Vulcano di Dacia Maraini

Vulcano


di Dacia Maraini (autrice italiana contemporanea)

Tratto da una raccolta di racconti autobiografici, in Vulcano l’autrice narra una suggestiva vacanza fatta anni prima in compagnia del padre a Vulcano, una delle isole Eolie.

Erano anni di povertà, in una Sicilia povera e frastornata, bellissima nelle sue acque pulite e nei suoi campi coltivati. Erano gli anni in cui mio padre mi portava in giro per il mondo come un giovane compagno di cui si poteva fidare.


Quell’anno, fra il 1950 e il 1955, lui decise di passare una estate a Vulcano. Credo che dovesse fare un servizio fotografico per guadagnare quei soldi che con gli studi antropologici non riusciva a racimolare [raccogliere]. Fatto sta che mi portò con sé viaggiando prima in treno e poi in nave. Due giorni dopo fummo raggiunti da un amico fiorentino, un giovane professore dalla faccia di saraceno [arabo], gli occhi scuri scintillanti, il sorriso enigmatico.

Affittammo una casa molto semplice, molto spartana e rustica, come era nei gusti di mio padre. Era una casupola sgangherata e spoglia, in cui si dormiva su delle brandine e la cucina era fornita di un solo fornello che andava a carbone, il bagno si trovava in un casotto nel giardino.


Dal ballatoio, tra le foglie dei banani si poteva scorgere in ogni momento la cima del vulcano, inquietante. Che fosse ancora vivo il vulcano lo capivamo quando facevamo il bagno in una ansa [baia] pietrosa dove correnti di liquido caldo salivano dalle sabbie grigie, mescolandosi piacevolmente con l’acqua salata. Era come immergersi in un lago tiepido che emanava un forte odore di zolfo.

I villeggianti allora si potevano contare sul palmo di una mano. L’isola era abitata soprattutto dai vulcanesi, pastori e pescatori dalle facce severe, bruciate dal sole, i vestiti rattoppati, sempre intenti a qualche lavoro: il rammendo delle reti, la tintura delle barche, o la cura delle poche viti.



La spesa si faceva nell’unica piccola bottega in cui si vendeva il sapone, il vino, lo zucchero, i fagioli, le scarpe e gli ami per la pesca. La pasta la facevano le donne con la farina. Il pane pure veniva lavorato dalle madri di casa e messo a cuocere nel forno comune. Era un pane profumato e robusto che doveva durare una intera settimana.

La nostra padrona di casa si chiamava Filomena e ci portava il latte fresco della sua vaccarella che qualche volta veniva a pascolare nel nostro giardino. Filomena ci raccontava le storie più macabre dell’isola: com’era morto quel tale buttandosi nella bocca del vulcano, come era stato fatto a pezzi un bambino dai denti di un pescecane, come aveva perso le mani quella donna che lavava i panni in mare ed era stata agguantata da un mostro marino. La sua immaginazione non si stancava mai, era fertile di storie raccapriccianti di cui godeva soprattutto quando vedeva i miei occhi farsi sempre più attenti e spaventati.


Una sera mio padre ci disse: «Stanotte andiamo a letto presto perché domattina all’alba ci arrampichiamo sulla cima del vulcano». E difatti alle cinque eravamo già in viaggio. Ci siamo arrampicati per ore. Ricordo il caldo, le zanzare e le mosche contro cui bisognava lottare, accompagnati dal ragliare degli asini lasciati liberi a pascolare su quelle aride salite, l’odore fortissimo di mentuccia che saliva dai viottoli in mezzo alle ortiche.
Ogni tanto ci fermavamo per contemplare il mare che si faceva sempre più intenso, più aperto e più spettacolare.

In cima ci aveva accolto un vento caldo, quasi un fiato infernale che ci aveva costretto a chiudere gli occhi. Da piccoli fori sulla roccia sortiva [usciva] un fumo rossiccio che lasciava cristalli brillanti color tuorlo d’uovo intorno a sé. Il mare in lontananza era scuro e magnifico, quasi una unica lastra di marmo verde, con liste bianche pietrificate sotto il sole.
Lì seduti, attorno alla grande bocca spenta ci siamo raccontati delle storie, mentre mangiavamo i nostri panini con l’olio e il pomodoro fresco. Storie di fantasmi, di precipizi, di abitatori misteriosi che si rintanano in mondi sotterranei e ne escono solo per carpire [rapire] giovinette innocenti e portarle con loro nell’inferno dei lapilli.

Oggi penso che il mio giovane padre e il suo bellissimo amico volessero semplicemente spaventarmi. Fatto sta che il panino mi è rimasto in gola e che sono stata presa da una specie di vertigine. Come se una forza magnetica mi attirasse verso il fondo di quella voragine tumultuosa.


Poi, più tardi, siamo ridiscesi a valle scivolando in mezzo al ghiaione di pietra pomice, le scarpe piene di polvere e di sassi, le gambe coperte di graffi, l’odore di zolfo nel naso. Quella sera mi sono addormentata di schianto e ho fatto sogni terribili e grandiosi. Venivo inghiottita da forze oscure e poi espulsa verso le nuvole in un trionfo di scintille cocenti.

Pochi giorni dopo siamo ripartiti per Palermo, portandoci dietro un ricordo fastoso che non mi ha più abbandonata.

Ho conosciuto altre isole: Salina, Stromboli, Ustica. Ma nessuna isola mi ha mai colpita come la Vulcano degli anni Cinquanta. Non ho voluto più tornarci perché dai racconti degli amici ne ho ricavato un ritratto disastroso: alberghi immensi, recinzioni, strade, cabine di cemento, villette, insomma una rovina che non stento a immaginare conoscendo altre zone del nostro Paese come erano state prima e come sono state trasformate dopo, nella furia di una rapina del territorio che non ha avuto pause fino ai nostri giorni.

 >> pagina 105 

esercizi

LE TECNICHE E IL GENERE
  • I fatti descritti sono:
    • veri. 
    • inverosimili.

  • Il narratore di questo racconto è:
    • interno.
    • esterno.
LABORATORIO SUL TESTO
  • L’autrice ha con il padre un rapporto:
    • conflittuale.
    • di complicità.

  • Da che cosa si capiva che il vulcano era ancora attivo?
    • Da correnti di liquido caldo nel mare.
    • Da sbuffi di fumo nel cielo.

  • L’autrice non è più voluta tornare a Vulcano perché:
    • ha conosciuto isole più belle.
    • non la vuole vedere rovinata dalla cementificazione.
competenze liNguistiche
  • “Filomena aveva un’immaginazione fertile”, cioè era una persona:
    • fantasiosa.
    • curiosa.

  • “Siamo ripartiti portandoci dietro un ricordo fastoso.” “Fastoso” vuol dire:
    • festivo.
    • ricco, magnifico.

  • “Una rovina che non stento a immaginare”, vuol dire che l’autrice:
    • riesce a immaginare la rovina.
    • non riesce a immaginare la rovina.

La dolce fiamma - I saperi fondamentali
La dolce fiamma - I saperi fondamentali
Narrativa