T1 - Canzone al Metauro (Rime)

T1

Canzone al Metauro

Rime, 573

Nel 1578, in fuga da Ferrara, Tasso trova ospitalità a Urbino, dove lo attende il duca Francesco Maria II della Rovere, che era stato suo compagno di studi. Nel chiedere protezione alla famiglia, che omaggia con un iniziale encomio di rito, il poeta coglie l’occasione per ripercorrere la propria vicenda esistenziale, segnata sin dai primi anni dall’accanirsi della Fortuna. La meditazione autobiografica non viene ultimata e la Canzone al Metauro resta incompiuta, ma il poeta la riterrà comunque un testo importante, tanto da citarlo in varie occasioni successive.


Metro Canzone di 3 strofe formate da 16 endecasillabi e 4 settenari, con schema di rime aBCaBCCDEeDFGGFHhFII (nella prima strofa, ai vv. 5-6, abbiamo però CB).

O del grand’Apennino

figlio picciolo sì, ma glorioso

e di nome più chiaro assai che d’onde,

fugace peregrino

5      a queste tue cortesi amiche sponde

per sicurezza vengo e per riposo.

L’alta Quercia che tu bagni e feconde

con dolcissimi umori, ond’ella spiega

i rami sì ch’i monti e i mari ingombra,

10    mi ricopra con l’ombra.

L’ombra sacra, ospital, ch’altrui non niega

al suo fresco gentil riposo e sede,

entro al più denso mi raccoglia e chiuda,

sì ch’io celato sia da quella cruda

15    e cieca dea, ch’è cieca e pur mi vede,

ben ch’io da lei m’appiatti in monte o ’n valle,

e per solingo calle

notturno io mova e sconosciuto il piede;

e mi saetta sì che ne’ miei mali

20    mostra tanti occhi aver quanti ella ha strali.

Oimè! dal dì che pria

trassi l’aure vitali e i lumi apersi

in questa luce a me non mai serena,

fui de l’ingiusta e ria

25    trastullo e segno, e di sua man soffersi

piaghe che lunga età risalda a pena.

Sassel la gloriosa alma sirena,

appresso il cui sepolcro ebbi la cuna:

così avuto v’avessi o tomba o fossa

30    a la prima percossa!

Me dal sen de la madre empia fortuna

pargoletto divelse. Ah! di quei baci,

ch’ella bagnò di lagrime dolenti,

con sospir mi rimembra e de gli ardenti

35    preghi che se ’n portar l’aure fugaci:

ch’io non dovea giunger più volto a volto

fra quelle braccia accolto

con nodi così stretti e sì tenaci.

Lasso! e seguii con mal sicure piante,

40    qual Ascanio o Camilla, il padre errante.

In aspro esiglio e ’n dura

povertà crebbi in quei sì mesti errori;

intempestivo senso ebbi a gli affanni:

ch’anzi stagion, matura

45    l’acerbità de’ casi e de’ dolori

in me rendé l’acerbità de gli anni.

L’egra spogliata sua vecchiezza e i danni

narrerò tutti. Or che non sono io tanto

ricco de’ propri guai che basti solo

50    per materia di duolo?

Dunque altri ch’io da me dev’esser pianto?

Già scarsi al mio voler sono i sospiri,

e queste due d’umor sì larghe vene

non agguaglian le lagrime e le pene.

55    Padre, o buon padre, che dal ciel rimiri

egro e morto ti piansi, e ben tu il sai,

e gemendo scaldai

la tomba e il letto: or che ne gli alti giri

tu godi, a te si deve onor, non lutto:

60    a me versato il mio dolor sia tutto.

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Analisi ATTIVA

I contenuti tematici

L’occasione da cui nasce la canzone è encomiastica, ma l’omaggio ai signori di Urbino, nuovi protettori del poeta, si esaurisce in pochi versi iniziali, dedicati al fiume Metauro, nei pressi del quale sorge la corte di Urbino, e all’alta Quercia, l’insegna dei della Rovere (vv. 1-12), dopo i quali balza in primo piano il motivo autobiografico del fugace peregrino (v. 4).

1 Quale relazione si instaura tra la quercia e il poeta? A quale situazione biografica allude tale rapporto?

Nel rievocare le diverse tappe della propria vita, Tasso fa risalire alla nascita l’inizio delle avversità che l’hanno dolorosamente segnata (vv. 21-30). Le persecuzioni della Fortuna, cruda, e cieca dea (vv. 14-15), poi richiamata da immagini amaramente patetiche (ingiusta e ria, v. 24; empia fortuna, v. 31), non lo hanno mai abbandonato, toccando gli affetti familiari, strappandolo dal seno materno e costringendolo a vivere lontano (l’aspro esiglio, v. 41). Sigillata da questi incancellabili segni della sofferenza, l’esistenza di Tasso è stata scandita da un continuo vagabondare (mesti errori, v. 42), sotto la minaccia anche della povertà. Nella terza e ultima stanza* ricorre l’immagine del padre Bernardo, oppresso come lui dall’esilio e dalla malattia. Il ricordo della sua morte divide però le due sorti, prima unite dal dolore e dal destino avverso: mentre Bernardo è ormai sereno e beato nella quiete del cielo, il poeta è costretto ancora a versare lacrime, commiserando la propria permanente condizione di afflitto.


