6. Le strofe

6. Le strofe

All’interno dei componimenti, i versi sono spesso raggruppati in strofe. Ogni strofa prende il nome dal numero di versi che la compongono, e in molti casi è strutturata al suo interno grazie a un particolare schema di rime. Le strofe possono, inoltre, essere composte da un solo tipo di verso, per esempio endecasillabi, oppure contenerne due o più tipologie, come endecasillabi e settenari. Ecco i principali tipi di strofa:


distico

terzina

quartina

sestina

2 versi

3 versi

4 versi

6 versi

La terza rima e l’ottava

Tipi particolari di strofe sono la terza rima e l’ottava. La terza rima consiste in una serie di terzine di endecasillabi, legate tra loro da un particolare schema rimico. Viene detta anche terzina dantesca, poiché è usata da Dante Alighieri nella sua Commedia, di cui riportiamo i primi nove versi:

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!

Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.
B
A
B

C
B
C

C
D
C

All’interno di ciascuna terzina, i due versi esterni rimano tra loro, mentre quello centrale è in rima con i due versi esterni della terzina successiva. L’effetto è quello di una continua progressione ritmica, che procede in modo fluido e ininterrotto: ogni terzina, infatti, si presenta come un’unità autonoma ma anche legata ai versi che seguono e che precedono.

L’ottava è invece un metro composto da otto endecasillabi legati dallo schema di rime ABABABCC: sei versi in rima alternata sono chiusi da un distico a rima baciata. L’ottava è stata molto utilizzata nella poesia di genere narrativo, come nei poemi epico-cavallereschi del Quattrocento e Cinquecento. Prendiamo a modello un’ottava tratta dall’Orlando furioso di Ludovico Ariosto (1474-1533):

Qual pargoletta o damma o capriuola,
che tra le frondi del natio boschetto
alla madre veduta abbia la gola
stringer dal pardo, o aprirle ’l fianco o ’l petto,
di selva in selva dal crudel s’invola,
e di paura triema e di sospetto;
ad ogni sterpo che passando tocca,
esser si crede all’empia fera in bocca.
A
B
A
B
A
B
C
C
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Versi sciolti e versi liberi

Infine vanno considerati anche i versi sciolti e i versi liberi. I versi sciolti, per lo più endecasillabi, non sono legati reciprocamente dalla rima, come avviene per esempio nel carme Dei Sepolcri di Ugo Foscolo (1778-1827), di cui riportiamo l’inizio:

All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne

confortate di pianto è forse il sonno

della morte men duro? Ove più il Sole

per me alla terra non fecondi questa

bella d’erbe famiglia e d’animali,

e quando vaghe di lusinghe innanzi

a me non danzeran l’ore future,

né da te, dolce amico, udrò più il verso

e la mesta armonia che lo governa […]

Il verso è invece definito libero quando le regole metriche della tradizione vengono abbandonate. In tal modo i versi vengono accostati secondo princìpi elaborati dal poeta medesimo, più o meno riconoscibili. In questi casi, la rima è assente o priva della sua funzione strutturante. Anche le strofe, ove presenti, seguono criteri che non si ripetono con regolarità nel testo. Come esempio, riportiamo la prima strofa di Sotto i colpi di Nelo Risi (1920-2015):

C’è gente che ci passa la vita

che smania di ferire:

dov’è il tallone gridano dov’è il tallone,

quasi con metodo

sordi applicati caparbi.

7. Le forme metriche

La combinazione e la struttura delle strofe danno vita a forme metriche che si sono via via affermate nella tradizione poetica italiana e che presentano schemi fissi o variabili. Le più importanti sono il sonetto e la canzone.

  • Sonetto: composto da quattordici versi, quasi sempre endecasillabi, rappresenta la forma metrica più diffusa nella letteratura italiana. Fin dalle origini il sonetto è stato utilizzato per poesie di ogni genere e argomento, anche per via della sua grande duttilità ritmica e della sua brevità. Si divide in quattro strofe:
  • due quartine, solitamente a rime incrociate (ABBA ABBA) o alternate (ABAB ABAB);
  • due terzine, prevalentemente con schema di rime ripetute (CDE CDE) o alternate (CDC DCD).

Prendiamo come modello un sonetto tratto dal Canzoniere di Francesco Petrarca:

Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
che ’n mille dolci nodi gli avolgea
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;

e ’l viso di pietosi color’ farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i’ che l’ésca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi?

Non era l’andar suo cosa mortale,
ma d’angelica forma; et le parole
sonavan altro, che pur voce humana.

Uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch’i’ vidi: et se non fosse or tale,
piagha per allentar d’arco non sana.
A
B
B
A

A
B
B
A

C
D
E

D
C
E
  • Canzone: secondo Dante Alighieri, la canzone costituisce la più nobile delle forme metriche. È costituita da un numero variabile di strofe, in genere cinque, dette stanze, seguite talvolta da una strofa più corta, il “congedo”, dotata di funzione conclusiva. Tutte le stanze ripetono la stessa struttura, cioè sono composte da un uguale numero di versi – generalmente endecasillabi e settenari – disposti nello stesso ordine e con identico schema rimico (ciò non significa uguaglianza di rime, che normalmente cambiano da una strofa all’altra).
    La struttura della stanza è divisa in due parti:
    1. fronte: composta da due piedi, cioè due sequenze di versi della stessa tipologia e dello stesso ordine;
    2. sirma: indivisibile, oppure anch’essa divisa in due parti, dette volte, di pari numero di versi.

L’ultimo verso della fronte rima con il primo della sirma, formando un collegamento tra le due parti: tale rima prende il nome di chiave. Riportiamo di seguito la prima strofa di una canzone dantesca:


Donna pietosa e di novella etate,
adorna assai di gentilezze umane,
ch’era là ’v’io chiamava spesso Morte,

veggendo li occhi miei pien di pietate,
e ascoltando le parole vane,
si mosse con paura a pianger forte.

E altre donne, che si fuoro accorte
di me per quella che meco piangia,
fecer lei partir via,
e appressarsi per farmi sentire.
Qual dicea: «Non dormire»,
e qual dicea: «Perché sì ti sconforte?».
Allor lassai la nova fantasia,
chiamando il nome de la donna mia.
A
B
C

A
B
C

C
D
d
E
e
C
D
D

 Piede



 Piede


 Chiave



▶ Sirma



La dolce fiamma - volume B
La dolce fiamma - volume B
Poesia e teatro