CARTA CANTA - Il baule di Pessoa

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Il baule di Pessoa

Il 30 novembre del 1935 si spegneva in un ospedale di Lisbona, dov’era ricoverato per problemi al fegato, Fernando Pessoa, un impiegato scapolo di quarantasette anni. Il signor Pessoa traduceva per ditte e giornali dall’inglese, lingua imparata in Sudafrica, dove aveva vissuto in gioventù, e di tanto in tanto firmava articoli e versi per riviste. Giusto un anno prima era apparso il suo libro d’esordio in portoghese, Messaggio, una raccolta di poemi dedicati a grandi figure della sua nazione. Tutto qui? Tutto qui. Senonché quest’uomo riservato, vissuto e morto nell’ombra, celava un segreto eccezionale, riposto nel capiente baule che lo accompagnò nei suoi tanti traslochi.

Quando venne aperto, nella casa della sorella che lo conservò per decenni, si scoprirono due cose: che il signor Pessoa era un grafomane, e che questo grafomane era uno scrittore straordinario, uno dei più grandi mai apparsi in Portogallo. A testimoniarlo stavano le sue carte: un’infinità di buste che contenevano poesie, aforismi, diari, racconti, saggi filosofici, scritti su qualunque foglio gli capitasse sotto mano, per decenni, senza sosta. Lo stesso Pessoa raccontò in una lettera come venne assalito da questo demone, l’8 marzo 1914: «Mi sono avvicinato a un alto comò e, prendendo un foglio, mi sono messo a scrivere, all’impiedi, come faccio ogni volta che posso. E ho scritto circa trenta poesie di seguito, in una specie di estasi di cui non riesco a capire il senso. Fu il giorno trionfale della mia vita e non potrò mai averne un altro come quello. Cominciai con un titolo: Il guardiano di greggi. E quello che seguì fu la nascita in me di qualcuno a cui diedi subito il nome di Alberto Caeiro. Scusate l’assurdità di questa frase: il mio maestro era sorto in me».

Caeiro, poeta contadino e filosofo, è il primo e più importante degli eteronimi inventati da Pessoa: personaggi d’invenzione ai quali attribuiva i suoi versi, dotandoli di una precisa biografia, un aspetto esteriore, idee politiche, uno stile e persino una calligrafia personale. Ecco dunque l’ingegnere Álvaro de Campos, fiammeggiante poeta futurista; Ricardo Reis, latinista e medico, cantore della natura, Bernardo Soares e un centinaio d’altre maschere. Ognuna di esse coglie un aspetto della poliedrica ed enigmatica sensibilità di Pessoa: «Mi sento multiplo. Sono come una stanza dagli innumerevoli specchi fantastici che distorcono in riflessi falsi un’unica anteriore realtà che non è in nessuno ed è in tutti».

Pessoa sviluppò così una profonda riflessione sull’identità, negli anni in cui Luigi Pirandello portava i medesimi temi sui palcoscenici del mondo intero. Lo scrittore portoghese preferì coltivare nell’ombra la sua arte: ma le carte che andava instancabilmente riempiendo sono ora visibili sul sito della Biblioteca Nazionale del Portogallo, che le ha digitalizzate. Fra queste, moltissime sono tuttora inedite e attendono uno studio puntuale.

Il baule di Pessoa era «pieno di gente», come ha scritto Antonio Tabucchi: e forse non abbiamo ancora conosciuto tutti i suoi fantasmi.

La dolce fiamma - volume B
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Poesia e teatro