2 - La tensione spirituale

2 La tensione spirituale

I nodi irrisolti della personalità petrarchesca Uno dei temi portanti della produzione di Petrarca è la descrizione del proprio tormento interiore, l’incapacità di risolvere il dissidio profondo tra vita spirituale e passioni mondane, tra scelta religiosa e gloria letteraria. L’incessante inquietudine si esprime nei lunghi viaggi, nella ricerca, nella riflessione e nella capacità analitica di trasporre nei testi questa ricerca, senza che il poeta nasconda la difficoltà di trovare la propria pace interiore.

La figura dell’intellettuale cristiano Talvolta egli sa riconoscere i limiti delle proprie aspirazioni fondate su obiettivi e passioni di breve durata, ma non riesce a imboccare senza incertezze la strada spirituale. Daltronde la sua interpretazione del messaggio cristiano lo porta a vivere una religiosità tutta interiore, ma nutrita delle esperienze e delle bellezze offerte dalla vita umana: la costante meditazione su sé stesso non gli fa infatti abbracciare il misticismo tradizionale né tanto meno lo induce ad assorbire la propria morale in quella ufficiale e dogmatica della Chiesa.

Si afferma così una visione nuova dellintellettuale cristiano, che ormai vive dentro un orizzonte laico, interrogandosi sui valori dellumanità e soprattutto mediando (o almeno tentando di mediare) nella propria cultura la sapienza degli scrittori antichi con una rinnovata spiritualità da alimentare grazie all’originale insegnamento evangelico.

Una devozione laica Per Petrarca non contano tanto la teologia e la pratica esteriore della religione: si rileva invece necessaria una sorta di devozione moderna, che arricchisca il rispetto dei comandamenti della legge di Dio con quella nobile occupazione che è la conoscenza di sé e del proprio ruolo nel mondo reale. Per questa ragione lo studio dei classici costituisce una vera e propria scelta di vita, che richiede la stessa devozione necessaria nella vita votata alla scelta religiosa.

La solitudine come conforto Come scrive nel trattato De vita solitaria, lisolamento dello studioso rappresenta la chiave per liberarsi dai vincoli mondani e raggiungere così una profondità di riflessione che è il dovere più alto di un intellettuale laico. Realizzando lideale di una tranquilla esistenza libera dalle preoccupazioni di ordine pratico e dagli interessi materiali, il poeta può così cogliere nella solitudine e nel silenzio la condizione più favorevole per una vita terrena dedita alla meditazione e alle gioie dello spirito, finalmente lontana dai pericoli e dalle tentazioni del mondo.

T2

Il male di vivere chiamato “accidia”

Secretum, II

Il secondo libro del Secretum mette a nudo i tormenti e le inquietudini in cui si dibatte l’animo del poeta. Agostino infatti pone davanti agli occhi di Francesco i mali che lo assediano per indurlo a pentirsi e a modificare il suo atteggiamento nei confronti di sé stesso e della vita. In questo brano, in particolare, si sofferma sulla causa dell’inerzia spirituale dell’interlocutore, il tremendo peccato capitale che prende il nome di “accidia”.

agostino Ti domina una funesta1 malattia dell’animo, che i moderni hanno chiamato
accidia e gli antichi aegritudo.

francesco Il nome solo di essa mi fa inorridire.

AGOSTINO Non me ne meraviglio, poiché ne sei tormentato a lungo e gravemente.

5      FRANCESCO È vero; e a ciò s’aggiunge che mentre in tutte quante le passioni da cui
sono oppresso è commisto un che di dolcezza, sia pur falsa, in questa tristezza
invece tutto è aspro, doloroso e orrendo; e c’è aperta sempre la via alla disperazione
e a tutto ciò che sospinge le anime infelici alla rovina. Aggiungi che delle
altre passioni soffro tanto frequenti quanto brevi e momentanei gli assalti; questo

10    male invece mi prende talvolta così tenacemente, da tormentarmi nelle sue
strette giorno e notte; e allora la mia giornata non ha più per me luce né vita,
ma è come notte d’inferno e acerbissima morte. E tanto di lagrime e di dolori
mi pasco con non so quale atra voluttà,2 che a malincuore (e questo si può ben
dire il supremo colmo delle miserie!) me ne stacco.

15    AGOSTINO Conosci benissimo il tuo male; tosto ne conoscerai la cagione.3 Di’ dunque:
che è che ti contrista tanto? il trascorrere dei beni temporali, o i dolori fisici
o qualche offesa della troppo avversa fortuna?

FRANCESCO Un solo qualsiasi di questi motivi non sarebbe per sé abbastanza valido.
Se fossi messo alla prova in un cimento4 singolo, resisterei certamente; ma ora 

20    sono travolto da tutto un loro esercito.

AGOSTINO Spiega più particolarmente ciò che ti assale.

