1. Il poeta-personaggio

1. IL POETA-PERSONAGGIO

Se c’è un aspetto che caratterizza la lirica moderna, dal Romanticismo in poi, è la ricerca di originalità a ogni costo. L’autore si svincola dall’obbligo di seguire il solco tracciato dai grandi maestri della tradizione, nel tentativo di emularli, e prova soprattutto a esternare liberamente i propri sentimenti, mettendosi a nudo nel modo più immediato e intenso possibile. Anche nell’epoca classica il poeta rappresentava i caratteri del proprio io, in relazione all’amore o alle passioni della vita, ma è nell’Ottocento che la poesia diviene espressione costante dell’animo, confessione intima, sfogo personale e il poeta appare sulla scena come un vero e proprio personaggio, che comunica i valori, le funzioni e le ambizioni della propria esistenza di artista. Il lettore finisce così per identificare l’io lirico con la persona che ha firmato il componimento, senza mediazioni. Ciò accade molto più di frequente in poesia che nella narrativa, dove invece spesso avvertiamo un grande divario fra l’autore reale e il narratore delle pagine di un romanzo.

La scelta di esprimersi in versi non è naturalmente garanzia assoluta di sincerità. Non è scontato che la poesia corrisponda sempre alla biografia del poeta e che si faccia portavoce delle sue idee, delle sue emozioni, del suo stare al mondo: il vissuto reale può essere modificato, sublimato, travestito in modo fittizio.

Quanta menzogna e quanta verità ci sono nell’autorappresentazione? Fino a che punto si può dire che, come uno specchio fedele, i versi delineano il carattere e la fisionomia di un uomo o di una donna in carne e ossa? È impossibile rispondere. Quel che è certo è che ogni poeta lirico intende trasmettere ai lettori e alla società una certa identità: un’immagine di sé del tutto soggettiva. E lo fa spesso in modo esplicito, collocandosi al centro dell’attenzione e facendo di sé e delle esperienze vissute un argomento fondamentale delle proprie poesie.

2. I VOLTI E LE IDENTITÀ

Come riconoscere allora tipologie e atteggiamenti ricorrenti fra i poeti moderni? Un’ottima chiave per indagare l’evoluzione del loro profilo è data dal rapporto con la società, mai così variabile e problematico. Nel secondo Ottocento si impongono due modelli, agli antipodi fra loro. Da una parte troviamo il poeta che vive un profondo dissidio con il proprio tempo, coltiva la propria arte in perfetta solitudine e spesso maledice un mondo dal quale non si sente compreso; dall’altra il poeta che assume su di sé il ruolo di portavoce di un gruppo, di una società, o addirittura di una nazione, rilanciandone gli ideali con slancio profetico.

Nella Francia del XIX secolo molti artisti si mostrarono, nei versi come nella vita, ostili alle convenzioni borghesi e decisi a provocare, dissacrare e scandalizzare, a costo di cadere negli abissi della miseria, o di bruciarsi con alcol, droghe, eccessi di ogni tipo. Ciò spiega perché vennero chiamati poeti “maledetti” o bohémien, un termine che rimanda alla Boemia, ritenuta allora patria degli zingari, emblema di uno stile di vita fuori dagli schemi. Fra questi letterati ribelli primeggiava Charles Baudelaire (1821-1867), che in molti componimenti raccolti nei Fiori del male diede voce alla profonda frattura apertasi tra la società e il poeta, paragonato nell’Albatro ( T2, p. 94) a un uccello maestoso ridotto a zoppicare sul ponte di una nave, in balia di un gruppo di sadici marinai.

L’esempio di Baudelaire ebbe effetti immediati su una generazione di eccentrici poeti fiorita a Milano subito dopo l’Unità, gli Scapigliati (chiamati così per le chiome arruffate che spesso esibivano), molti dei quali vissero esistenze grame, precocemente concluse da suicidi e malattie. Autori come Emilio Praga (1839-1875) – nato ricco e morto alcolizzato in povertà a soli trentasei anni – rifiutarono di cantare le glorie delle guerre risorgimentali, e non trovarono mai onori pubblici o impieghi remunerativi presso le istituzioni.

 >> pagina 86 
In Italia si affermò soprattutto la figura del poeta che guidava e orientava i sentimenti del popolo, indicando alla collettività i valori a cui conformarsi. Un tale ruolo venne incarnato soprattutto da Giosue Carducci (1835-1907), un professore di Letteratura che insegnò per decenni all’Università di Bologna e intervenne con i suoi versi in tutte le questioni cruciali del suo tempo, celebrando gli eroi della patria, esaltando gli angoli più belli del paese, biasimando gli scandali politici. Avverso alla poesia di argomento sentimentale, egli propugnò un’idea di poeta come “artiere”, maestro di tecnica che nella sua officina – come fosse un fabbro – tempra concetti e indica ai lettori le strade da seguire.

In questo modo Carducci aggiornò per il pubblico della nuova Italia, finalmente unita, una figura classica, incarnata da poeti di ogni epoca e cultura: quella del poeta vate animato da impegno civile, dal quale si attende un responso su ogni questione di interesse pubblico (vates in latino significa ”indovino”, “sacerdote”).

Un ruolo dunque di guida morale di una nazione, teso a celebrarne e propagarne i valori, a cui aspirò dopo di lui Gabriele d’Annunzio (1863-1938), che nelle sue poesie sostenne la conquista della Libia e l’intervento dell’Italia nella Grande guerra, suggestionando l’opinione pubblica che ne leggeva i versi a caldo, stampati sui principali quotidiani.

