La congiura di don Giulio
Una feroce storia di vendetta familiare
Nel 1505 il duca di Ferrara Ercole I d’Este muore, e gli succede il duca Alfonso, suo primogenito. Alfonso era stato un giovane turbolento, insensibile all’arte, amante dei divertimenti più sfrenati; ora però, nel regnare, mostra abilità e fermezza. Gli è solidale il fratello Ippolito, che lo appoggerà per tutta la vita, nonostante la grande diversità di carattere: Ippolito – creato cardinale all’età di quattordici anni – è colto, raffinato, calcolatore, ma anche irascibile.
L’accordo tra Alfonso e Ippolito esclude un fratello, Ferrante, il secondogenito, che si sente messo da parte e non si rassegna a tale disegno. La sua ambizione è quella di sostituirsi ad Alfonso alla guida del ducato.
Con i tre fratelli vive anche don Giulio, figlio illegittimo di Ercole, ma cresciuto ed educato con loro. Giulio è un giovane di bell’aspetto, frivolo e dissoluto. Non si interessa di politica, essendo invece dedito alle avventure galanti. Tuttavia proprio da lui ha origine un dramma che rischia di travolgere il ducato estense.
Giulio, famoso per il fascino del suo sguardo, fa innamorare una gentildonna, a sua volta amata da Ippolito. Quest’ultimo, furente di gelosia, tende un agguato al fratellastro, facendolo colpire proprio agli occhi. Giulio rimane cieco da un occhio, mentre l’altro resta fortemente compromesso.
Ippolito meriterebbe una severa punizione, ma le cautele diplomatiche (la necessità di evitare uno scandalo che potrebbe oltrepassare i confini del ducato) fanno sì che il duca Alfonso minimizzi l’accaduto. Naturalmente, Giulio è di diverso avviso, e il suo risentimento verso Ippolito e verso Alfonso cresce.
Per questo motivo Giulio si avvicina a Ferrante. I due concepiscono un piano: uccideranno Alfonso e Ippolito; in tal modo Giulio soddisferà la propria sete di vendetta, Ferrante quella di potere. La congiura viene organizzata. Ma l’abile cardinale Ippolito si accorge di qualcosa. Freddo, lucido, attento, si mette in guardia, fa sorvegliare Giulio e Ferrante, li osserva, li controlla, e infine la macchinazione è svelata.
I due giovani, non ancora trentenni, sono condannati a morte ma la pena viene poi commutata nel carcere a vita. È il settembre del 1506. Ferrante morirà in prigione a sessantatré anni, Giulio ne uscirà invece dopo avere superato gli ottanta (avendo dunque passato in cella oltre mezzo secolo), quando ormai i protagonisti dell’epoca della sua giovinezza sono quasi tutti scomparsi, Ariosto compreso.