo in cui si assiste alla «drastica riduzione della terminologia araba e [a]l progressivo annacquamento della terminologia “umorale” »1 (Altieri Biagi), quello successivo «per tanti altri versi è il primo vero secolo della modernità» (Serianni). [...] 

Galileo rappresenta un caso a sé, ma per la sua importanza come maestro della fisica finisce per influenzare la lingua e la formazione del lessico di questa scienza per secoli. Come scrive acutamente Migliorini, «non c’è dubbio che se ancor oggi i fisici ricorrono a termini usuali tecnificati (pet es. “teoria dei quanti”) piuttosto che a termini greco-latini come in altre scienze, ciò è dovuto all’impianto galileiano della terminologia della fisica, e alla tradizione che egli ha creato». Com’è troppo noto per insistervi ulteriormente, la tendenza imposta dallo scienziato alla fisica, ma anche agli scienziati che pur occupandosi di altri temi possono essere ricondotti al suo esempio, è la tecnificazione di parole del lessico comune, spesso costituite da nomi oggetti dell’esperienza quotidiana (secondo una modalità non diversa da quella introdotta da Serlio2 per il lessico architettonico), non compromesse dall’uso scientifico precedente, verso cui la rinuncia appare piuttosto radicale. Abbiamo così casi studiati in modo esemplare da Altieri Biagi: momento, impeto, forza, potenza, resistenza, contatto, gravità, limbo/lembo, e via dicendo. 

Galileo accoglie anche, ma con modalità molto selettive e orientate anche dal proprio gusto personale, la terminologia della trattatistica cinquecentesca, scritta in un linguaggio troppo rozzo e orientato sulle applicazioni pratiche per poter aspirare al prestigio di una buona accoglienza presso lo strato socio-cultutale alto (ivi). In definitiva, «espressivismi e tecnicismi non mancano nella prosa di Galileo, ma il loro accoglimento appare attentamente vigilato. In questa prosa elegante ed armoniosa, uno dei mezzi con cui si realizza l’armonia sembra proprio essere l’eliminazione delle caratterizzazioni stilistiche estreme, il raggiungimento di un equilibrio stabile fra il polo letterario e quello usuale, fra il polo espressivo e quello tecnico della lingua» (ivi). 

Il risultato finale è l’ampiezza e la stabilità semantica del lessico, in una forma e in una misura prima inesistenti. Il lessico intellettuale cresce e si sviluppa: esemplare è la storia di due parole, modello e struttura, oggi usate nell’accezione coniata ex novo da Malpighi3 (Altieri Biagi) dall’intero arco del sapere. 


Marcello Aprile, Trattatistica, in Storia dell’italiano scritto. II. Prosa letteraria, a cura di G. Antonelli, M. Motolese, L. Tomasin, Carocci, Roma 2014

Comprendere il pensiero critico

1 Per quali motivi il dialogo è considerato una delle forme fondamentali del trattato a partire dal Cinquecento?


2 Quali sono gli elementi che rendono la prosa galileiana elegante e armoniosa?

Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Volti e luoghi della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento