La vita nel Lager, da Se questo è un uomo

La vita nel Lager


di Primo Levi

Per non soccombere entro pochi giorni dall’arrivo al campo, i prigionieri devono imparare immediatamente le complesse e insensate norme che regolano la vita nel Lager. Il brano, tratto da Se questo è un uomo, racconta la vita di privazioni, fatiche e umiliazioni cui sono sottoposti i deportati.

Abbiamo ben presto imparato che gli ospiti del Lager sono distinti in tre categorie: i criminali, i politici e gli ebrei. Tutti sono vestiti a righe, sono tutti Häftlinge, ma i criminali portano accanto al numero, cucito sulla giacca, un triangolo verde; i politici un triangolo rosso; gli ebrei, che costituiscono la grande maggioranza, portano la stella ebraica, rossa e gialla.

Le SS ci sono sì, ma poche, e fuori del campo, e si vedono relativamente di rado. I nostri padroni effettivi sono i triangoli verdi, i quali hanno mano libera su di noi, e inoltre quelli fra le due altre categorie che si prestano ad assecondarli: i quali non sono pochi.


Ed altro ancora abbiamo imparato, più o meno rapidamente, a seconda del carattere di ciascuno; a rispondere “Jawohl”, a non fare mai domande, a fingere sempre di avere capito.

Abbiamo appreso il valore degli alimenti; ora anche noi raschiamo diligentemente il fondo della gamella dopo il rancio, e la teniamo sotto il mento quando mangiamo il pane per non disperderne le briciole.

Anche noi adesso sappiamo che non è la stessa cosa ricevere il mestolo di zuppa prelevato dalla superficie o dal fondo del mastello, e siamo già in grado di calcolare, in base alla capacità dei vari mastelli, quale sia il posto più conveniente a cui aspirare quando ci si mette in coda.

Abbiamo imparato che tutto serve: il fil di ferro, per legarsi le scarpe; gli stracci, per ricavarne pezze da piedi; la carta, per imbottirsi (abusivamente) la giacca contro il freddo.


Abbiamo imparato che d’altronde tutto può venire rubato, anzi, viene automaticamente rubato non appena l’attenzione si rilassa; e per evitarlo abbiamo dovuto apprendere l’arte di dormire col capo su un fagotto fatto con la giacca, e contenente tutto il nostro avere, dalla gamella alle scarpe.


Conosciamo già in buona parte il regolamento del campo, che è favolosamente complicato.

Innumerevoli sono le proibizioni: avvicinarsi a meno di due metri dal filo spinato; dormire con la giacca, o senza mutande, o col cappello in testa; servirsi di particolari lavatoi e latrine che sono “nur für Kapos” o “nur für Reichsdeutsche”; non andare alla doccia nei giorni prescritti, e andarci nei giorni non prescritti; uscire di baracca con la giacca sbottonata, o col bavero rialzato; portare sotto gli abiti carta o paglia contro il freddo; lavarsi altrimenti che a torso nudo.


Infiniti e insensati sono i riti da compiersi.

Ogni giorno di mattino bisogna fare “il letto”, perfettamente piano e liscio; spalmarsi gli zoccoli fangosi e repellenti con l’apposito grasso da macchina, raschiare via dagli abiti le macchie di fango (le macchie di vernice, di grasso e di ruggine sono invece ammesse).

Alla sera, bisogna sottoporsi al controllo dei pidocchi e al controllo della lavatura dei piedi; al sabato farsi radere la barba e i capelli, rammendarsi o farsi rammendare gli stracci.

Alla domenica, sottoporsi al controllo generale della scabbia e al controllo dei bottoni della giacca, che devono essere cinque.

Di più, ci sono innumerevoli circostanze, normalmente irrilevanti, che qui diventano problemi.

Quando le unghie si allungano, bisogna accorciarle, il che non si può fare altrimenti che coi denti (per le unghie dei piedi basta l’attrito delle scarpe); se si perde un bottone bisogna saperselo riattaccare con un filo di feltro; se si va alla latrina o al lavatoio, bisogna portarsi dietro tutto, sempre e dovunque. E mentre ci si lavano gli occhi, tenere il fagotto degli abiti stretto fra le ginocchia: in qualunque altro modo, esso in quell’attimo verrebbe rubato.

Se una scarpa fa male bisogna presentarsi alla sera alla cerimonia del cambio delle scarpe: qui si mette alla prova la perizia dell’individuo, in mezzo alla calca incredibile bisogna saper scegliere con un colpo d’occhio una (non un paio: una) scarpa che si adatti, perché, fatta la scelta, un secondo cambio non è concesso.


Né si creda che le scarpe, nella vita del Lager, costituiscano un fattore d’importanza secondaria.

La morte incomincia dalle scarpe: esse si sono rivelate, per la maggior parte di noi, veri arnesi di tortura, che dopo poche ore di marcia davano luogo a piaghe dolorose che fatalmente si infettavano.
Chi ne è colpito, è costretto a camminare come se avesse una palla al piede (ecco il perché della strana andatura dell’esercito di larve che ogni sera rientra in parata); arriva ultimo dappertutto, e dappertutto riceve botte; non può scappare se lo inseguono; i suoi piedi si gonfiano, e più si gonfiano, più l’attrito con il legno e la tela delle scarpe diventa insopportabile.

Allora non resta che l’ospedale: ma entrare in ospedale con la diagnosi di “dicke Füsse” (piedi gonfi) è estremamente pericoloso, perché è ben noto a tutti, e alle SS in ispecie, che di questo male, qui, non si può guarire.


E in tutto questo, non abbiamo ancora accennato al lavoro, il quale è a sua volta un groviglio di leggi, di tabù e di problemi.

Tutti lavoriamo, tranne i malati (farsi riconoscere come malato comporta di per sé un imponente bagaglio di cognizioni e di esperienze). Tutte le mattine usciamo inquadrati dal campo alla Buna; tutte le sere, inquadrati, rientriamo.


Per quanto concerne il lavoro, siamo suddivisi in circa duecento Kommandos, ognuno dei quali conta da quindici a centocinquanta uomini ed è comandato da un Kapo.

Vi sono Kommandos buoni e cattivi: per la maggior parte sono adibiti a trasporti, e il lavoro vi è assai duro, specialmente d’inverno, se non altro perché si svolge sempre all’aperto.

Vi sono anche Kommandos di specialisti (elettricisti, fabbri, muratori, saldatori, meccanici, cementisti ecc.), ciascuno addetto a una certa officina o reparto della Buna, e dipendenti in modo più diretto da Meister civili, per lo più tedeschi e polacchi.
Questo avviene naturalmente solo nelle ore di lavoro: nel resto della giornata, gli specialisti (non sono più di tre o quattrocento in tutto) non hanno trattamento diverso dai lavoratori comuni.


All’assegnazione dei singoli ai vari Kommandos sovrintende uno speciale ufficio del Lager, l’Arbeitsdienst, che è in continuo contrasto con la direzione civile della Buna. L’Arbeitsdienst decide in base a criteri sconosciuti, spesso palesemente in base a protezioni e corruzioni, in modo che, se qualcuno riesce a procurarsi da mangiare, è anche praticamente sicuro di ottenere un buon posto in Buna.

L’orario di lavoro è variabile con la stagione.

Tutte le ore di luce sono ore lavorative: perciò si va da un orario minimo invernale (ore 8-12 e 12,30-16) a uno massimo estivo (ore 6,30-12 e 13-18).

Per nessuna ragione gli Häftlinge possono trovarsi al lavoro nelle ore di oscurità o quando c’è nebbia fitta, mentre si lavora regolarmente anche se piove o nevica o (caso assai frequente) soffia il vento feroce dei Carpazi. Questo in relazione al fatto che il buio o la nebbia potrebbero dare occasione a tentativi di fuga.


Una domenica ogni due è regolare giorno lavorativo; nelle domeniche cosiddette festive, invece di lavorare in Buna si lavora di solito alla manutenzione del Lager, in modo che i giorni di effettivo riposo sono estremamente rari.

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a tu per tu con il testo. Analisi

Nel Lager tutti sono vestiti a righe e sono dei “prigionieri”, ma dietro questa apparente uguaglianza l’organizzazione del Lager prevede in realtà ruoli diversi. Le SS infatti danno il comando del campo ai criminali comuni e agli oppositori politici. In questo modo privilegiano il crimine e soprattutto impediscono la nascita di un sentimento di solidarietà e di fratellanza fra i detenuti.

Numerosi e insensati sono i “riti” e le “proibizioni” che regolano la vita nel campo, il cui unico scopo è quello di indebolire nel corpo e umiliare moralmente i prigionieri. A loro si richiedono ordine, pulizia e disciplina, ma le condizioni di privazione materiale (cibo, abiti ecc.) cui sono sottoposti rendono impossibile rispettare il regolamento.

Levi descrive l’orrore vissuto con una lingua sobria e asciutta, priva di coinvolgimenti emotivi. La sua intenzione è quella di restituire al lettore la verità oggettiva del Lager. Per questo molte sono le espressioni in lingua tedesca, prive di traduzione: in questo modo viene reso anche il senso di smarrimento che provavano i prigionieri, la cui maggioranza non parlava la lingua dei nazisti.

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esercizi

LE TECNICHE E IL GENERE
  • I luoghi descritti sono:
    • reali. 
    • immaginari.

  • I fatti descritti sono:
    • veri. 
    • inventati.

  • La descrizione dei luoghi è:
    • impersonale. 
    • emotiva.
L’opera
  • Definiresti l’opera:
    • una testimonianza. 
    • un’invettiva.

  • Chi sono i “sommersi” e i “salvati”?
                                                                                                                                                           
                                                                                                                                                           .
  • Che funzione hanno le tante espressioni in tedesco?
                                                                                                                                                           .
Laboratorio sul testo
  • Chi sono i prigionieri nel Lager?
                                                                                                                                                           .
  • Perché i triangoli verdi hanno un ruolo di sorveglianza sugli altri prigionieri?
                                                                                                                                                           .
  • L’ordine, la pulizia e la disciplina richieste nel Lager servono per:
    • regolare la vita comune. 
    • umiliare le persone.

  • Perché non si lavora con il buio e con la nebbia?
                                                                                                                                                           .
  • Primo Levi scrive: “esercito di larve che rientra in parata...”. Quali sono in questa frase le parole in contrasto che rendono l’assurda crudeltà della vita nel Lager?
                                                                                                                                                           .

La dolce fiamma - I saperi fondamentali
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Narrativa