T3 - François Villon, Ballata degli impiccati

T3

François Villon

Ballata degli impiccati

  • Titolo originale Épitaphe Villon, 1489
  • Lingua originale francese
  • Metro ballata di tre strofe e congedo in endecasillabi variamente rimati
Nato a Parigi nel 1431 da una famiglia poverissima, François Montcorbier adotta il cognome Villon dall’ecclesiastico benefattore che lo protegge in gioventù. Le notizie sulla sua biografia sono scarse, ma concordano tutte nel tratteggiare l’indole di un uomo irrequieto e turbolento: dopo aver frequentato l’università di Parigi, uccide un prete durante una rissa. Più volte incarcerato per questo e altri reati, viene condannato a morte, ma poi rilasciato e allontanato da Parigi nel 1463. Da questo momento di Villon non si sa più nulla. La prima edizione dei suoi versi è del 1489: spicca il poemetto Testamento in cui il poeta detta le sue ultime volontà, prendendo congedo dalle bellezze della vita con toni ora struggenti, ora scurrili e beffardi. La sua figura leggendaria, considerata anticipatrice dei poeti cosiddetti “maledetti” di fine Ottocento, ha ispirato artisti e cantautori moderni.

Scritta probabilmente in occasione della sua condanna a morte, la Ballata dà voce a un gruppo di giustiziati per impiccagione. Ondeggiando al vento, straziati dagli uccelli e dalle intemperie, i morti supplicano i passanti, affinché preghino per la salvezza delle loro anime.

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Audiolettura

Fratelli umani, che ancor vivi siete

il cuor vostro non sia duro con noi,

ché, se pietà di noi miseri avrete,

più pronto Dio avrà mercé di voi.

5      Appesi, cinque, sei, qui ci vedete:

la nostra carne, fin troppo nutrita,

è ormai da tempo disfatta e marcita,

e noi, ossa, andiamo in cenere e polvere.

Della nostra disgrazia nessun rida,

10    ma Dio pregate che ci voglia assolvere.


Se vi diciam fratelli, non dovete

sdegnarvi, anche se fummo giustiziati

per sentenza… tuttavia voi sapete

che gli uomini non son tutti assennati.

15    Intercedete per noi, trapassati,

presso il figlio della Vergin Maria,

che la sua grazia esaurita non sia,

e ci salvi dall’infernale  folgore.

Morti siamo, nessun ci dia molestia,

20    ma Dio pregate che ci voglia assolvere.


La pioggia ci ha lavati e risciacquati

e il sole disseccati ed anneriti.

Piche e corvi ci hanno gli occhi svuotati

e strappato la barba e i sopraccigli.

25    Non abbiamo riposo un sol momento:

di qua, di là, nel suo mutare, il vento

senza tregua a piacer suo ci fa muovere

più forati dai becchi che ditali.

Non siate dunque mai nostri sodali,

30    ma Dio pregate che ci voglia assolvere.


Gesù principe, nella tua potenza

fa’ che l’inferno con sé non ci prenda:

che di niente dobbiamo a lui rispondere!

Umani, qui non c’è scherzo che tenga,

35    ma Dio pregate che ci voglia assolvere.


François Villon, Ballata degli impiccati, in Opere, trad. di A. Carminati e E. Stojkovic Mazzariol, Mondadori, Milano 2000

 >> pagina 247 

A tu per tu con il testo

Raccapriccio e compassione possono convivere? Si può provare pena per qualcosa che ci ripugna? La poesia ha il potere di mescolare i sentimenti in forme nuove, ponendoci di fronte realtà inattese. Certo, Villon non è il primo autore a dare la parola ai morti: basta ricordare Dante oppure, andando indietro nei secoli, Omero e Virgilio. Però qui c’è qualcosa di mai visto: a parlare infatti non sono le anime immortali, ma i cadaveri dei giustiziati che chiedono pietà in nome della fratellanza umana. La loro apparizione agghiaccia e commuove: possiamo rispecchiarci nella loro umanità oppure prendere le distanze inorriditi. È uno shock emotivo che, però, ci spinge a pensare: in quante nazioni, che pure reputiamo civili, ancora si uccidono legalmente altri uomini? C’è vera giustizia nella condanna a morte? Non è disumano rispondere alla violenza con la violenza? I giudici sono infallibili? Siamo tutti fratelli, dicono gli impiccati, e tutti possiamo, nella vita, sbagliare: la loro lezione è che non si devono perdere né la pietà né la consapevolezza che un tragico errore può capitare a ciascuno di noi.

 >> pagina 248

Analisi

In passato, l’esecuzione capitale era considerata uno spettacolo: parola, questa, che deriva dal latino spectare, cioè “guardare”, e significa letteralmente “un luogo su cui puntare lo sguardo”. I condannati, infatti, venivano giustiziati pubblicamente: la messa in scena fungeva da ammonimento ai presenti, spaventati dall’esibizione di violenza, e nello stesso tempo attestava l’autorità della giustizia e del potere, che disponeva della vita e della morte di chiunque. Villon conosce bene questa situazione: è appena finita la Guerra dei Cent’anni che ha insanguinato la Francia; quella in cui vive è un’epoca brutale di violenza, tra eserciti devastatori, razzie e saccheggi.

Sullo sfondo di questo contesto, la finzione poetica mette in scena un impressionante coro di morti, di cui non conosciamo l’identità e che si rivolgono ai passanti per sottolineare la comune umanità (siamo tutti Fratelli, dicono, v. 1) e invocare pietà, dopo l’atroce punizione subita.

I condannati non mettono in dubbio che chi ha sbagliato debba pagare: le loro parole non esprimono né odio né rancore nei confronti del giudice che ha emesso la sentenza, o del boia che l’ha eseguita. Tuttavia il loro discorso insinua un dubbio cruciale: chi o che cosa garantisce che la sentenza di morte sia corretta? Voi sapete / che gli uomini non son tutti assennati (vv. 13-14): come possiamo essere certi che la giustizia, fatta da uomini, non abbia sbagliato? È profondamente ingiusto mandare a morte un altro uomo, anche se ha commesso un crimine: lo riconosce Dio stesso che, nella sua misericordia, è pronto (v. 4) ad avere mercé (v. 4) di chi è, a sua volta, pietoso con i miseri (v. 3) caduti nell’errore.

Il poeta comunica repellenza per la morte attraverso l’impiego di immagini macabre, ma al tempo stesso non nasconde un’appassionata vitalità e un impetuoso attaccamento ai piaceri della vita materiale, simboleggiati dalla carne, fin troppo nutrita (v. 6) da golosi banchetti. Inoltre, le parole degli impiccati ricordano, con l’immagine biblica di cenere e polvere (v. 8), l’ammonimento tipicamente medievale che tutti moriremo, richiamando le parole con cui Dio, nella Bibbia, cacciò Adamo dal paradiso terrestre: “polvere sei e polvere ritornerai”. È un Dio terribile ma anche capace di pietà: per questo ritorna, ossessivamente ripetuta sempre identica a se stessa, la richiesta di pregarlo che, alla fine di ogni strofa, risuona come un tocco di campana funeraria.

Il materiale emotivo della ballata è, quindi, incandescente: paura e passione, misericordia e senso di fratellanza, ricordo e terrore. Eppure, nonostante questa varietà dei sentimenti, il testo dipana i suoi concetti e allinea le sue immagini con ordine, attraverso il controllo della forma, come si nota dalla struttura razionale: ogni strofa è divisa armoniosamente in due gruppi di quattro versi e un distico finale, riservato all’apostrofe ai passanti. Insomma, una forma chiara e nitida esprime un contenuto drammatico: questo contrasto è uno degli elementi chiave che spiegano il fascino del componimento.

Laboratorio sul testo

Comprendere

1. A chi appartiene la voce della poesia?

  • a A un soggetto lirico che commenta la vicenda degli impiccati. 
  • b A uno degli impiccati, che prende la parola a nome degli altri. 
  • c A un noi collettivo, che unisce le voci di tutti gli impiccati come in un coro. 
  • d A un noi collettivo, che rappresenta tutta l’umanità nella sua condizione di miseria. 

2. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.


a) La voce poetica si rivolge alle persone che, passando, vedono i cadaveri penzolare.

  • V   F

b) Se i passanti avranno pietà degli impiccati, Dio li ricompenserà per la loro misericordia.

  • V   F

c) Gli impiccati sono decine.

  • V   F

d) Gli impiccati sono morti da poco.

  • V   F

e) I morti sono stati uccisi per un regolamento di conti tra criminali.

  • V   F

f) Come gli uomini possono sbagliare, anche le sentenze del tribunale possono essere errate.

  • V   F

g) Gli impiccati chiedono che i vivi invochino Gesù, affinché non li mandi all’inferno.

  • V   F

h) I cadaveri degli impiccati sono stati rispettati e onorati, come si conviene ai morti.

  • V   F

i) Alla fine della poesia, i morti si rivolgono direttamente a Gesù.

  • V   F

j) Con il suo solito spirito burlesco, Villon fa dire ai morti che la morte è uno scherzo.

  • V   F

3. Attribuisci l’informazione alla strofa che la contiene: scrivi, accanto a ogni affermazione, 1 per la prima strofa, 2 per la seconda, 3 per la terza e C per il congedo.

  • a) I morti che parlano sono stati giustiziati.
  • b) I giustiziati sono morti da molto tempo.
  • c) Dio è capace di misericordia per chi ha avuto misericordia a sua volta.
  • d) Gli uccelli hanno mangiato gli occhi degli impiccati.
  • e) Gli impiccati non hanno nessun debito con l’inferno.
  • f) Il vento scuote incessantemente i cadaveri appesi.
  • g) Non tutti gli uomini agiscono assennatamente.
  • h) Gesù è come un potente principe.
 >> pagina 249

Analizzare e interpretare

4. Associa a ciascun passo dalla ballata di Villon la figura retorica che contiene.

  • a) di qua, di là
  • b) Fratelli umani, che ancor vivi siete
  • c) infernale folgore
  • d) il figlio della Vergin Maria
  • e) più forati dai becchi che ditali
  • f) La pioggia ci ha lavati e risciacquati / e il sole disseccati ed anneriti


1) Sineddoche

2) Iperbole

3) Apostrofe

4) Perifrasi

5) Antitesi

6) Asindeto


5. Osserva la prima strofa. C’è corrispondenza fra metro e sintassi? Perché?


6. Ci sono rime identiche? Dove?

Competenze linguistiche

7. Nel testo si nota la presenza di vocaboli appartenenti a due campi semantici molto diversi tra loro. Il primo è quello della giustizia e del tribunale; il secondo quello del corpo morto e della decomposizione. Individua le parole che appartengono al primo campo e quelle che appartengono al secondo.


Giustizia e tribunale



Morte e decomposizione


8. Associa a ciascuna parola della poesia il sinonimo giusto.

  • a) mercé
  • b) marcita
  • c) disgrazia
  • d) assolvere
  • e) intercedete
  • f) folgore
  • g) sodali


1) pietà

2) allievi

3) ricchezza

4) colpa

5) putrefatta

6) sciagura

7) liberare dalle accuse

8) mediate

9) cadete

10) matura

11) saetta

12) folla tumultuosa

13) slegare

14) compagni

 >> pagina 250 

PRODURRE

9. Scrivere per raccontare Immagina di essere un viaggiatore ai tempi di Villon: ti sei imbattuto nel macabro spettacolo degli impiccati alla forca. Nella tua locanda, scrivi una lettera di circa 30 righe a un amico in cui racconti ciò a cui hai assistito. Cerca di essere il più espressivo possibile, e di suscitare ribrezzo e orrore nel tuo interlocutore. Usa parole come “orribile”, “sconvolgente”, “terrificante”, “ripugnante”.

La dolce fiamma - volume B
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Poesia e teatro