INTERVISTA A TOMMASO CECCA: Educare a una degustazione consapevole

  Slow Food presenta...

Intervista a

TOMMASO CECCA

Bartender del Caffè Trussardi di Milano

Educare a una degustazione consapevole

Pugliese di nascita, trasferitosi a Milano, Tommaso Cecca ha iniziato a lavorare a 16 anni nel bar sotto casa; da lì è passato ai locali notturni per poi volare a Londra, un’esperienza che gli ha aperto una brillante carriera. Inizialmente avora nel locale di Roberto Cavalli, quindi diventa head mixologist del caffè di proprietà della casa di moda Trussardi.
Nella realizzazione di un cocktail, quanto conta una buona materia prima e quanto la mano del barista?
Se l’esperienza del barista è importante perché può – e deve! – avvicinare i clienti a una degustazione consapevole, educandoli all’assaggio e alla qualità, la materia prima è questione spinosa e ancora tutta da indagare: è un ambito poco conosciuto. In primo luogo non si tratta solamente degli alcolici, ma anche dei succhi e delle bibite con cui si miscelano i cocktail. Inoltre ai clienti manca il know how: c’è ancora la convinzione che il prezzo faccia la qualità.
Esiste la questione della biodiversità nel mondo del beverage?
La biodiversità nel settore delle bevande superalcoliche è un territorio ancora inesplorato. Dal punto di vista degustativo, l’essenza del prodotto non è facile da cogliere se si sono assaggiati solo gli alcolici delle multinazionali. È emblematico il caso della Vodka: se si assaggia il distillato di un piccolo produttore russo, ci si accorge subito che non ha niente a che vedere con la Vodka che troviamo comunemente in commercio. Il problema è riuscire a portare in Italia i prodotti di queste aziende tradizionali, che non hanno il tempo né la forza di farsi conoscere all’estero.
La riproducibilità di un cocktail: è un valore aggiunto o un elemento negativo?
Spesso si tende a identificare il cocktail con l’alcolico con cui viene realizzato. Il fatto che un cocktail sia facilmente riproducibile ne garantisce una diffusione globale, ma questo è anche uno dei motivi per cui tante ottime bevande stanno vivendo un periodo di decadenza. La base di un cocktail deve essere la semplicità e solo in questo senso la riproducibilità diventa un valore aggiunto. È il principio che muove uno dei miei cocktail, il Birramericano, che parte da una base di prodotti semplici e naturali – birra, Vermouth e Campari – e può essere riprodotto in tutto il mondo, legandolo al territorio usando, di volta in volta, le birre di ogni Paese.
Quali sono le tendenze e che cosa berremo in futuro?
Oggi la tendenza è quella della “riscoperta degli anni Trenta”: i baristi sono vestiti con abiti vintage e propongono cocktail del passato. Ma è una questione più di forma che di contenuto, come un tempo lo erano i barman acrobatici.
Per il futuro, invece, possiamo fare un discorso sulla tendenza del gusto: negli ultimi vent’anni abbiamo bevuto alcolici dal sapore neutro, a cui si aggiungevano molto zucchero o distillati molto dolci. Quando ho iniziato a fare il barista preparavo solamente Cuba libre: adesso non me lo chiede più nessuno. Ce lo spieghiamo con il fatto che stanno cambiando i nostri gusti, spostandosi verso la sapidità. E questo è anche il motivo per cui stanno comparendo di nuovo cocktail che prima non andavano di moda, come il Gin tonic e la Tequila.

Protagonisti in Sala
Protagonisti in Sala
Corso di sala e vendita per il secondo biennio e il quinto anno