LE SFIDE DELL’INDUSTRIA EUROPEA
Il settore secondario europeo sta attraversando una profonda crisi, che si è aggravata soprattutto a partire dal 2010, con conseguenze pesanti su milioni di persone e un cambiamento nel modo stesso di concepire il mondo del lavoro.
Per comprendere la situazione attuale, non bisogna dimenticare che l’Europa è ormai inserita in un contesto economico globale: oggi prodotti, ricchezze, manodopera circolano rapidamente e facilmente da un Paese all’altro e, di conseguenza, le economie di tutti i Paesi del mondo sono interconnesse tra loro.
L’Europa si trova così in competizione non solo con le economie storicamente più sviluppate, come quelle di Stati Uniti e Giappone, ma anche con quelle dei cosiddetti Paesi emergenti, che stanno acquisendo importanza sempre maggiore nel quadro mondiale.
La Cina, per esempio, che ha un peso demografico enorme e straordinaria disponibilità di manodopera, ha conquistato rapidamente grandi fette di mercato in settori industriali come quello tessile o dell’abbigliamento, mentre l’India ha sopravanzato di gran lunga l’industria informatica europea.
Chi riesce a produrre merci a prezzi inferiori (cioè i Paesi dove il lavoro e le materie prime costano meno) o di qualità superiore (grazie alla specializzazione, alla ricerca, alla formazione), ha oggi la possibilità di venderle quasi ovunque grazie allo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni, “conquistando” i mercati di Paesi anche molto lontani e mettendo in difficoltà le industrie che vi operano e che producono a costi maggiori o con una qualità inferiore.
Imprese “mobili” e “flessibili”
Per poter essere più concorrenziali sul mercato mondiale, già a partire dalla fine del secolo scorso le industrie europee, sempre meno legate alla vicinanza di miniere, di fonti di energia, di fiumi e di porti (la materia prima può essere portata anche da lontano), hanno cominciato a spostare altrove i loro stabilimenti in cerca di condizioni produttive migliori: molte aziende dell’Europa Occidentale, per esempio, hanno aperto fabbriche nei Paesi dell’Europa Orientale, dove gli operai sono pagati meno. Questo fenomeno è detto delocalizzazione.
Un’altra tendenza generale è quella di ridurre le dimensioni degli stabilimenti per aumentare la flessibilità, cioè la capacità di cambiare rapidamente in base alle richieste del mercato: imprese più piccole, che impiegano meno lavoratori e che possono essere riorganizzate più velocemente, sono più adatte a un mercato in continua evoluzione.