Fra le tante definizioni storiche di degustazione ci piace particolarmente quella di Émile Peynaud, autore di Il gusto del vino. Il grande libro della degustazione: «Degustare vuol dire gustare con attenzione un vino di cui si vuol apprezzare le qualità, sottoporlo all’esame dei nostri sensi, in particolare del gusto e dell’olfatto, provare a conoscerlo ricercando i suoi diversi difetti e le sue diverse qualità esprimendole dettagliatamente; significa studiare, analizzare, descrivere, definire, giudicare, classificare».
L’universo sensoriale dell’uomo contemporaneo si è notevolmente ristretto e svilito. Il tatto, l’odorato, il gusto, strumenti impareggiabili per una conoscenza dettagliata e non superficiale dell’ambiente e di se stessi, hanno subito una profonda regressione e sono sempre più rare le occasioni per sentire, valutare, comparare, in altre parole per scegliere. Addestrare nuovamente i sensi può essere un aspetto non secondario di una plausibile filosofia dell’esistenza.
Non c’è degustazione, infatti, senza la riscoperta, o la costruzione, di un’adeguata attrezzatura sensoriale: il riconoscimento della qualità di un vino - che è un insieme di valori determinabili abbastanza oggettivamente - va imparato e codificato al di là degli elementi soggettivi del gusto. Occorrono allora conoscenze che permettano di scoprire le evoluzioni che trasformano un vino, i sistemi che lo conservano, i componenti che lo rendono corretto e quelli che lo snaturano, le caratteristiche che ne individuano la tipologia. Si può avviare così una salutare abitudine a riconoscere e a valutare quello che beviamo, con sicuri benefici effetti: insomma, se la qualità è un nostro diritto di consumatori, dobbiamo attrezzarci per riconoscerla ed esigerla.