T4 - Elio Pagliarani, I goliardi delle serali (da Cronache e altre poesie)

T4

Elio Pagliarani

I goliardi delle serali

  • Tratto da Cronache e altre poesie, 1954
  • Metro versi liberi, con numerose rime baciate
Elio Pagliarani nasce a Viserba (Rimini) nel 1927. Trasferitosi diciottenne a Milano dal 1945, fa l’impiegato e, dopo la laurea in scienze politiche, insegna negli istituti tecnici. Nel 1954 esce il primo libro, Cronache e altre poesie; segue Inventario privato nel 1959, mentre si accentua il suo impegno nell’editoria e nel giornalismo, nelle vesti di redattore e critico teatrale. Nel 1962 ottiene notorietà con il poemetto La ragazza Carla, che racconta i cambiamenti sociali e culturali dell’Italia del boom economico: poco dopo, il poeta entra nel Gruppo 63, un movimento d’avanguardia caratterizzato da un notevole sperimentalismo stilistico. Pubblica, tra le altre opere, Lezione di fisica (1964) e La ballata di Rudi (1995): nel 2006 escono Tutte le poesie. Pagliarani muore a Roma nel 2012.

In questa poesia l’autore rappresenta la fine delle lezioni in una scuola serale. L’inverno, l’ora tarda, la nebbia e la città fanno da scenario all’uscita di un gruppo di studenti lavoratori, che si dirigono chiassosamente ognuno verso la propria strada.

 Asset ID: 134034 (let-audlet-i-goliardi-delle-serali190.mp3

Audiolettura

I goliardi delle serali in questa nebbia

hanno voglia di scherzare: non è ancora mezzanotte

e sono appena usciti da scuola

                                                          «Le cose nuove e belle

5      che ho appreso quest’anno» è l’ultimo tema da fare,

ma loro non si danno pensiero, vogliono sempre scherzare.


Perché il vigile non interviene, che cosa ci sta a fare?


È vero però che le voci sono fioche e diverse, querule anche nel riso,

o gravi, o incerte, in formazione e in trasformazione,

10    disparate, discordi, in stridente contrasto accomunate

senza ragione senza necessità senza giustificazione,

ma come per il buio e il neon è la nebbia che abbraccia affratella assorbe inghiotte

e fa il minestrone

                      e loro ci sguazzano dentro, sguaiati e contenti

15    – io attesto il miglior portamento dei due allievi sergenti,

il calvo in ispecie, che se capisce poco ha una forza di volontà

militare, e forse ha già preso il filobus.


Quanta pienezza di vita e ricchezza di esperienze!

di giorno il lavoro, la scuola di sera, di notte  schiamazzi

20    (chi sa due lingue vive due vite)

di giorno il lavoro la scuola di sera, – non tutti la notte però fanno i compiti

e non imparano le poesie a memoria, di notte preferiscono fare schiamazzi,

nascondere il righello a una compagna

                                                                  e non fanno i compiti

25    – ma non c’è nessuno che bigi la scuola

                                         sono avari

tutti avari di già, e sanno che costa denari denari.


Elio Pagliarani, Cronache e altre poesie, Schwarz, Milano 1954

 >> pagina 310 

A tu per tu con il testo

L’uscita da scuola la conosciamo tutti bene: salutiamo a voce alta i compagni che si allontanano e chiacchieriamo con quelli che s’incamminano con noi; qualcuno si attarda per scherzare, qualcun altro invece corre in fretta verso casa. Ogni studente si sente, in quel momento, più leggero, come sospeso tra le lezioni appena terminate e i compiti del pomeriggio: per qualche ora, libero dai doveri, vive una piccola festa quotidiana. La poesia riproduce con efficacia questa allegra confusione ma, dietro il comportamento scanzonato dei goliardi, si può cogliere una nota più riflessiva e amara: c’è vera spensieratezza dietro la loro euforia? O questa nasconde consapevolezze più profonde? La nebbia che li avvolge è solo un dato atmosferico, o rappresenta una condizione esistenziale? Il poeta mostra senza sentimentalismo il contrasto tra l’impulso giovanile alla spensieratezza e l’inflessibilità del mondo reale, dove ogni cosa ha il suo costo e la sorte non regala mai niente a nessuno.

 >> pagina 311

Analisi

Gli studenti escono in gruppo alla fine delle lezioni, riempiono la strada con le loro voci, provocano lamentele per l’eccessivo rumore tanto che qualcuno vorrebbe, addirittura, chiamare un vigile (v. 7). Ma non sono i tipici studenti che vediamo alla tv o al cinema, scanzonati e gioiosi perché privi di preoccupazioni materiali. I versi di Pagliarani infatti si collocano nei primi anni Cinquanta: l’Italia, distrutta durante la guerra, sta passando dalla ricostruzione al miracolo economico, ed è sempre più importante, per cogliere le opportunità di questa crescita prodigiosa, avere una solida istruzione. Per questo in molti, spesso lavoratori che non hanno avuto il privilegio di frequentare le scuole regolari, si rivolgono alle serali per ottenere un titolo di studio. Sono giovani e adulti che, invece di riposare o di distrarsi, la sera dopo il lavoro siedono fino a tardi sui banchi di scuola, come i due allievi sergenti (v. 15), che hanno già intrapreso la carriera militare.

La voglia di scherzare (v. 6) e gli schiamazzi (vv. 19 e 22) di questo eterogeneo gruppo di persone non esprimono dunque superficiale spensieratezza, ma sono la manifestazione di una pienezza di vita (v. 18) che, nonostante l’impegnativa alternanza di giorno il lavoro, la scuola di sera (v. 19), non si lascia spegnere dalle pesanti incombenze quotidiane.

La poesia riporta principalmente sensazioni uditive. Il poeta comprende molte cose degli studenti proprio sulla base delle voci che, nel buio della notte, riesce a distinguere molto meglio delle loro fattezze. Benché fioche (v. 8), forse per la fitta nebbia (v. 1), sono infatti le parole a raccontare le storie di chi le pronuncia: sappiamo che alcuni di loro sono in formazione (v. 9), cioè imparano nozioni e, forse, un mestiere; che altri, già esperti della vita, sono invece in trasformazione (v. 9), cioè si preparano, con la scuola, a un cambiamento della loro situazione. Tutti hanno i loro particolari progetti e le loro proprie vite; tutti provengono da storie diverse e da realtà lontane che, come le voci stesse ci comunicano, sono disparate, discordi (v. 10).

A scuola, però, queste differenze si confondono: uniti nella nebbia che abbraccia (v. 12), prima di scomparire nel buio, per un attimo, i goliardi si sentono vicini tra loro e, avvicinati dall’esperienza comune, che li affratella nel caldo minestrone (v. 13) dell’amicizia disinteressata e della condivisione senza necessità (v. 11), si sentono meno isolati e sono, insieme, più contenti (v. 14).

Fin dai primi versi, parole e prospettive si alternano in maniera inaspettata. Inizialmente è il poeta che rappresenta, come un testimone, la chiassosa fine delle lezioni. Ma di chi sono, poi, le parole che ricordano il titolo dell’ultimo tema da fare (v. 5)? Di un ragazzo che manifesta la sua stizza per il noioso compito? O di un insegnante che, come scrollando la testa, si lamenta rassegnato degli studenti lavativi, che vogliono sempre scherzare (v. 6)?

Il punto di vista sembra dunque mobile, in continuo cambiamento, cogliendo e riportando voci diverse. Tuttavia qualcuno nella poesia dice io (v. 15). La biografia del poeta ci ricorda che Pagliarani fu, realmente, insegnante alle scuole serali: è dunque sua la prospettiva prevalente. È lui che usa, ironicamente, il termine goliardi (v. 1) per queste persone tutt’altro che spensierate; è lui che afferra parole e significati nel vociare notturno; è lui che, ammirato, si rende conto della ricchezza di esperienze (v. 18) di questi atipici studenti, che accostano allo studio l’esperienza diretta del reale.

Prendendo le distanze dall’opinione dominante all’epoca, che percepiva come studenti di serie B lavoratori e immigrati, l’autore sottolinea il valore di queste persone che, certo, non imparano le poesie a memoria (v. 22) e non fanno i compiti (v. 24) ma, profondamente consapevoli del prezzo delle cose, riconoscono il valore della scuola che frequentano.

 >> pagina 312

Laboratorio sul testo

Comprendere

1. In che stagione dell’anno siamo? Da che cosa lo capisci?


2. Di chi sono le parole Perché il vigile non interviene (v. 7)?

  • a Dell’io lirico. 
  • b Del sergente calvo. 
  • c Della compagna a cui è stato nascosto il righello. 
  • d Di qualcuno che è stato disturbato dal rumore degli studenti. 
  • e Di nessuna di queste persone. 

3. Dove si trova la scuola?

  • a In una grande città del Nord, forse Milano. 
  • b In un paesino di montagna. 
  • c In una cittadina di mare, forse Rimini. 
  • d Sicuramente a Roma. 
  • e In nessuno di questi luoghi. 

4. Perché nessuno degli studenti marina la scuola?

Analizzare e interpretare

5. Quali aggettivi si addicono al sergente calvo? (sono possibili più risposte)

  • a Intelligente. 
  • b Disciplinato. 
  • c Ribelle. 
  • d Spensierato. 
  • e Sciocco. 
  • f Educato. 
  • g Determinato. 


6. Siamo di fronte a una poesia con un’ampia componente narrativa. Come appare, a tuo giudizio, la voce del poeta?

  • a Esterna alla scena, e racconta con distacco ciò che ha visto dopo che è successo.
  • b Presente sulla scena, e racconta con intenso patetismo ciò che vede mentre lo vede.
  • c Presente sulla scena, e racconta con oggettività e intenzione di documentare ciò che vede mentre lo vede.
  • d Protagonista della scena, e racconta ciò che le è accaduto dopo che è successo.

7. Senza ragione senza necessità senza giustificazione (v. 11). Quali figure retoriche contiene questo verso? (sono possibili più scelte)

  • a Metafora. 
  • b Anafora. 
  • c Rima interna. 
  • d Sinestesia. 
  • e Polisindeto. 
  • f Asindeto. 

8. Con quale scopo espressivo il poeta ripete due volte di giorno il lavoro, la scuola di sera (vv. 19 e 21)?

  • a Per dare solennità al testo. 
  • b Per aiutare la memoria del lettore. 
  • c Per abbassare il tono del testo. 
  • d Per esprimere la faticosa routine dello studente lavoratore. 
  • e Per criticare la poca fantasia di un’esistenza sempre uguale. 

9. Che cosa significa, per il poeta, dire che gli studenti sono avari (v. 26)? Si tratta di una critica o è altro?

Competenze linguistiche

10. Come definiresti il registro linguistico dominante del testo?

  • a Solenne e aulico.
  • b Alto e formale.
  • c Informale e colloquiale.
  • d Basso e volgare.

11. Associa ai vocaboli della colonna di sinistra il sinonimo adeguato, poi scrivi una frase con il sinonimo corretto.

  • a) fioco
  • b) disparato
  • c) attestare
  • d) stridente


1) sommesso

2) fastidioso

3) riferire

4) timbrare

5) svariato

6) preciso

7) stridulo

8) intenso

Produrre

11. Scrivere per argomentare Immagina di essere uno dei goliardi e svolgi, in massimo 30 righe, il tema “Le cose nuove e belle che ho appreso quest’anno”: scegline al massimo tre, ripensando all’intero programma scolastico – non solo di italiano – che hai affrontato fino a questo punto dell’anno. Perché sono importanti?

La dolce fiamma - volume B
La dolce fiamma - volume B
Poesia e teatro