CARTA CANTA - D’Annunzio in officina

carta canta

D’Annunzio in officina

Guardiamo l’autografo della Pioggia nel pineto conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. È un foglio pulito, scritto in modo chiaro e deciso, senza un pentimento, e presenta un testo che corrisponde in tutto alla versione finale. Sembra insomma essersi creato sulla spinta dell’irrefrenabile ispirazione dalla quale eruppero i componimenti raccolti in Alcyone: «Ho una volontà di cantare così veemente che i versi nascono spontanei nella mia anima come le schiume dalle onde».

In realtà si tratta di una bella copia, trascritta con la massima cura. Dietro, ben nascosto, sta un duro lavoro teso ad affinare lo spunto iniziale. D’Annunzio provava e riprovava versi e rime su fogli sciolti, che – una volta giunto a una redazione che lo lasciava soddisfatto – gettava nel cestino, per non lasciare tracce della fatica spesa, e accreditare l’immagine di artista geniale. In effetti era solito alternare periodi di immersione nella vita mondana a intere giornate trascorse in solitudine alla scrivania. A mettere in comunicazione esperienze quotidiane e letteratura provvedeva il taccuino, che portava sempre con sé, appuntandosi tutto ciò che lo colpiva, fosse il rumore di un fiume in piena, il taglio d’occhi di una bella donna, un mobile stile impero, o il brano di un poeta provenzale: poiché, diceva, bisogna «leggere col rampino», pronti cioè a cogliere e far propri gli spunti offerti dai maestri antichi e moderni.

L’«Officina» del Vittoriale – la villa sul lago di Garda che negli ultimi anni di vita d’Annunzio modellò a propria immagine e somiglianza – mostra bene le modalità di questo processo creativo. È una stanza assai più luminosa e sobria delle altre, arredata con mobili di rovere chiaro. Su un ripiano poggia il busto di Eleonora Duse, grande attrice e musa negli anni di Alcyone, coperto da un drappo, per evitare distrazioni. Qui infatti l’Imaginifico componeva, con l’aiuto di una gran quantità di attrezzi di lavoro: dizionari, repertori, cataloghi, opere di consultazione, testi classici, disposti in leggii, scaffali, teche o posati sul tavolo, pronti all’uso.

L’archivio conservato presso il Vittoriale occupa centinaia di scatole. Un’infinità di manoscritti e lettere, in cui si incontrano pagine di altissima poesia ma anche scherzosi biglietti alla cuoca, ribattezzata “suor Intingola”. Alla scrittura d’Annunzio in effetti affidava tutto sé stesso: fu in primo luogo attraverso l’inconfondibile calligrafia, ampia e a svolazzi, che costruì il suo mito. Non rinunciò alla penna neppure durante la convalescenza seguita all’incidente aereo del 1916, che rischiò di lasciarlo cieco. Bendato e sofferente, nella semioscurità in una casa veneziana affacciata sul Canal Grande, riempì una dopo l’altra le striscioline di carta dalle quali poi ricavò il suggestivo Notturno.

La dolce fiamma - volume B
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Poesia e teatro