Petrarca e il modello di sé stesso di Enrico Fenzi

LETTURA critica

Petrarca e il modello di sé stesso 

di Enrico Fenzi

Il protagonista assoluto della produzione letteraria di Petrarca è Petrarca stesso. Ciò è così vero che di lui conosciamo molto, moltissimo: quasi come se fosse un nostro contemporaneo. O, meglio, conosciamo quanto egli ha voluto che noi conoscessimo. Su questa dimensione autobiografica, fondamentale per comprendere il poeta oltre che il personaggio Petrarca, ragiona uno dei massimi studiosi contemporanei dell’autore del Canzoniere, Enrico Fenzi (n. 1939).

Nell’avvicinarci a Petrarca, occorre subito dire che noi conosciamo la sua vita meglio di quella di qualsiasi altra persona vissuta prima di lui: basti pensare a Dante, per esempio, del quale, al confronto, si può dire che sappiamo assai poco. Di Petrarca, invece, ci sembra di sapere tutto (il che, vedremo, non è poi così vero). Non solo abbiamo le copie autografe di molte delle sue opere, ma abbiamo pure, e il caso ha a volte dello stupefacente, anche le brutte copie. Conserviamo i libri che ha letto e leggiamo sui loro margini le note che vi ha posto. Conosciamo i suoi amici e tutto il ramificato intreccio dei suoi rapporti; le case che ha abitato e i viaggi che ha fatto. Sappiamo della sua salute, e di quello che mangiava e come vestiva, e sappiamo come passava i momenti della giornata, e quale fosse la sua passione per il giardinaggio e la pesca ecc. Ma come sappiamo tutto questo? Per una ragione semplice solo in apparenza: Petrarca medesimo ce l’ha detto, attraverso le sue opere. 

Ecco dunque che dobbiamo prendere atto di un fatto assolutamente singolare. Petrarca ha messo un impegno minuzioso e costante nel fornire tutti gli elementi attraverso i quali i posteri potessero ricostruire la sua vita e la sua personalità secondo l’immagine ch’egli ha voluto dare di sé. Ed ha vinto. Accade infatti che qualsiasi vita di Petrarca è obbligata a basarsi non sulle testimonianze esterne e propriamente storiche che il suo tempo ci ha lasciato, ma sulle sue. Le parole di Petrarca hanno messo le altre fuori gioco, e per quanto lo studioso moderno le rilegga in maniera critica e s’ingegni di andare oltre lo strato delle intenzioni autoapologetiche1 e dei veri e propri miti personali ai quali il poeta ha dato corpo, non potrà tuttavia evitare di muoversi entro l’orizzonte tracciato una volta per tutte dall’interessato. Le opere di Petrarca hanno la caratteristica di parlarci di lui non solo nel senso ovvio che ce ne mostrano in atto la sensibilità, la cultura, gli affetti, i giudizi, le scelte di vita, ma in quello più specifico e del tutto peculiare per cui il ritratto dell’autore che in maniera più o meno esplicita ne emerge è qualcosa che fa parte integrante e affatto voluta del loro disegno ideale. 

Se tutte le opere rilasciano elementi destinati sin dall’origine a comporre i tratti di un’ideale autobiografia, alcune sono dedicate allo scopo in maniera specifica. Si tratta soprattutto delle lettere, ordinate in due grandi raccolte, le Familiares, in ventiquattro libri, e le Seniles in diciassette (ma ci sono ancora le Sine nomine e le Varie, che portano il totale delle lettere a 574). Tali raccolte vanno considerate come opere a loro modo organiche, perché Petrarca non si è limitato a mettere insieme le lettere effettivamente mandate ai suoi numerosi corrispondenti, ma nel momento nel quale le inseriva nella raccolta le ha rielaborate anche profondamente e (ciò vale specialmente per i primi libri delle Familiares) tra esse ha inserito varie lettere fittizie, cioè composte proprio per corroborare l’implicito disegno che soggiace e determina l’apparente frammentarietà delle occasioni e degli argomenti trattati nelle lettere reali. Molte lettere, poi, intendono essere esplicitamente autobiografiche, specialmente nella raccolta più tarda, le Seniles; di più, è significativo che egli, a partire dagli anni ’50, abbia a varie riprese lavorato a una lettera, la Posteritati, che, rimasta incompiuta, avrebbe dovuto costituire da sola il libro diciottesimo e ultimo delle Seniles. Qui egli si rivolge appunto a quanti vivranno dopo di lui per dare conto di sé sotto l’aspetto fisico, morale e intettuale: rivendica d’essere stato amato e onorato dai più grandi sovrani del tempo, ma ribadisce pure la sua completa indipendenza e libertà e indica nella solitudine e nello studio gli elementi centrali attorno ai quali s’è organizzata la sua intera esperienza di vita. 