FRANCESCO Ogni volta che mi è inferta qualche ferita dalla fortuna, resisto impavido,
ricordando che spesso, benché da essa gravemente colpito, ne uscii vincitore.
Se tosto essa raddoppia il colpo, comincio un poco a vacillare; che se alle due 

25    percosse ne succedono una terza e una quarta, allora sono costretto a ritirarmi
– non già con fuga precipitosa ma passo passo – nella rocca della ragione. Ivi,
se avviene che la fortuna mi si accanisca intorno con tutta la sua schiera, e mi
lanci addosso per espugnarmi le miserie della umana condizione e la memoria
dei passati affanni e il timore dei venturi, allora finalmente, battuto da ogni 

30    parte e atterrito dalla congerie5 di tanti mali, levo lamenti. Di lì sorge quel mio
grave dolore: come ad uno che sia circondato da innumerevoli nemici e a cui
non si apra alcuno scampo né alcuna speranza di clemenza né alcun conforto,
ma ogni cosa lo minacci. Ecco, le macchine6 sono drizzate, sotto terra i cunicoli
sono scavati, già oscillano le torri; le scale sono appoggiate ai bastioni; s’agganciano 

35    i ponti alle mura; il fuoco percorre le palizzate. Vedendo d’ogni parte
balenare le spade e minacciosi i volti nemici, e prevedendo prossimo l’eccidio,
non paventerà esso e non piangerà, posto che, se anche cessino questi pericoli,
già solo la perdita della libertà è dolorosissima agli uomini fieri?

AGOSTINO Benché tu abbia trascorso su tutto ciò un poco confusamente, pure capisco 

40    che la causa di tutti i tuoi mali è un’impressione sbagliata che già prostrò e
prostrerà infiniti altri. Giudichi tu di star male?

FRANCESCO Anzi, pessimamente.

AGOSTINO Per qual ragione?

FRANCESCO Non per una, certo, ma per infinite.

45    AGOSTINO Tu fai come quelli che per qualsiasi anche lievissima offesa tornano al
ricordo dei vecchi contrasti.

FRANCESCO Non è in me piaga così antica che abbia ad essere cancellata dalla dimenticanza;
le cose che mi tormentano sono tutte recenti. E ancor che col tempo
qualche cosa si fosse potuta sanare, la fortuna torna così spesso a percuotere in 

50    quel punto, che nessuna cicatrice può mai saldare l’aperta piaga. Aggiungi l’aborrimento7 
e il disprezzo dello stato umano; da tutte queste cagioni oppresso,
non mi riesce di non essere tristissimo. Non do importanza che questa si chiami
aegritudo o accidia o come altrimenti vuoi. Siamo d’accordo sulla sostanza.

AGOSTINO Poiché, a quanto veggo, il male ti si è abbarbicato con profonde radici, 

55    non basterà averlo tolto via alla superficie, che rispunterebbe rapidamente: bisogna
strapparlo radicalmente; ma sto incerto donde incominciare, tante sono
le cose che mi trattengono. Ma per agevolare l’effetto dell’opera col ben precisare,
percorrerò ogni singolo particolare. Dimmi dunque: quale cosa ritieni per
te precipuamente8 molesta?

60    FRANCESCO Tutto quanto primamente vedo, odo ed intendo.

AGOSTINO Perbacco, non ti piace nulla di nulla.

FRANCESCO O nulla o proprio poche cose.

AGOSTINO Speriamo almeno che ti piaccia ciò che è salutare! Ma che ti spiace di più?
Rispondimi per favore.

65    FRANCESCO Ti ho già risposto.

AGOSTINO Tutto ciò è caratteristico di quella che ho chiamata accidia. Tutte le cose
tue ti spiacciono.

 >> pagina 360

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Nel primo libro del Secretum, a Francesco che lamentava l’infelicità e la disperazione che gli avvelenano l’esistenza, Agostino aveva risposto mostrando la radice di tanta sofferenza, ovvero quel difetto della volontà che impedisce anche ad animi non meschini di scegliere il vero bene e dirigersi verso di esso con fermezza. Ora, nel secondo libro, la posizione dell’autore delle Confessioni si fa più netta: con un vero e proprio atto d’accusa, sottopone l’interlocutore a un esame impietoso, mostrandogli uno per uno tutti i peccati di cui egli si è macchiato; tra questi, ultimo in ordine di analisi ma non certo di importanza e gravità, compare l’accidia (tristitia in latino), una vera e propria malattia dello spirito, uno stato di depressione acuta che induce all’ozio e alla negligenza, comportando rifiuto e odio del creato.

