LE TECNICHE

2 IL LINGUAGGIO DELLA POESIA

  • Questione di stile
  • I meccanismi della poesia
  • Il lessico della poesia
  • La sintassi
  • Il registro stilistico
  • I campi semantici
  • Le opposizioni spaziali e temporali

Come analizzare

G. Pascoli, X agosto, p. 64


Analizziamo insieme

D. Alighieri, Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io, p. 66


Analizza tu

P. Cavalli, L’onda, p. 68

1. QUESTIONE DI STILE

I poeti possono essere considerati veri e propri “professionisti” della parola: come i pittori con linee, colori e forme, o come i compositori con le note musicali, riescono a usare il linguaggio con grande maestria, dando vita a crea­zioni raffinate e originali.

I versi sono dotati di un’espressività particolare, che desta l’attenzione dei lettori e accende la loro fantasia. Ma qual è il linguaggio tipico dei poeti? Come si comporta questa particolare schiera di artisti, da sempre al lavoro con le parole? L’immaginario popolare identifica la poesia con i termini desueti o strani, le parole in rima, le immagini eccentriche e con ricorrenti luoghi comuni: i cieli stellati, le guance di rosa, i cuori trafitti, gli occhi di ghiaccio e le bionde chiome dorate…

In realtà, la poesia è molto di più di qualche frase scritta in stile fantasioso e “ispirato”, o magari impreziosita da qualche termine fuori moda. Se è vero che molti poeti sono dotati di una sensibilità particolare, infatti, è altrettanto vero che dominare l’arte della scrittura poetica richiede conoscenze tecniche e uno sforzo simile a quello necessario per suonare uno strumento.

La lingua della poesia è notevolmente complessa e stratificata. Ogni minimo dettaglio può fare la differenza: una virgola cambiata di posto, una particolare combinazione di suoni, un diverso ordine sintattico, la scelta accurata di un aggettivo o di una preposizione. Oltre a quella comunicativa, esiste una funzione estetica, che si traduce nella cura della forma e che ci spinge ad apprezzare la “bellezza” di un testo e ad alimentare il piacere della lettura. Il lessico e l’aspetto esteriore della poesia possono essere in effetti diversi da quello della comunicazione ordinaria: la lingua di tutti i giorni è per lo più semplice, lineare e trasparente, mentre quella della poesia si rivela spesso complessa, oscura e difficile da interpretare. Non bisogna tuttavia generalizzare. Questa distinzione, in molti casi vera, va presa con le pinze: se da un lato molte poesie abbondano di parole inusuali ed enigmatiche, dall’altro esistono anche autori che scrivono in modo chiaro e colloquiale.

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2. I MECCANISMI DELLA POESIA

Raramente i versi scritti di getto non conoscono correzioni: la poesia in genere è frutto di un’elaborazione faticosa e di una lunga riflessione. Il linguaggio dei poeti non nasce infatti solo da un’innata predisposizione a sfruttare tutte le potenzialità – evocative, espressive, foniche – delle parole. Esso si serve di precisi requisiti tecnici e di una serie di complicati meccanismi, che permettono di comunicare sensazioni e idee al lettore.

Significante e significato

Per comprendere come funziona la poesia, è necessario introdurre una distinzione riguardante la struttura della lingua. Ogni lingua, infatti, è costituita di segni (o, semplificando, di parole), e ciascun segno è composto da due entità fondamentali:

  • il significante, cioè l’insieme di suoni che compongono la parola, è la sua forma concreta ed esteriore;
  • il significato corrisponde al concetto, o immagine mentale, a cui la parola rimanda.

Prendiamo per esempio il segno cane:

  • il significante coincide con la serie di suoni che compongono la parola: c + a + n + e;
  • il significato è invece costituito dal concetto, o “idea”, di cane, a cui pensiamo quando leggiamo o ascoltiamo tale parola.

Significante e significato sono come due facce della stessa medaglia: è impossibile separarle in modo netto. Non esistono, infatti, significati senza forme che li esprimano e, viceversa, forme totalmente prive di significato. Molti poe­ti ricercano particolari artifici sonori, lavorando sul significante e sugli effetti (musicali e simbolici) creati da alcune lettere e parole su chi legge o ascolta; allo stesso tempo, la varietà dei significati associati a un certo termine permette di comunicare contenuti profondi e originali, al di là di quelli più banali e immediati. Per questo il senso di una poesia va sempre cercato nell’intreccio tra i due piani, nel modo, cioè, in cui significante e significato collaborano per veicolare emozioni, concetti e visioni del mondo.

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Denotazione e connotazione

Il significato di una parola è costituito dalla somma di due componenti: la denotazione e la connotazione.

  • Valori denotativi: coincidono con il significato letterale delle parole. Per esempio, data la parola cielo, il suo valore denotativo consiste in ciò che nel paragrafo precedente abbiamo chiamato significato. Semplificando, potremmo sostenere che il suo valore denotativo coincide con la definizione che di essa fornisce il vocabolario:

    Cielo denota il «vuoto al di sopra della superficie terrestre che, visto dalla Terra, appare come una volta limitata dall'orizzonte in cui sembrano muoversi gli astri».

  • Valori connotativi: le parole possono avere altri significati, che vanno al di là di quello letterale. L’insieme di tali concetti ulteriori, spesso non chiaramente o immediatamente definiti, dà vita al significato connotativo di una parola. Prendiamo la parola foresta: essa denota una «grande estensione di terreno ricoperta di alberi e altre piante», ma connota una lunga serie di significati secondari, tra cui vitalità, molteplicità, pericolo, potenza della natura, instabilità, smarrimento, travaglio morale. Per riprendere l’esempio prima citato:

    Cielo denota elevazione, purificazione, infinità, divinità, profondità...

Se i valori denotativi sono fissati in modo rigido, quelli connotativi sono molto più liberi e legati alla cultura di appartenenza dell’autore e alla sua personale visione del mondo e sensibilità linguistica.

Non voglio mica la luna

Speranze, ambizioni, sogni: anche i più realisti tra gli uomini – a volte – “vogliono la luna”…
Ma come raggiungerla? Il poeta e pittore inglese William Blake (1757-1827) ci scherzò sopra.

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3. IL LESSICO DELLA POESIA

Il lessico della poesia è molto più vario di quanto si pensi comunemente. Certamente molti poeti preferiscono insistere su un ambito linguistico delimitato, lontano magari dalla lingua parlata e caratterizzato dalla preferenza per termini rari o desueti. Altri però utilizzano un lessico più vasto e sono inclini ad accogliere anche termini tradizionalmente ritenuti poco poetici, colloquiali o addirittura volgari. Le ragioni delle diverse scelte dipendono dalla volontà del singolo autore, ma anche dal genere praticato (poesia epica, d’amore, comica, religiosa ecc.).

Lessico aulico

Nei primi secoli della tradizione letteraria italiana i poeti hanno spesso usato un lessico prezioso, costellato di latinismi e termini “difficili”, che costituisse una sorta di linguaggio convenzionale, un codice che tutti coloro che scrivevano versi dovevano conoscere e saper utilizzare. Nel canone poetico inaugurato dal Canzoniere di Francesco Petrarca (1304-1374), anche le immagini più consuete sono state, per così dire, sublimate o nobilitate da termini ricercati o astratti. Per esempio, gli occhi venivano chiamati lumi, come in questo verso dello stesso Petrarca:

e vidi lagrimar que’ duo bei lumi

Quella che comunemente chiamiamo “spada”, invece, in poesia era detta brando, come nel seguente verso di Torquato Tasso (1544-1595):

scudo a scudo, elmo ad elmo e brando a brando

Molti componimenti presentano così una grande concentrazione di parole auliche: attraverso di esse, il poeta ribadisce la sua conoscenza della tradizione, e fa sfoggio di maestria stilistico-formale. Vediamo una famosa ottava di Giovan Battista Marino (1569-1625), facente parte del cosiddetto Elogio della rosa:

Rosa, riso d’Amor, del ciel fattura,1
rosa del sangue mio fatta vermiglia,2
pregio3 del mondo e fregio4 di natura,
della Terra e del Sol vergine figlia,
d’ogni ninfa5 e pastor delizia e cura,6
onor dell’odorifera famiglia;7
tu tien d’ogni beltà le palme prime,8
sopra il vulgo de’ fior donna sublime.9

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Lessico comune

Nel passato, termini quotidiani, informali e poco ricercati erano impiegati soltanto da poeti desiderosi di cimentarsi in una produzione comica o di stampo realistico. Con l’evoluzione del gusto e dello stile, tuttavia, il lessico della poesia comincia ad ampliarsi. Specialmente all’inizio del Novecento, diversi poeti lirici iniziano a includere nei loro componimenti termini quotidiani, lontani dall’altisonante lingua della tradizione. È il caso, tra gli altri, di Guido Gozzano (1883-1916), che predilige, come fonte di ispirazione, proprio gli oggetti comuni e di poco valore:

topaie, materassi, vasellame,
lucerne, ceste, mobili: ciarpame
reietto, così caro alla mia Musa!

Lessico basso

Oltre alle parole di uso comune, è possibile trovare tra i versi anche vocaboli bassi e colloquiali, utilizzati in funzione comica o per prendere le distanze dalla comunicazione letteraria tradizionale, aulica ed elitaria. Vediamo questi versi di Stefano Benni (n. 1947):

Se a sera ritornano
dal lavoro in città
le moto incazzate
i motorini ringhiosi
gli operai e i ladri

4. LA SINTASSI

La sintassi di una poesia consiste nel modo in cui le frasi sono costruite e montate tra loro: un aspetto, questo, molto importante perché influisce sui significati e sulle atmosfere evocate dal testo. Gli utilizzi della sintassi poetica prevedono numerose tipologie; ne riportiamo di seguito tre possibili configurazioni, significative dal punto di vista stilistico.

  • Sintassi franta: il testo è generalmente composto da periodi molto brevi, giustapposti uno dopo l’altro. Si ottiene, così, l’effetto di un procedere a singhiozzo, per continui salti. Prendiamo a modello alcuni versi di Giacomo Leopardi (1798-1837):
    Posa per sempre. Assai
    palpitasti. Non val cosa nessuna
    i moti tuoi, né di sospiri è degna
    la terra. Amaro e noia
    la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
    T’acqueta omai. Dispera
    l’ultima volta. […]
  • Sintassi legata: talvolta i poeti prediligono periodi più lunghi e complessi, costruiti con un elevato numero di subordinate e di coordinate e caratterizzati da frequenti incisi. L’effetto ottenuto è quello di un discorso ampio, fluido e quasi ininterrotto, formato da segmenti saldamente legati tra loro. La frase, così, ci sospinge come un’onda, trasportandoci lungo le anse del suo tortuoso percorso, come accade in questi versi di Eugenio Montale (1896-1981):
    Se t’hanno assomigliato
    alla volpe sarà per la falcata
    prodigiosa, pel volo del tuo passo
    che unisce e che divide, che sconvolge
    e rinfranca il selciato (il tuo terrazzo,
    le strade presso il Cottolengo, il prato,
    l’albero che ha il mio nome ne vibravano
    felici, umidi e vinti) – o forse solo
    per l’onda luminosa che diffondi
    dalle mandorle tenere degli occhi,
    per l’astuzia dei tuoi pronti stupori,
    per lo strazio
    di piume lacerate che può dare
    la tua mano d’infante in una stretta;
  • Sintassi iterativa: in questo caso la sintassi è costruita attraverso la ripetizione di alcuni elementi verbali, spesso in combinazione con la figura dell’anafora e del parallelismo. Il risultato è simile a una cantilena molto ritmata, in cui si alternano elementi nuovi e parole ripetute di continuo. Si prendano a modello questi versi di Piero Jahier (1884-1966):
    Ma dicevi che è bello il viso più usato
    dolce carezza la mano operosa
    ora ti aspetta la mano ruvida
    ora ti aspetta il viso scavato
    ora, finita la donna,
    ti aspetta la tua sposa.

La dolce fiamma - volume B
La dolce fiamma - volume B
Poesia e teatro