Al ruolo di vate ambisce nelle sue ultime raccolte di versi anche Giovanni Pascoli (1855-1912). In precedenza Pascoli aveva identificato il poeta con l’immagine di un «fanciullino», dotato di una profonda sensibilità e perciò capace di meravigliarsi e gioire nello scoprire gli aspetti più modesti e genuini dell’esistenza. Tale condizione costituisce un vero e proprio privilegio: restando bambino, infatti, il poeta può tradurre gli oggetti e i luoghi del mondo in parole immediate, senza il filtro della ragione, ma solo attraverso la propria intuizione, che gli consente di cogliere «le somiglianze e le relazioni più ingegnose» tra le cose.

Più malinconica e dimessa è invece l’autorappresentazione promossa, agli inizi del Novecento, dai poeti crepuscolari, così definiti in quanto la loro comparsa sembrò segnare il tramonto di un’epoca. Di contro ai toni roboanti dei versi di d’Annunzio, il giovanissimo Sergio Corazzini (1886-1907) in Desolazione del povero poeta sentimentale adotta la flebile voce di un «piccolo fanciullo che piange», avvilito dalla tubercolosi che lo corrode. La stessa malattia che stroncò Corazzini colpì Guido Gozzano (1883-1916), nei cui versi l’aspetto patetico si mescola a un’inconfondibile autoironia, che lo porta a descriversi come un «coso con due gambe detto guidogozzano». Emerge così un gusto per il bizzarro che trionfa nelle raccolte poetiche pubblicate da Aldo Palazzeschi (1885-1974) intorno al 1910, prima e dopo la sua adesione al Futurismo. Un componimento come Chi sono? ( T3, p. 98), concluso dal guizzo con il quale si definisce «saltimbanco dell’anima mia», esemplifica bene l’attrazione verso la figura del pagliaccio che contraddistingue la cultura europea dell’epoca. I suoi paiono i deliri di un folle: solo per questo la società gli consente di prendere la parola. Tuttavia, nelle provocatorie stravaganze di questa figura si coglie anche una critica radicale all’ordine costituito. Non si tratta dunque di divertire i potenti, ma di sabotare il sistema che li premia, seminando dubbi nei lettori.

Le durissime esperienze vissute durante la Grande guerra rappresentarono anche per i poeti, così come per altre categorie di intellettuali, un’opportunità per conoscere meglio il popolo chiamato a combattere e per condividere con esso le proprie sofferenze. Giuseppe Ungaretti (1888-1970), semplice fante dell’esercito italiano, nelle liriche del Porto sepolto elevò a vette straordinarie quest’idea di comunione nel dolore. Altri poeti espressero la loro vicinanza alla componente più misera della società, come fece il russo Vladimir Majakovskij (1893-1930), alfiere della Rivoluzione sovietica. Il poe­ta è un operaio ( T4, p. 103) testimonia bene il vigore con cui Majakovskij ribatteva alle critiche di quanti, instaurato il comunismo, avrebbero voluto mandare i poeti a lavorare in fabbrica, senza capire la straordinaria importanza che i versi possono avere nell’indirizzare una società verso un avvenire di pace e giustizia.
In quanto “personaggio”, anche il poeta può assumere atteggiamenti di volta in volta differenti davanti ai propri lettori. Chiunque, all’atto di scrivere versi, finisce con l’indossare una maschera: solo un ingenuo potrebbe scambiare l’attività poetica con un costante e indiscutibile esercizio di sincerità. Questa è l’opinione del portoghese Fernando Pessoa (1888-1935), che di maschere se ne intendeva, visto che era solito attribui­re i suoi versi a personaggi d’invenzione, provvisti di nome, cognome e puntuale scheda biografica. Come proclama il primo verso di una sua lirica, «Il poeta è un fingitore» ( T1, p. 89), ma ciò non diminuisce affatto l’intensità delle emozioni che prova e tenta di trasmettere al lettore.

Una caricatura d’autore

Un poeta può essere famoso come un attore? Le sue opinioni possono essere seguite da un vasto pubblico? Gabriele d’Annunzio era un personaggio noto, chiacchierato, seguito, amato, odiato, tanto da essere persino ritratto in molte caricature. Il disegnatore Augusto Majani (in arte Nasica, 1867-1959), in questa illustrazione, si prende gioco della gloria tributata al poeta vate, rappresentandolo seduto in trono, circondato da seguaci adoranti.

L’arte al servizio del popolo

Il pittore russo Aleksandr Aleksandrovich Deĭneka (1899-1969) condivideva con Vladimir Majakovskij l’impegno per un’arte al servizio della Rivoluzione sovietica. In questo quadro rappresenta il poeta mentre è intento, in prima persona, a dipingere immagini di propaganda per la Rosta (l’agenzia telegrafica russa).

Verifica delle conoscenze

1. La ricerca di originalità ha sempre caratterizzato la poesia?
2. Quali sono i due principali modelli di poeta che si impongono nel secondo Ottocento?
3. Che cosa indica l’epiteto bohémien?
4. Chi sono gli Scapigliati?
5. Che cosa si intende per poeta vate?
6. Contro chi e contro che cosa intendono reagire i poeti crepuscolari?
7. Perché la figura del pagliaccio dilaga nella poesia europea novecentesca?
8. Che cos’ha rappresentato la Grande guerra nei rapporti fra il poeta e la società?

La dolce fiamma - volume B
La dolce fiamma - volume B
Poesia e teatro