Costretto dalle domande pressanti di Agostino, Francesco descrive il proprio stato d’animo: è perennemente insoddisfatto, vittima di una tristezza da cui non riesce (o perfino non vuole) liberarsi, si sente inerte, paralizzato, incapace di uscire da una condizione di mortale pessimismo. E – ciò che è più paradossale – affiora in lui perfino un insano piacere per la sofferenza e il pianto: anche se la vittima è consapevole che nell’accidia tutto è aspro, doloroso e orrendo (r. 7), tuttavia non sa sottrarsi a una sorta di masochistica voluttà del dolore. Proprio questo irrazionale compiacimento accentua la sua indolenza, impedendogli di riemergere dall’apatia e di riavvicinarsi a Dio e ai valori dello spirito. Nessuna ribellione sembra possibile: circondato da una realtà minacciosa che pare opprimerlo da ogni parte, Francesco riconosce di avere ormai disprezzo dello stato umano (r. 51), di tutte le cose, sia che afferiscano alla triste sfera della sua esistenza, sia che appartengano agli altri.

 >> pagina 361

Le scelte stilistiche

Il ritmo con il quale Agostino incalza l’interlocutore non gli concede respiro: l’incisiva brevità delle battute e la frequenza delle domande lo inchiodano, mostrando l’assalto vittorioso che l’accidia sferra fin dentro la debole cittadella della sua ragione. D’altra parte, Francesco non tenta nemmeno di difendersi: come un reo confesso, ammette la propria debolezza e le proprie contraddizioni, ricorrendo a una serie di metafore belliche che rivelano il conflitto irrisolto che sente nell’animo. La vittoria del santo è dunque, retoricamente, una vittoria di Pirro: la logica argomentativa del suo discorso è inoppugnabile ma si rivela, in fondo, impotente dinanzi all’atteggiamento di Francesco, disponibile a confessare il proprio peccato ma privo di forze per liberarsene. Il riscatto è impossibile: nel dialogo con sé stesso, Petrarca non può guarire dai propri mali, ma solo – e tuttavia non è poco – accrescere la propria coscienza autocritica.

Verso le COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Riassumi il contenuto del dialogo in 5 righe.


2 Spiega perché Agostino definisce l’accidia una malattia dell’animo (r. 1).

Analizzare

3 Nell’elenco seguente trovi, insieme a vocaboli di significato diverso, alcuni sinonimi di “accidia”. Individuali e sottolineali:


• apatia bramosia • ingordigia • torpore alterigia albagia petulanza inerzia pervicacia abulia


4 Individua le espressioni metaforiche usate dai due interlocutori.

Interpretare

5 Perché, a tuo giudizio, le battute di Francesco sono molto più lunghe di quelle di Agostino?

Produrre

6 Scrivere per descrivere. La condizione di Petrarca non è molto diversa da quella che chiamiamo “malinconia”. Descrivi con parole tue, e possibilmente servendoti di alcune metafore, questo stato d’animo in un testo di circa 20 righe.


7 Scrivere per raccontare. Prova a riscrivere il dialogo immaginando un diverso atteggiamento di Francesco, più combattivo e non disposto a riconoscere il male che lo attanaglia.


8 Scrivere per confrontare. Come scrivevano i letterati antichi, all’insoddisfazione di sé spesso si reagisce cercando rimedio nell’inquieto vagabondare. Leggi questi due brani tratti da due opere del filosofo latino Seneca ed evidenzia in un testo di circa 20 righe i punti di contatto con le osservazioni contenute nel dialogo petrarchesco.


Si intraprende un viaggio dopo l’altro, e si muta uno spettacolo con l’altro. Come dice Lucrezio: in tal modo ciascuno cerca di fuggire sé stesso. Ma a che gli giova se ciò non gli riesce? Ciascuno segue sé stesso, compagno molestissimo. Adunque dobbiamo sapere che soffriamo non per colpa di luoghi, ma per colpe nostre.

                                                                                                                              (De tranquillitate animi 2, 14)


Tu pensi che sia capitato solo a te, e te ne meravigli come di un fatto strano, che con un viaggio così lungo e passando attraverso luoghi così diversi tu non sia riuscito a scuotere la tristezza e il peso che grava sulla tua mente. Ma non basta mutare il cielo sotto il quale vivi, tu devi mutare l’anima. Se anche tu varchi l’ampio mare e tu veda ritirarsi indietro terre e città, come dice il nostro Virgilio, ti seguiranno sempre dovunque tu vada i tuoi difetti. Ad un tale, che si lagnava di questo, Socrate rispose: «Perché ti meravigli che i viaggi non ti giovino a nulla, se nei viaggi non fai che portare in giro te stesso?»

                                                                                                                                                        (Epistola 28, 2)


9 Scrivere per raccontare. Hai mai provato la condizione di cui è vittima Petrarca? Anche a te capita, in certi momenti, di provare indifferenza per i doveri quotidiani e di sentirti incapace – per stanchezza o svogliatezza – di vivere con gioia le esperienze della vita? Racconta in un testo di circa 30 righe.                                 

Volti e luoghi della letteratura - volume 1
Volti e luoghi della letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento