Il verso è l’incontro di una componente invariabile, ossia il metro, e una variabile, costituita dagli accenti che determinano un particolare andamento ritmico.
Come si costruisce e come si riconosce un verso, all’interno del sistema metrico italiano? Dobbiamo innanzitutto dire che nella nostra lingua i versi si dividono in varie tipologie in base:
- alla lunghezza, cioè al numero di sillabe da cui sono costituiti. Per esempio, mela e prugna, pur possedendo un numero diverso di lettere (rispettivamente 4 e 6), presentano la medesima lunghezza metrica, perché entrambe costituite da 2 sillabe: me-la e pru-gna;
- alla presenza di un accento tonico, che cade sulla sillaba pronunciata con maggiore intensità; le sillabe non accentate si definiscono atone. A seconda della collocazione della sillaba accentata, le parole si dividono in tre categorie principali:
parola piana
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accento tonico sulla penultima sillaba
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ca-té-na
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parola sdrucciola
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accento tonico sulla terzultima sillaba
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mè-di-co
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parola tronca
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accento tonico sull’ultima sillaba
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cit-tà
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In base al tipo di parola che chiude il verso avremo, appunto, versi piani, versi sdruccioli e versi tronchi.
Due versi appartengono alla stessa tipologia, o misura, se la sillaba tonica dell’ultima parola è collocata nella stessa posizione. Per esempio:
Nel mezzo del cammin di nostra vìta (Dante Alighieri)
aria di mare, che dolce tempèsta (Giorgio Caproni)
In entrambi i casi la sillaba accentata occupa la 10a posizione. Poiché la maggioranza delle parole italiane è piana, versi con un accento in 10a posizione hanno solitamente 11 sillabe: per questo sono denominati endecasillabi. Allo stesso modo, un verso con l’ultima sillaba tonica in 6a posizione sarà un settenario, mentre un quinario avrà l’accento tonico in 4a posizione.
Per riconoscere un verso, di norma, è dunque necessario calcolare in quale posizione si trova l’ultima sillaba tonica, e aggiungere uno.
Esaminiamo, per esempio, questo verso di Lorenzo de’ Medici (1449-1492):
chi vuol esser lieto sia
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chi | vuol | es- | ser | lie- | to | sì- | a
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L’accento cade in 7a posizione, quindi il verso è sempre classificato come composto da 8 sillabe: è cioè un ottonario.
Che cosa succede, però, se un verso termina con una parola sdrucciola o tronca? Prendiamo in considerazione questi versi di grandi poeti italiani:
Aventuroso carcere soave
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A- | ven- | tu- | ro- | so | car- | ce- | re | so- | à- | ve
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endecasillabo piano
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(Ludovico Ariosto)
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ed i bambini sopra l’aia saltano
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ed | i | bam- | bi- | ni | so- | pra | l’a- | ia | sàl- | ta- | no
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endecasillabo sdrucciolo
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(Giosue Carducci)
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Salutò con la mano, sprofondò
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Sa- | lu- | tò | con | la | ma- | no, | spro- | fon- | dò
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endecasillabo tronco
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(Eugenio Montale)
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Questi versi sono tutti endecasillabi, perché l’ultima sillaba tonica si trova in 10a posizione. Ciò che varia è il numero di sillabe atone che seguono l’ultima tonica. Nell’endecasillabo piano, dopo l’ultima tonica si ha una sola sillaba non accentata (so-à-ve): il verso misura effettivamente 11 sillabe. Nell’endecasillabo sdrucciolo, invece, 2 sillabe atone seguono la 10a posizione (sàl-ta-no): il verso misura 12 sillabe. Infine, l’endecasillabo tronco misura 10 sillabe, poiché, dopo l’ultima tonica, non si ha nessuna sillaba atona (spro-fon-dò).