La Vita nuova come teoria e storia di una poetica di Edoardo Sanguineti

LETTURE critiche

La Vita nuova come teoria e storia di una poetica

di Edoardo Sanguineti

Nella sua lettura della Vita nuova lo scrittore e critico Edoardo Sanguineti (1930-2010) sottolinea il carattere metaletterario dell’opera, cioè il fatto che essa si pone, prima di tutto, come riflessione dell’autore sul proprio fare letteratura e sulla propria idea di letteratura. In particolare Dante vi ha fissato il momento della consapevolezza della necessità di una svolta poetica, conseguenza di un profondo mutamento sul piano esistenziale.

Le cose scritte nel «libro» sono di fatto, prima che altre, le vere «parole per rima», o comunque cose già convertite in quelle parole. E la narrazione della Vita nuova sarà dunque cosa riflessa, di grado secondo, e crescerà sopra un terreno che è, pur nel duplice giuoco aperto delle scelte e delle amplificazioni, determinato in anticipo: crescerà sopra i paragrafi davvero «maggiori» del «libro», che sono già verso e canto. La dialettica narrativa, pertanto, come non è primaria né immediata, così nemmeno è veramente costitutiva. La narrazione della Vita nuova, vogliamo poi dire, è programmaticamente servile, dichiarativa: è, come precisamente avvertivamo sopra, teoria delle «parole per rima». E la Commedia, per contro, se possiamo impiegare con un po’ di coraggio una nozione sbrigativamente e scandalosamente anacronistica, ma forse non inefficace a illustrare la comparazione, e che rimarrà per noi da giustificarsi a parte, è corretto romanzo storico.

Il primo punto fermo sarà allora questo [...] : che nel «libello» giovanile la forma romanzesca è mero velo, continuamente infatti violentato e franto, di una sostanza saggistica, modo di un discorso teorico; che la Vita nuova, insomma, non è racconto lungo, ma ragionamento storico intorno a un’idea di poesia. Se il paragrafo inaugurale dell’opera, in apparenza, sta lì per contestare questo suggerimento interpretativo, bisogna dire che ciò è dovuto soltanto a un’abitudine ormai inerte: le parole scritte nella memoria sotto la «rubrica» del titolo («incipit vita nova») saranno da Dante trascritte dichiaratamente, in riduzione, registrate essenzialmente, criticamente, nella loro «sentenzia». E le lacune confessate, in quel «trarre de l’essemplo», in vista di parole che stanno dunque nella memoria «sotto maggiori paragrafi», fanno della Vita nuova, non un vero libro memoriale, o una pacifica relazione di eventi, ovviamente scaricata di ogni «parlare fabuloso», come possono risultare certi indugi sopra certe «passioni» o «atti», ma davvero un «libello» tutto controllato funzionalmente, per una dichiarazione interpretativa e storica, di cui l’abito narrativo sarà sì la forma spontanea, per la più vasta superficie dell’opera, ma discontinua nella sua stessa razionalizzazione. Si illumineranno così per gradi, e in modi diversi, tra cronaca e emblema, poetica e polemica, le occasioni, le ragioni e le fasi di una carriera lirica che, non a caso proprio, si dichiara da ultimo interrotta, sospesa sopra un puntuale proponimento d’autore («non dire più di questa benedetta infino a tanto…»). Il Bildungsroman1 di Dante sarà dunque veramente, se si vuole, storia di un’anima, e veramente romanzo, ma nella misura in cui è storia di un discorso lirico, ragionamento intorno a una poetica che ormai si confessa come insufficiente, si riconosce come inadeguata alle altissime ambizioni dello scrittore («dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna»). Senza tenere presente sempre alla mente tale dichiarazione e confessione, in vista della quale l’intero «libello» è composto, ci si trova di fronte a un volume che deve risultare al tutto incomprensibile. Perché, appunto, la Vita nuova è, prima di ogni altra cosa, la teoria e la storia delle «nove rime»: una storia che approda al fermo congedo dell’autore da quell’ordine chiuso di così lunga esperienza umana e stilistica.

Bildungsroman, si diceva. Ma la Vita nuova è spiegabile, al sentimento dei moderni, come storia di una vocazione poetica, esattamente al modo in cui la Commedia è a sua volta spiegabile, in certo senso, come storia di una vocazione profetica, e non altrimenti.


Dante Alighieri, Vita nuova, introduzione di Edoardo Sanguineti, Garzanti, Milano 1989

Comprendere il pensiero critico

1 La Vita nuova è un prosimetro: per Sanguineti poesia e prosa hanno lo stesso peso?


2 Che cosa intende l’autore affermando che la Vita nuova è «ragionamento storico intorno a un’idea di poesia»?


3 La Vita nuova può essere considerata un Bildungsroman? Anche la Commedia?

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Dante poeta universale

di Thomas Stearns Eliot

Il poeta statunitense Thomas Stearns Eliot (1888-1965), Nobel per la letteratura nel 1948, fu un grandissimo estimatore della poesia dantesca, tanto che impostò i suoi Quattro quartetti (1936-1942) su una struttura allegorica per la quale prese a modello la Divina Commedia. Ma anche nelle vesti di critico (ispiratore, fra l’altro, di una delle correnti più significative dell’ermeneutica letteraria contemporanea, il New Criticism americano) espresse giudizi originali sul poema di Dante, riflettendo – come fa nel brano che riportiamo – sulla “semplicità” del suo linguaggio e sulla sua particolare “immaginazione visiva”.

Dante è facile a leggersi. Non intendo dire che scriva un italiano molto semplice, perché accade proprio il contrario, o che il suo contenuto è semplice o sempre semplicemente espresso, ma spesso è rappresentato con tale forza di condensazione che, per esser spiegati, tre versi richiedono un paragrafo, e le loro allusioni una pagina di commento. Quel che intendo dire, è che Dante […] è il più universale dei poeti di lingua moderna. Il che non vuol dire che è «il più grande» o che è il più comprensivo: c’è più grande varietà e particolarità in Shakespeare. L’universalità di Dante non è solo un fatto personale. L’italiano, e specialmente quello dell’età di Dante, molto acquista dall’essere l’immediata derivazione del latino universale. C’è alcun che di più locale nella lingua in cui si espressero Shakespeare e Racine.1 Tuttavia questo non significa che l’inglese o il francese siano inferiori all’italiano, come mezzi di poesia, ma il volgare italiano dell’ultimo medio evo era ancora molto vicino al latino come espressione letteraria, perché uomini come Dante, che lo adoperavano, erano stati ammaestrati in filosofia e in tutte le scienze astratte, col latino medioevale. Ora il latino medioevale era una bellissima lingua; con essa si scriveva una bella prosa e una bella poesia, ed aveva la qualità di un esperanto letterario altamente sviluppato. […] Il latino medioevale tendeva a concentrare quel che pensavano uomini di varie razze e paesi. Qualche cosa del carattere di questa lingua universale mi sembra appartenere al dialetto fiorentino di Dante; e la localizzazione (dialetto fiorentino) sembra più di tutto intensificare l’universalità, perché impedisce la moderna visione delle nazionalità. […]

Ma la semplicità di Dante ha un’altra ragione specifica. Egli non solo pensava in un modo di cui ogni uomo della sua cultura nell’intera Europa allora pensava, ma usava un metodo che era comune e comunemente compreso in tutta l’Europa. Non intendo, in questo saggio, entrare nell’argomento delle contestate interpretazioni dell’allegoria dantesca. Quel che importa al mio scopo è il fatto che il metodo allegorico era un metodo ben determinato non limitato all’Italia; e il fatto, in apparenza paradossale, che il metodo allegorico genera semplicità e intelligibilità. Noi tendiamo a considerare l’allegoria come un noioso indovinello. Tendiamo ad associarla con scialbi poemi (nel migliore dei casi, al Roman de la Rose), e ad ignorarla come irrilevante in un gran poema. Quel che noi non conosciamo è, in un caso come quello di Dante, il suo speciale effetto di chiarezza di stile.

Non raccomando, alla prima lettura, il primo canto dell’Inferno che stanca con l’identità della Lonza, del Leone o della Lupa.2 In realtà è meglio, all’inizio, di non sapere o curarsi che cosa significhino. Quel che considereremo non è tanto il significato delle immagini, quanto il processo contrario, cioè quel che porta un uomo che ha un’idea ad esprimerla con immagini. Dobbiamo considerare il tipo di mente che per natura e per pratica tendeva ad esprimersi con l’allegoria; e per un poeta competente, allegoria significa chiare immagini visive. E le chiare immagini visive ricevono assai più intensità dal fatto d’avere un significato; non è necessario che noi sappiamo quale sia questo significato, ma nella nostra consapevolezza dell’immagine dobbiamo accorgerci che c’è pure il significato. L’allegoria è solo uno dei metodi della poesia, ma è un metodo che offre molti grandi vantaggi.

L’immaginazione di Dante è visiva. È visiva in un senso diverso da quella d’un pittore moderno di nature morte: è visiva in quanto egli viveva in un’età in cui gli uomini avevano ancora visioni. È un abito psicologico. […]

Quel che pretendo dal lettore, a questo punto, è di liberarsi la mente, se può, da ogni preconcetto contro l’allegoria, e ammettere almeno che essa non era un espediente per mettere in grado i non ispirati di scrivere versi, ma davvero un abito mentale, che quando veniva elevato all’altezza del genio poteva produrre un gran poeta come un gran mistico o un gran santo. Ed è l’allegoria che rende possibile al lettore, che non sia neppure un buon italianista, di gustare Dante. Varia la lingua, ma i nostri occhi restan gli stessi. E l’allegoria non era una consuetudine italiana locale, ma era un metodo europeo universale.


T.S. Eliot, Dante, trad. di L. Berti, Guanda, Parma 1942

Comprendere il pensiero critico

Perché la lingua della Commedia contribuisce alla sua universalità?


2 Affermando in maniera provocatoria che «Dante è facile a leggersi», quali elementi vuol mettere in luce Eliot?


3 Prima che critico, Eliot è anzitutto un grande poeta: quanto conta per lui la condivisione con il pubblico di una stessa costellazione allegorica?

Volti e luoghi della letteratura - volume 1
Volti e luoghi della letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento