Il conflitto psicologico di un poeta del Novecento
Il modello della poesia di Petrarca non agisce solo sulla lingua, dove pure la sua influenza è stata per secoli capillare, ma anche sull’immaginario. Lo dimostra efficacemente l’opera del lombardo Vittorio Sereni (1913-1983), nella quale la compostezza formale si accompagna all’atteggiamento introspettivo e di confessione tipico del Canzoniere.
Nato a Luino, sul Lago Maggiore, e laureatosi in Lettere a Milano, Sereni esordisce nel 1941 con la raccolta Frontiera, dove si notano alcune caratteristiche della corrente poetica allora prevalente, l’Ermetismo, così definito per l’oscurità e la difficile accessibilità dei suoi contenuti lirici. Sottufficiale durante la Seconda guerra mondiale, il poeta viene fatto prigioniero dagli alleati angloamericani nel luglio del 1943 e recluso in vari campi di lavoro nell’Africa settentrionale fino alla conclusione del conflitto. Da questa esperienza nasce la sua seconda raccolta, ▶ Diario d’Algeria, pubblicata nel 1947: il dramma appena vissuto è rappresentato con uno stile sobrio e realistico, peraltro condiviso da altri poeti della sua generazione che la critica ha collocato all’interno di una vera e propria “linea lombarda”. A rendere peculiari, però, i versi di Sereni sono la volontà di aderire alle cose, il gusto per la quotidianità e soprattutto la percezione profonda di uno scacco esistenziale, di una difficoltà di vivere.
Echi petrarcheschi si colgono proprio nel dualismo di fondo che agita la sua coscienza di uomo e di poeta, scisso tra il desiderio di aderire all’esistenza e una condizione psicologica di disorientamento, di confusione, di estraneità alla Storia e a sé stesso. Come annotati su un diario, tali stati d’animo affiorano dalla memoria, turbata dalla perdita della giovinezza e da un senso, già quasi definitivo, di sconfitta. Ne è un esempio questa poesia, dal titolo Risalendo l’Arno da Pisa, scritta nel dicembre del 1942:
O mia vita mia vita ancora ansiosa
d’un urbano decoro…
Se case e campi diventano vacui
se assurde si fanno le voci
5 e il velo sollevare non sai più,
è tua quella bruma, tristezza
foriera a ritroso dalle foci
d’una sua grigia bellezza.
Poi venne una zazzera d’oro
10 su un volto nebbioso.
Fu un giorno di fine anno
nel torvo tempo di guerra
a Santa Croce sull’Arno.