T3 - Giacomo Leopardi, La sera del dì di festa (da Canti)

T3

Giacomo Leopardi

La sera del dì di festa

  • Data di composizione 1820
  • Tratto da Canti, 1831
  • Metro endecasillabi sciolti
Giacomo Leopardi nasce a Recanati nel 1798. Il padre, il conte Monaldo, è un uomo colto di ideologia reazionaria, mentre la madre, Adelaide Antici, possiede un carattere freddo e autoritario. L’istruzione del giovane viene inizialmente affidata a un precettore religioso, ma già dal 1812 Leopardi comincia un percorso da autodidatta, lanciandosi in uno «studio matto e disperatissimo» che gli conferisce una smisurata cultura, a prezzo, tuttavia, di pesanti ripercussioni sulla salute. Si dedica alla lettura di autori antichi e moderni, e approfondisce diverse discipline, tra cui l’astronomia, la filosofia, la filologia e le lingue. In questi anni avvia una ricca produzione letteraria e, intorno al 1819, in seguito a una crisi depressiva e a un tentativo fallito di fuggire da Recanati, sviluppa una matura consapevolezza esistenziale, che si traduce nella composizione di capolavori poetici come L’infinito. Nel 1822 lascia per la prima volta il borgo natale e soggiorna a Roma, da cui però rimane profondamente deluso. Nel 1830 decide di stabilirsi a Firenze dove trascorre il periodo più felice, anche grazie all’amicizia di Antonio Ranieri, un intellettuale napoletano. Nel 1831 escono i Canti, raccolta della sua produzione poetica che unisce un insuperabile talento poetico a una lucida e tormentata ricerca speculativa. Tra i suoi capolavori vanno però ricordati anche le Operette morali (1824), una serie di testi in prosa d’argomento filosofico, e lo Zibaldone, raccolta di appunti che documentano lo sviluppo del suo pensiero. Nel 1833 Leopardi si trasferisce a Napoli, dove muore nel 1837.

Un giovane, dalla finestra della sua stanza, contempla il paesaggio illuminato dalla luna nella serena notte dopo un giorno di festa. Tutto è immobile e il silenzio regna sulle cose, ma nel suo cuore si agita un’inquietudine profonda, che lo tiene sveglio, a pensare.

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Audiolettura

Dolce e chiara è la notte e senza vento,

e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti

posa la luna, e di lontan rivela

serena ogni montagna. O donna mia,

5      già tace ogni sentiero, e pei balconi

rara traluce la notturna lampa:

tu dormi, che t’accolse agevol sonno

nelle tue chete stanze; e non ti morde

cura nessuna; e già non sai né pensi

10    quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.

Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno

appare in vista, a salutar m’affaccio,

e l’antica natura onnipossente,

che mi fece all’affanno. A te la speme

15    nego, mi disse, anche la speme; e d’altro

non brillin gli occhi tuoi se non di pianto. –

Questo dì fu solenne: or da’  trastulli

prendi riposo; e forse ti rimembra

in sogno a quanti oggi piacesti, e quanti

20    piacquero a te: non io, non già ch’io speri,

al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo

quanto a viver mi resti, e qui per terra

mi getto, e grido, e fremo. O giorni orrendi

in così verde etate! Ahi, per la via

25    odo non lunge il solitario canto

dell’artigian, che riede a tarda notte,

dopo i sollazzi, al suo povero ostello;

e fieramente mi si stringe il core,

a pensar come tutto al mondo passa,

30    e quasi orma non lascia. Ecco è fuggito

il dì festivo, ed al festivo il giorno

volgar succede, e se ne porta il tempo

ogni umano accidente. Or dov’è il suono

di que’ popoli antichi? or dov’è il grido

35    de’ nostri avi famosi, e il grande impero

di quella Roma, e l’armi, e il fragorio

che n’andò per la terra e l’oceàno?

Tutto è pace e silenzio, e tutto posa

il mondo, e più di lor non si ragiona.

40    Nella mia prima età, quando s’aspetta

bramosamente il dì festivo, or poscia

ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,

premea le piume; ed alla tarda notte

un canto che s’udia per li sentieri

45    lontanando morire a poco a poco,

già similmente mi stringeva il core.


Giacomo Leopardi, Canti, in Poesie e prose, vol. I, a cura di M.A. Rigoni, Mondadori, Milano 1987

 >> pagina 122

A tu per tu con il testo

Nella modernità urbana, l’oscurità e il silenzio della notte sono pressoché scomparsi dalle nostre esperienze quotidiane: luci e rumori sono cresciuti al punto che, nelle città contemporanee, si parla addirittura di inquinamento, luminoso e sonoro. Nell’epoca della comunicazione immediata, inoltre, appare quasi insensato vagheggiare da lontano le azioni di colei o di colui che amiamo, visto che i social, gli status nelle chat, le notifiche degli amici ci informano quasi sempre su dove si trova e che cosa fa la persona che ci interessa. Allora, se il mondo è tanto mutato, perché parole pronunciate duecento anni fa ci toccano ancora così intimamente? Che cosa abbiamo ancora in comune con il ragazzo che le ha scritte? La poesia ci mostra che i sentimenti umani non mutano nel tempo: la sensibilità, che si accende davanti a un bel paesaggio; l’infelicità esistenziale, che ci isola dagli altri; l’ansia d’amore e di essere accettati… tutti i giovani hanno provato e provano ogni giorno queste cose. Per questo subentra in noi, durante la lettura di questi versi come di altri di Giacomo Leopardi, un senso di vicinanza e di familiarità per la fervida emotività che li anima: in essi, d’istinto, possiamo riconoscere, come in un variegato ritratto dell’anima, noi stessi e le nostre emozioni.

Analisi

Leopardi definiva questo e altri suoi componimenti come “idillio”: il termine, che viene dal greco antico, significa letteralmente “quadretto”, “piccola immagine” e tradizionalmente indicava una poesia di argomento agreste o pastorale. Leopardi rielabora questo genere classico in modo personale: egli offre infatti la rappresentazione del mondo esterno (per esempio, un elemento della natura) che viene cantato non per ciò che è oggettivamente, ma per il significato e per le risonanze che assume nell’animo del poeta mentre lo osserva.

Fin dai primi versi si apre innanzi a noi un panorama limpido e disteso, dove la luna (v. 3) delinea i profili delle cose e lo sguardo spazia di lontan (v. 3), nel silenzio più assoluto. È un’atmosfera di sospesa bellezza che, punteggiata qui e là da rare luci, o mossa dal solitario canto (v. 25) di un passante, comunica una serena suggestione. Ma tale visione è interrotta dal pensiero di una figura femminile, invocata con il possessivo mia (v. 4) e dunque implicitamente oggetto d’amore. Di fronte alla quiete del creato il giovane pensa alla ragazza che, tranquilla e inconsapevole della sua infatuazione, gli provoca nel petto (v. 10) un dolore acuto.

Non si tratta, però, di una comune pena d’amore adolescenziale: tanta sofferenza non è solo l’esito di un amore frustrato, e viene da più lontano. Con un’inattesa personificazione, infatti, la natura stessa, in seno alla quale tutto sembra placidamente riposare, prende la parola e condanna, con ingiustificata spietatezza, il poeta all’infelicità. Dietro il patimento amoroso c’è dunque la consapevolezza di un doloroso destino, e l’amarezza di un disinganno irrimediabile: per nulla materna, una natura capricciosa e ingiusta lo ha creato all’affanno (v. 14) e gli ha tolto anche la capacità di sperare. Il contrasto tra l’agevol sonno (v. 7) della ragazza e la tormentosa veglia (v. 42) dell’io lirico esprime efficacemente l’angoscia che l’uomo – ogni uomo – avverte quando, offeso o ferito dalla vita, ha l’impressione che niente o nessuno gli possa venire in aiuto.

Il dì festivo (v. 31) si è appena concluso, e tra poco comincerà una nuova giornata come tante, di lavoro e fatica: il poeta, udito il canto di qualcuno che, s’immagina, sta tornando dopo la festa alla sua povera dimora, riflette sulla precarietà della felicità umana. Mentre il giorno di festa scompare, dopo aver portato momentanei trastulli (v. 17) e sollazzi (v. 27), egli, con una stretta al cuore, riflette su come tutto al mondo passa, / e quasi orma non lascia (vv. 29-30). Nella sua cieca onnipotenza, che il poeta ha sperimentato su di sé, la natura prima o poi cancella ogni cosa, e anche la memoria della grandezza passata, con il tempo, si dissolve. Che cosa resta oggi, infatti, degli imperi antichi e della gloria degli eserciti? Nulla, suggeriscono i versi, se non qualche testimonianza vaga, destinata a sua volta a scomparire dal mondo. Così anche il dì di festa, simbolo del piacere e della gioia di esistere, è solo un’effimera promessa della vita, e in fretta svanisce insieme al tutto. Solamente la luna, alta nel cielo e lontana dai dolori della Terra, seguirà, immutato, il suo eterno ciclo sopra il mondo mentre tutto, incessabilmente, come il canto che il poeta udiva da bambino, a poco a poco (v. 45) si dissolve nel nulla.

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Privi della sonorità delle rime e ricchi di enjambement, che spezzano suggestivamente le frasi, i versi dell’idillio comunicano una musicalità trattenuta e sospesa, come se Leopardi, parlando tra sé e sé, mormorasse sottovoce i suoi pensieri. La poesia, così, svincolata da schemi prefissati, può seguire l’espressione dell’io lirico che, osservando la realtà, oscilla continuamente tra percezione, emozione, immaginazione, riflessione. Protagonista è la vista che, nel chiarore della notte, vede tetti (v. 2), giardini, montagne e luci, rare ma ben visibili, all’interno delle case; ma anche l’udito, sollecitato dal solitario canto (v. 25) che infrange la tranquillità delle strade, silenziose nella notte.

Tutte le facoltà dell’io trovano voce nella lirica: ecco dunque l’immaginazione, con cui il poeta si raffigura, senza vederlo, il sonno dell’amata immaginandone perfino i sogni; ed ecco la memoria, là dove il poeta rievoca, con commiserazione, la sua infelice prima età (v. 40), constatando amaramente che per lui nulla è cambiato. Infine, nell’appassionato lirismo dei versi, c’è anche spazio per la voce della ragione, che detta le considerazioni sulla fuggevolezza della felicità e sulla labilità del ricordo.

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Chi è il soggetto di mi disse (v. 15)?


2. Questo dì fu solenne: or da’ trastulli / prendi riposo (vv. 17-18). Da chi e a chi sono rivolte queste parole?

  • a Dal poeta alla natura.
  • b Dalla natura al poeta.
  • c Dal poeta alla donna amata.
  • d Dalla natura alla donna amata.

3. Che cosa significa e tutto posa / il mondo (vv. 38-39)?

  • a Che tutto il mondo ora riposa.
  • b Che il mondo appoggia su di sé ogni cosa.
  • c Che tutte le cose si appoggiano sul mondo.
  • d Che tutto fa riposare il mondo, indifferente alle sorti umane.

4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.


a) È una notte dolce e serena.

  • V   F

b) I paesani ritornano in gruppo cantando per le vie.

  • V   F

c) L’io lirico immagina di rivolgersi alla fanciulla amata.

  • V   F

d) Il poeta pensa che la natura lo abbia creato per soffrire.

  • V   F

e) La speranza è una grande risorsa morale per il poeta.

  • V   F

f) Il poeta crede di essere tra i ragazzi sognati dalla fanciulla.

  • V   F

g) Il poeta chiede mentalmente alla fanciulla quanto tempo gli resti da vivere.

  • V   F

h) Il poeta è disperato e infelice.

  • V   F

i) Il canto dell’artigiano muove nell’animo del poeta alcune riflessioni sulla temporaneità di tutte le cose umane.

  • V   F

j) Tutte le cose, anche le più gloriose, prima o poi scompaiono definitivamente.

  • V   F

k) Il poeta ricorda che, quando era bambino, la sua situazione era molto diversa e il dì di festa era portatore di autentica gioia nel suo cuore.

  • V   F

 >> pagina 124 

Analizzare e interpretare

5. Associa alle seguenti espressioni la figura retorica corrispondente.

  • a) O donna mia
  • b) tu dormi […] Tu dormi
  • c) quanta piaga m’apristi in mezzo al petto
  • d) mi getto, e grido, e fremo
  • e) verde etate
  • f) Ecco è fuggito / il dì festivo, ed al festivo il giorno / volgar succede
  • g) Or dov’è il suono […] or dov’è il grido
  • h) premea le piume


1) Metonimia. 2) Anafora. 3) Apostrofe. 4) Climax. 5) Chiasmo. 6) Metafora.


6. La poesia dà voce a diversi aspetti dell’interiorità del soggetto lirico: associa i frammenti di testo alle diverse facoltà che esprimono (ce ne sono due per ogni campo).

  • a) Percezione
  • b) Emozione
  • c) Immaginazione
  • d) Ricordo
  • e) Ragionamento


1) la notturna lampa

2) tutto al mondo passa, / e quasi orma non lascia

3) mi getto, e grido, e fremo

4) non ti morde / cura nessuna

5) riede a tarda notte, / dopo i sollazzi, al suo povero ostello

6) Tutto è pace e silenzio

7) io doloroso, in veglia, / premea le piume

8) un canto che s’udia

9) Ahi

10) e se ne porta il tempo / ogni umano accidente


7. Rileggi i primi 10 versi e individua gli enjambement.


8. Quali figure metriche devi applicare per considerare il verso n. 1 un endecasillabo?


9. Perché l’accento su oceano, al v. 37, cade sulla “a”?


10. L’espressione Tu dormi (v. 11) quali caratteristiche della donna ti suggerisce?

Competenze linguistiche

11. Trova la parola moderna più adeguata per sostituire le parole antiche e letterarie presenti nel testo.


a) queta (v. 2)                                                               

b) onnipossente (v. 13)                                                               

c) speme (v. 14)                                                               

d) rimembra (v. 18)                                                               

e) chieggo (v. 21)                                                               

f) lunge (v. 25)                                                               

g) riede (v. 26)                                                               

h) poscia (v. 41)                                                               

i) premea (v. 43)                                                               

j) s’udia (v. 44)                                                               

Scrivere correttamente

12. Seguendo il senso e ignorando il ritmo, ristabilisci la punteggiatura degli ultimi versi della poesia.


Nella mia prima età quando s’aspetta bramosamente il dì festivo or poscia ch’egli era spento io doloroso in veglia premea le piume ed alla tarda notte un canto che s’udia per li sentieri lontanando morire a poco a poco già similmente mi stringeva il core.


13. Riscrivi, in italiano moderno e in terza persona, il passo citato nell’esercizio precedente. Comincia così: Il poeta, durante la sua infanzia…


14. All’inizio del componimento quale tipo di descrizione del paesaggio offre il poeta? Esso appare rasserenante o angosciante? In quale rapporto si pone tale raffigurazione con quanto l’autore afferma più avanti (dal v. 13 in poi) a proposito della natura? Esprimi il tuo punto di vista.

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La dolce fiamma - volume B
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