1. Le caratteristiche

1. LE CARATTERISTICHE

Collocata agli antipodi del genere tragico, la commedia è una rappresentazione teatrale che affronta con tono leggero i diversi aspetti della vita. Sulla scena non troviamo protagonisti del mito o eroi lacerati da conflitti insanabili o nobili, ma personaggi comuni alle prese con le situazioni dell’esistenza quotidiana prive di ogni risvolto solenne: intrecci divertenti e paradossali, ricchi di colpi di scena o equivoci imbarazzanti, si concludono di norma con un lieto fine che rimuove ostacoli e difficoltà.

Tuttavia, nello sviluppo delle vicende, nelle azioni e nei comportamenti dei personaggi spesso è possibile cogliere una spregiudicata satira della società: la critica dei costumi, la polemica contro il potere e le classi dirigenti, l’osservazione divertita ma pungente dei vizi e delle idiosincrasie individuali e collettive costituiscono un motivo ricorrente della commedia di ogni epoca. Sotto questo aspetto, essa non si limita a svolgere una funzione di semplice e disimpegnato intrattenimento, ma si propone al contrario una finalità politica e pedagogica, grazie alla quale gli spettatori sono indotti a riflettere sulle contraddizioni e le ipocrisie della vita privata e pubblica.

Al contempo, suscitando risate dissacranti, la commedia libero sfogo a elementi solitamente repressi e censurati dalle nostre “buone maniere”, a partire dagli aspetti osceni e talvolta grotteschi legati alla sessualità. Amori, passioni, interessi economici, truffe, inganni: tutto questo, insieme alle componenti più reali e materiali dell’esistenza umana, trova in tal modo accoglienza a teatro.

Per questo anche il linguaggio della commedia non può certamente essere aulico o sublime: il lessico è infatti semplice e quotidiano, con frequenti inserti di espressioni scurrili per suscitare le facili risate del pubblico, il tono è colloquiale, i dialoghi sono brevi e brillanti.

2. LA COMMEDIA GRECA

Come la tragedia, anche la commedia nasce nell’Atene del V secolo, e le sue origini si intrecciano con le antiche cerimonie religiose dedicate al dio Dioniso. La stessa parola “commedia” deriva dal greco komoidía, che stava a indicare i canti corali che accompagnavano i festosi cortei rituali in onore del dio per propiziare i raccolti.

Dall’evoluzione teatrale di queste processioni, si sviluppa la commedia attica, chiamata così dall’omonima storica regione greca dove prese piede. Costituitasi come un genere drammatico dotato di regole particolari, essa presenta una struttura divisibile in 5 parti.

1. Nel prologo un attore in maschera spiega al pubblico gli antefatti della commedia.

2. Nel pàrodo entra in scena il coro, composto da ventiquattro cantori e danzatori guidati da un corifeo. Al termine della sfilata, caratterizzata da un ritmo vivace e accompagnata da un canto in versi, i membri del coro vanno a collocarsi nell’orchestra, l’area circolare posta al centro del teatro.

3. Si svolge quindi l’agone drammatico, in cui il protagonista e l’antagonista si ricoprono vicendevolmente di insulti e minacce; qualche ragione esterna, tuttavia, interviene a raffreddare la loro rabbia.

4. Nella paràbasi gli attori si allontanano, e la scena viene occupata dai membri del coro che – toltisi le maschere e i mantelli – cominciano a rivolgersi direttamente al pubblico. Attraverso questa specie di intermezzo, fatto di parti cantate e recitate, l’autore comunica le proprie idee agli spettatori, difendendo dalle critiche le sue scelte artistiche.

5. Gli attori, nuovamente in scena, si impegnano nella recitazione di una serie di scene comiche, simili a sketch debolmente connessi tra loro, fino all’èsodo, con il canto conclusivo del coro.

I temi trattati dalla commedia attica spaziano dalla polemica politica a intrecci di tipo fantastico, fino al recupero parodico di motivi mitologici. Il suo rappresentante più importante è Aristofane (445 ca. a.C.-385 a.C.), l’unico tra i commediografi greci di cui possediamo opere complete. Le sue commedie sono improntate a un’acre vena satirica, spesso diretta contro singoli individui o contro gli autori tragici, sbeffeggiati per la loro ampollosa serietà.

Nel corso degli anni, la commedia evolve mutando le sue caratteristiche di base. L’importanza del coro diminuisce di molto, mentre acquista maggiore rilievo la recitazione dei personaggi, sempre più approfonditi psicologicamente. A partire dal IV secolo a.C. si sviluppa in particolare la cosiddetta “commedia nuova”, che ha il suo massimo esponente nell’ateniese Menandro (342 ca. a.C.-291 a.C.). Nei suoi testi si riflette la fine dell’indipendenza delle città greche, con il conseguente venir meno di libertà e spregiudicatezza: la satira perde mordente e aggressività politica e non colpisce più i detentori del potere o individui determinati, ma si rivolge contro generici tipi umani o rappresentanti di particolari categorie sociali, come il filosofo, il soldato fanfarone, la cortigiana e lo scroccone. Anche gli intrecci si fanno più articolati e si aprono alla dimensione amorosa, declinata come un normale sentimento umano, ben lontano dai titanici eroismi che caratterizzano la tragedia.
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3. LA COMMEDIA LATINA

Le prime forme del teatro comico latino sono dette atellane, farse sorte presso la popolazione degli Osci di Atella, in Campania, e recitate già intorno al IV secolo a.C., con argomenti tratti per lo più dalla vita agreste e personaggi fissi: il vecchio avaro, il parassita, lo sciocco e così via. Sono però la conoscenza e l’imitazione della commedia nuova di Menandro a favorire lo sviluppo del teatro a Roma, dove conosce subito un grande successo la fabula palliata, la commedia di ambientazione greca, così chiamata per il pallium, la corta tunica indossata dagli attori, tipico costume greco. Molto meno popolare è invece la fabula togata, che ha argomento romano e prende il nome dalla toga, l’abito che i cittadini romani indossavano come segno della propria condizione (orlata di porpora era quella dei più alti magistrati; candida era quella degli aspiranti alle cariche elettive e così via).

La palliata si presenta come una riscrittura o, meglio, una traduzione libera di un testo greco di partenza, il cui titolo viene citato direttamente nel prologo. Vicende amorose, travestimenti, scambi di persona, personaggi tipici: gli ingredienti si ripetono costantemente con ben poche variazioni. Il commediografo latino più rappresentativo di questa produzione è Tito Maccio Plauto (251 ca. a.C.-184 a.C.): dalle sue opere che ci sono pervenute emergono una grande libertà rispetto ai modelli greci, di cui pure mescolava trame e situazioni grazie alla tecnica della contaminatio (“contaminazione”), e una straordinaria verve comica, fatta di battute rapide e vivaci ( T1, p. 475).

A differenza dell’arte di Plauto, priva di spessore psicologico e disinteressata ai problemi morali, quella di Publio Terenzio Afro (185 ca.-159 a.C.) persegue scopi riflessivi e uno studio attento dei caratteri e delle relazioni tra gli uomini. Ma proprio per questo il suo raffinato teatro non incontrò il favore del pubblico romano, più incline ad apprezzare le ripetitive maschere di Plauto e le sue gag chiassose e dall’effetto facile.

4. DAL CINQUECENTO A OGGI

Come la tragedia, durante il Medioevo anche la commedia viene abbandonata. Torna in auge durante l’età rinascimentale, specialmente in Italia e in Francia: dapprima le nuove opere imitano pedissequamente i modelli latini, ma poi – con il passare del tempo – maturano caratteristiche autonome. In particolare, acquista grande rilevanza il tema della beffa amorosa, e si cominciano ad adottare riferimenti a luoghi e a professioni tipiche delle città contemporanee (lo studente, il mercante, l’artigiano), come avviene nella Lena di Ludovico Ariosto (1474-1533), commedia ricca di intrighi e peripezie ambientata a Ferrara. L’analisi psicologica caratterizza invece il teatro di Niccolò Machiavelli (1469-1527), che nel suo capolavoro La mandragola mette in scena la crisi dei valori umanistici attraverso l’invenzione di personaggi immorali e spregiudicati.

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Ma è il Cinquecento il secolo decisivo nella storia del teatro, soprattutto per la nascita della cosiddetta “commedia dell’arte”, uno spettacolo comico basato sull’improvvisazione. Gli attori (ossia i professionisti del mestiere: questo è il significato della parola “arte”) non usano infatti un vero e proprio copione, ma un canovaccio, cioè il riassunto di una trama essenziale alla quale aggiungono di volta in volta battute, scherzi e lazzi escogitati sul momento. Questo compito viene facilitato dal fatto che essi tendono a specializzarsi in un ruolo fisso riconoscibile dalla maschera, dall’abbigliamento e da alcuni aspetti caratteriali esasperati per accrescere l’effetto comico: il buonumore e l’arguzia di Arlecchino, la presunzione del Dottor Balanzone, la furba civetteria di Colombina, la mutevolezza di Pulcinella, pigro e sfrontato, ma anche malinconico e generoso.

La comicità esilarante della commedia dell’arte influenza la produzione del francese Molière (1622-1673), commediografo alla corte di Luigi XIV, che però aggiunge ai suoi testi un’accentuata impronta realistica e una particolare attenzione al carattere dei personaggi. In opere come Il misantropo, L’avaro o Il malato immaginario è visibile anche l’ispirazione dai classici latini, in particolare da Plauto, ma del tutto originale è la vena satirica che l’autore dispiega per ridicolizzare i costumi della società a lui contemporanea.

Un secolo dopo Molière, il veneziano Carlo Goldoni (1707-1793) si fa promotore di una riforma della commedia, con l’intento di superare la crisi della commedia dell’arte, ormai stancamente cristallizzata in schemi e battute sempre più ripetitivi e di cattivo gusto. Uno degli obiettivi primari di Goldoni è ristabilire la centralità del testo drammatico, scritto per intero dall’autore, a scapito delle improvvisazioni degli attori, che dovevano quindi rinunciare ai loro eccessi istrionici attenendosi alla recitazione e al rispetto del copione da imparare a memoria. Come si può immaginare, per Goldoni non fu facile imporre questa novità davvero rivoluzionaria: si trattava, in primo luogo, di convincere gli interpreti a ridimensionare il loro estro creativo; e, in secondo luogo, di vincere la concorrenza degli altri autori tea­trali, abituati al successo facile delle loro esili trame convenzionali tanto apprezzate da un pubblico dai gusti grossolani.

I personaggi delle commedie di Goldoni, infatti, hanno ben poco a che vedere con le maschere fisse della commedia dell’arte, rappresentando invece la complessità della società borghese non attraverso generiche categorie umane ma mediante le abitudini, la mentalità e gli obiettivi dei singoli individui: essi mostrano una caratterizzazione psicologica senza precedenti, evolvono lungo lo sviluppo dell’intreccio, evidenziano sfaccettature e contrasti interiori, si relazionano all’ambiente specifico a cui appartengono ( T2, p. 483).

Nell’Ottocento la crisi dei generi porta alla progressiva scomparsa della commedia tradizionale; nel Novecento, poi, la commistione delle forme espressive, la dissoluzione e la sperimentazione dei linguaggi e il ripensamento dello spazio scenico sgretolano le strutture consuete della comunicazione teatrale. Anche i contenuti si trasformano radicalmente: al centro dell’attenzione finiscono soprattutto temi di natura esistenziale e la riflessione sulla realtà e sull’incomunicabilità tra gli uomini, come avviene nella commedia di Luigi Pirandello; il divertimento comico è affidato per lo più alla pantomima, al circo, al teatro delle marionette, all’inventiva di grandi attori capaci di dare corpo e voce a personaggi destinati a fissarsi nella memoria collettiva (basti pensare al romano Ettore Petrolini e, più tardi, al napoletano Totò).

In Italia viene inoltre riscoperta una dimensione più popolare che si affida spesso all’autenticità del dialetto per portare sulla scena la realtà quotidiana rappresentata senza filtri sublimanti: è il caso del napoletano Eduardo De Filippo (1900-1984), nei cui testi affiora la denuncia delle umiliazioni subìte dalla povera gente, eternamente sconfitta in una società oppressiva e ingiusta.

Una chiara valenza politica emerge anche nella produzione del lombardo Dario Fo (1926-2016), autore e al tempo stesso attore dei suoi testi, come Eduardo. Fo si richiama alla tradizione dell’improvvisazione e sfrutta una funambolica espressività non verbale (gesti, versi, espressioni facciali) facendosi promotore e paladino di un teatro impegnato e vicino alle classi più umili. Il suo capolavoro, Mistero buffo ( T3, p. 489) – che si riallaccia liberamente agli spettacoli dei giullari medievali –, è caratterizzato da una lingua inventata, il grammelot, che mescola antichi dialetti padani fino a dissolversi in sonorità pure, oltrepassando le regole grammaticali.

Tipi umani in maschera

Le maschere della commedia dell’arte identificano tipi umani ben precisi, caratterizzati da costumi particolari e dal ricorso a gesti codificati. Nell’immagine ne sono rappresentate tre famosissime:

  • Pantalone, maschera veneziana, è un mercante vecchio, avaro e lussurioso, che viene spesso beffato;
  • Arlecchino, maschera bergamasca, è il servo imbroglione, sempre affamato, dalla battuta pronta;
  • Capitano, maschera veneziana, è il militare spaccone che riprende i tratti del Miles gloriosus di Plauto.

Risate che alleggeriscono

L’umore delle truppe durante i conflitti è stato spesso una preoccupazione dei governi nazionali, sin dalla Prima guerra mondiale, fino a conflitti più recenti come la guerra del Vietnam. Offrire allegri spettacoli di intrattenimento è sembrato spesso un modo per curare, se non i corpi, per lo meno le anime ferite dei soldati.

Verifica delle conoscenze

1. Come si concludono di norma le commedie?
2. In che cosa consiste la funzione politica della commedia?
3. Che cosa indica l’origine della parola “commedia”?
4. Che cosa si intende per fabula palliata?
5. Che differenza c’è tra la commedia di Plauto e quella di Terenzio?
6. Quali sono i caratteri fondamentali della commedia dell’arte?
7. Il commediografo Carlo Goldoni (sono possibili più risposte)
  • a con la sua riforma della commedia puntava a restituire dignità al testo drammatico. 
  • b con la sua riforma della commedia prevedeva degli attori capaci di interpretare con grande maestria un unico personaggio. 
  • c costruiva personaggi molto approfonditi dal punto di vista psicologico. 
  • d auspicava l’uso di un registro raffinato e sublime. 

8. Come si è evoluta la commedia nel Novecento?

La dolce fiamma - volume B
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Poesia e teatro