La Fortuna è solitamente rappresentata come una divinità cieca e bendata: in che modo Tasso rinnova l’iconografia tradizionale? Perché?


3 Quale luogo viene particolarmente rimpianto dal poeta?


4 Come viene delineato il rapporto tra padre e figlio?

Il verso finale è tragico e solenne. La canzone rimane incompiuta, ma non è incompiuto il senso del contenuto autobiografico del testo, sancito dalla conclusione vittimistica e dolente. Il ritratto, infatti, disegna con tono epico un’immagine eroica del poeta martire. L’eroismo – particolarmente apprezzato in epoca successiva dai poeti romantici, Leopardi su tutti – non riposa però sull’autocelebrazione né scaturisce dal racconto di imprese vittoriose: si tratta piuttosto di un eroismo patetico e sconsolato, che nasce dall’accettare sino in fondo, quasi con stoica sopportazione, il proprio destino doloroso e sventurato.


5 Che cosa ha sviluppato il poeta, a causa delle avversità patite?

Le scelte stilistiche

L’intento di rappresentare la tragedia dell’esule afflitto dalla sorte è reso dal tono alto e solenne di tutta la canzone. La volontà di elevare lo stile, già indicata a livello metrico dal netto predominio dell’endecasillabo* sul settenario*, si coglie sin dai primi versi, quando troviamo la lunga perifrasi di carattere storico utilizzata per indicare il Metauro, entro la quale si innestano la metafora* e l’inversione* O del grand’Apennino figlio e l’antitesi* di picciolo sì, ma glorioso.


6 I rami della quercia sono così grandi da coprire mare e terra: a che cosa alludono?

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Tutta la canzone è puntellata di figure retoriche, tese ad accentuare il pathos del discorso: significativo, in tal senso, è l’uso delle interiezioni, delle interrogative retoriche, delle ripetizioni (ombra, vv. 10-11; cieca, v. 15; acerbità, vv. 45-46; padre, v. 55) e delle perifrasi* con cui viene rappresentata la sorte, nelle vesti allegoriche di una Fortuna-dea bendata che perseguita implacabilmente (ai vv. 14-15 e 24). Sempre nell’ottica della trasfigurazione lirica va letto il ricorso alla reminiscenza letteraria: l’allusione alla sirena Partenope (v. 27), la citazione petrarchesca (l’emistichio* con sospir mi rimembra, v. 34, proviene da Chiare, fresche et dolci acque, v. 5,  T12, p. 399) e il riferimento ad Ascanio e Camilla, personaggi virgiliani, sono indizi di una precisa strategia di innalzamento. Infine, per enfatizzare adeguatamente la tensione, Tasso spezza frequentemente il verso adottando la tecnica dell’enjambement*, che aveva appreso in particolare dalla produzione poetica di Giovanni Della Casa ( p. 674).


7 Quale tema presente fin dall’inizio del testo viene accentuato dal riferimento ad Ascanio e perché?


8 Scrivere per argomentare. Partendo dall’intento encomiastico che è alla radice di questa poesia, rifletti sul rapporto fra intellettuali e potere in Tasso e in altri letterati del Cinquecento, scrivendo un testo argomentativo di circa 30 righe.


9 Scrivere per confrontare. Il tema dell’esilio ricorre spesso nei componimenti letterari. Facendo riferimento ad autori già studiati (Dante e Machiavelli, per esempio), scrivi un testo espositivo di circa 30 righe.

La dea bendata

L’iconografia della dea Fortuna, che nasce nel mondo classico, ha una lunga evoluzione nell’arte occidentale: alla fine dell’Ottocento il pittore inglese Edward Burne-Jones riprende le caratteristiche principali dell’immagine antica in una tela che, fin dalla sua prima esposizione a Londra nel 1883, fu considerata un capolavoro della nuova arte preraffaellita. Rifiutando radicalmente le scoperte della modernità, i preraffaelliti desideravano il ritorno nostalgico alla purezza delle forme medievali. La dea regge la ruota, simbolo della mutevolezza della sorte, e lo strumento arriva a occupare tutta la lunghezza della tela. La donna, enorme e implacabile, costituisce il contrappunto alle figure dei mortali, schiacciati dal suo volere: gli uomini – uno schiavo, un re, un poeta – idealmente raffigurano varie tipologie umane, sottoposte alla mutevolezza della sorte.

Volti e luoghi della letteratura - volume 1
Volti e luoghi della letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento