Il mercato comune

Il mercato comune

L’Unione Europea è ormai una delle più grandi potenze economiche del mondo. Se non si fossero uniti in un mercato comune, gli Stati europei più sviluppati (Germania, Francia, Regno Unito, Italia) avrebbero avuto maggiori difficoltà a competere con le potenze emergenti sullo scenario mondiale.

l’euro, la moneta unica

La moneta unica europea è una delle monete di riferimento dell’economia mondiale, seconda solo al dollaro statunitense nella classifica delle valute più usate nelle operazioni finanziarie internazionali.

Già nel 1992 il Trattato di Maastricht aveva istituito un’unione economica e monetaria tra i Paesi dell’UE, il cui obiettivo era l’adozione di un’unica moneta comune europea. Ci vollero diversi anni di preparativi e negoziati prima che, il 1° gennaio 1999, l’euro divenisse la moneta ufficiale di 12 dei 15 Stati che allora componevano l’UE. Era però ancora una moneta “virtuale”, usata per i pagamenti in banca e i movimenti finanziari, e solo il 1° gennaio 2002 entrarono in circolazione le monete e banconote in euro.

Negli anni successivi altri Paesi dell’UE hanno deciso di adottare la moneta unica e oggi sono 19 gli Stati che formano la cosiddetta Eurozona.

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la seconda potenza economica mondiale

Se mettiamo insieme le economie di tutti i Paesi membri, oggi l’Unione Europea può essere considerata la seconda potenza economica mondiale in termini di ricchezza totale, cioè di Prodotto Interno Lordo (PIL). In questa classifica l’UE è superata solo dagli Stati Uniti, ma è davanti all’altra grande potenza economica, la Cina.

Il mercato comune dell’Unione Europea, inoltre, è il più importante per i commerci globali: le esportazioni e le importazioni da e verso i Paesi dell’UE rappresentano infatti più del 20% di tutte le merci scambiate nel mondo, contro il 15% degli Stati Uniti e il 12% della Cina.

gli squilibri interni

Questi dati si riferiscono però all’economia dell’Unione Europea nel suo insieme, mentre la situazione dei singoli Paesi membri è molto variabile: un elemento di debolezza dell’UE è proprio il grande divario nel grado di sviluppo economico dei Paesi che la compongono.

Consideriamo per esempio il dato del PIL pro capite, cioè il PIL di un Paese diviso per il numero dei suoi abitanti: è un dato che riflette, sebbene imperfettamente, il grado di ricchezza e di benessere “medi” della sua popolazione. Il PIL pro capite dell’Unione Europea nel 2016 era pari a circa 34.000 dollari, ma tra i dati dei singoli Paesi membri le differenze erano enormi: dai 103.000 dollari del Lussemburgo, uno dei più alti del mondo, ai 6500 dollari della Bulgaria, un PIL pro capite pari a quello di uno Stato africano in via di sviluppo come il Botswana.

Osservando i dati del PIL pro capite dei Paesi dell’UE su una carta tematica (vedi sotto), ci accorgiamo che questo divario ha anche una componente geografica.

Il PIL pro capite è infatti maggiore nei Paesi dell’Europa Occidentale e minore in quelli della parte orientale del continente. Questa differenza è dovuta a numerosi fattori storici e strutturali. Tra questi vi è il fatto che i Paesi dell’Europa Centro-Occidentale sono stati i primi a disporre di una solida base industriale, già a partire dal XIX secolo. Da parte loro, i Paesi dell’Europa Orientale hanno dovuto fare i conti con una profonda ristrutturazione delle proprie economie dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica e del blocco comunista nel 1991, passando da un’economia di tipo comunista (dove la maggior parte delle attività economiche è controllata dallo Stato) a una capitalista (dove vige la libera iniziativa individuale in campo economico).

I vertici dell’Unione Europea sono consapevoli di questo problema ed è proprio per ridurre il divario economico tra i Paesi membri che sono state varate le politiche di solidarietà sostenute dal Fondo di Coesione (vedi p. 28).

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l’UE di fronte alla crisi economica

A partire dal 2008 l’Unione Europea e l’Eurozona hanno dovuto affrontare la più grande difficoltà insorta da quando furono costituite: la crisi economica mondiale. Iniziata nel 2007 negli Stati Uniti come crisi finanziaria che ha portato al fallimento di molte banche e società di investimento, dall’anno successivo la crisi ha colpito quasi tutti i Paesi industrializzati, compresi quelli europei, facendo sì che il loro PIL calasse anno dopo anno come conseguenza di una generale riduzione delle attività economiche.

Tra i Paesi dell’UE, hanno subito in misura maggiore gli effetti della crisi gli Stati dell’Europa Meridionale: Spagna, Italia, Portogallo, Grecia, le cui economie e finanze pubbliche sono considerate meno solide rispetto a quelle dell’Europa Settentrionale. Questi Paesi hanno infatti un alto debito pubblico, vale a dire l’insieme del denaro che lo Stato prende in prestito per poter funzionare e garantire i servizi pubblici, e per un periodo si è temuto che non fossero più in grado di restituire i soldi che erano stati loro prestati.

Nei Paesi più colpiti, la crisi ha causato l’aumento della disoccupazione e la perdita del potere d’acquisto delle famiglie, che si sono trovate improvvisamente più povere. Molti Governi, inoltre, nel tentativo di risanare il bilancio dello Stato, hanno imposto tagli ai servizi e agli stipendi pubblici. Tutto ciò ha provocato il peggioramento delle condizioni di vita dei cittadini e un diffuso disagio sociale, tanto che in molti Paesi sono stati organizzati grandi scioperi e manifestazioni di protesta. In tale situazione hanno guadagnato consensi i movimenti e i partiti politici euroscettici, che incolpano le istituzioni europee di aver causato, o aggravato, gli effetti della crisi.

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Le misure dell’UE e la tensione fra gli Stati

Le istituzioni dell’Unione Europea, e in special modo la Banca Centrale Europea, sono corse ai ripari offrendo “pacchetti di salvataggio” costituiti da prestiti e agevolazioni economiche ai Paesi più in difficoltà, tra cui Grecia, Portogallo e Irlanda. In cambio degli aiuti, i vertici dell’UE hanno però chiesto che i Governi di questi Paesi adottassero speciali misure diausterità” (cioè di tagli alle spese) per risanare i loro bilanci e risollevare l’economia.

La crisi economica ha inoltre aggravato le tensioni tra i Paesi membri dell’UE dovute al divario tre le loro economie. I Governi e una parte dell’opinione pubblica dei Paesi più ricchi e meno colpiti dalla crisi, come la Danimarca, i Paesi Bassi e soprattutto la Germania, non hanno approvato le misure volte ad aiutare i Paesi più in difficoltà, percepiti talvolta come un ostacolo alla crescita degli altri Stati dell’UE. D’altra parte, i Governi e i cittadini dei Paesi che più hanno subito gli effetti della crisi mal sopportano il fatto che l’Unione Europea in cambio degli aiuti pretenda di interferire nelle loro politiche economiche imponendo tagli e sacrifici.

Un aspetto chiave di questa situazione è proprio lo squilibrio tra l’integrazione economica e quella politica tra gli Stati dell’UE: da un punto di vista economico, infatti, l’Unione Europea è ormai un sistema nel quale la crisi di uno dei Paesi membri può avere gravi ripercussioni sulle economie di tutti gli altri, mentre le istituzioni politiche europee non hanno ancora poteri sufficienti per dettare una linea comune a tutti i membri e affrontare così la crisi in maniera unitaria.

Geo2030 - volume 2
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L’Europa