Su un piano diverso, anche altre opere sono d’impianto autobiografico: tra tutte lo è il Secretum, una sorta di lungo esame di coscienza costruito attraverso il dialogo tra la figura dell’autore, Francesco, e il prediletto sant’Agostino; lo sono le opere polemiche, tra le quali spicca il De ignorantia, ove Petrarca trova modo di riassumere nella maniera più organica i fondamenti dei suoi atteggiamenti intellettuali e in senso lato filosofici; lo sono le poesia raccolte nei tre libri delle Epystole, e dense di motivi autobiografici sono le dodici egloghe del Bucolicum carmen. Né si può ovviamente tacere di quel diario intimo ch’è la sua opera maggiore, il Canzoniere, né dell’altra sua opera, i Trionfi. Queste due opere, le uniche che Petrarca abbia scritto in volgare italiano, saranno considerate più avanti. Qui basti dire, in apertura, che le linee guida per conoscerne e giudicarne la vita sono quelle che egli stesso ha saputo predisporre con grande sapienza strategica. Ma tali linee guida quali sono? O, detto in altri termini, quale immagine egli ha voluto costruire di sé? 

La risposta è complessa, e può essere affidata solo ai risultati di un discorso lungo e articolato. Un punto fondamentale, tuttavia, può essere messo in chiaro fin dal principio, e riguarda il nesso che stringe la fama e il prestigio di cui egli ha goduto, da una parte, e la sua attività dall’altra. In tutte le sue proiezioni autobiografiche, infatti, Petrarca mostra di avere uno scopo ben preciso: dimostrare che il suo successo non è stato mai e poi mai merce di scambio, e cioè il risultato di eventuali servizi resi ai potenti con i quali è stato in rapporto, ma piuttosto il disinteressato riconoscimento che gli uomini più eminenti del tempo hanno dovuto rendere alla qualità e alle realizzazioni del suo intelletto. In maniera che può apparire perfino spudorata, Petrarca ha scritto, per esempio nella Posteritati, che i sovrani, in particolare Roberto d’Angiò e l’imperatore Carlo IV di Boemia, lo hanno amato e onorato solo in virtù dell’ammirazione che essi avevano per lui: erano essi a ricercarlo e a voler godere della sua amicizia, insomma, non egli della loro. 

Si è detto varie volte che Petrarca è stato il primo intellettuale moderno, nel senso che è stato il primo a concepirsi come tale, e ad esaltare l’autonomia e il valore di un ruolo siffatto. Ebbene, non c’è dubbio che, nel momento in cui attribuisce il proprio successo all’ammirazione per la sua figura d’intellettuale, egli ne fonda precisamente il mito e lo rilancia ai posteri proponendosi come colui che quel mito ha effettivamente realizzato. In questo senso, è vero: dell’intellettuale moderno egli è stato l’inarrivabile archetipo, e lo è stato perché gli ha dato forma consapevole e ha personalmente sperimentato, si direbbe una volta per tutte, l’intero spettro delle sue possibilità di affermazione. 


Enrico Fenzi, Petrarca, Il Mulino, Bologna 2008, pp. 9-12

Comprendere il pensiero critico

1 Quali sono le opere che secondo le intenzioni di Petrarca dovevano costituire la sua autobiografia?


2 Quale messaggio l’autore intende trasmettere con l’epistola Posteritati?


3 Che cosa significa che Petrarca è modello del moderno intellettuale? Quali valori rivendica per questa figura?

Volti e luoghi della letteratura - volume 1
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