Nel Novecento i luoghi raccontati dalla poesia sono quelli in cui vive una varia umanità, tra degrado e semplicità, dolori e passioni: persino nelle bettole e nei bordelli splende la scintilla della letteratura. La visione della sofferenza e della vitalità altrui può essere un’esperienza potente e istruttiva. Un poeta come Umberto Saba (1883-1957), per esempio, amava immergersi senza snobismi nella vita del popolo, al quale sentiva di appartenere: sono gli umili a insegnargli la strada giusta. Città vecchia (▶ T6, p. 140) restituisce uno spaccato vivace di un quartiere povero di Trieste ai primi del Novecento, animato da marinai, soldati, prostitute e disperati.
Anche oggi i versi possono documentare altre realtà, spesso dimenticate, perché su di esse non si accendono le luci dei riflettori. Uno straordinario interprete di un mondo antico, minacciato dal disinteresse e dallo spopolamento, è l’irpino Franco Arminio (n. 1960, ▶ T8, p. 149), il poeta di una disciplina o, meglio, di un’arte da lui chiamata “paesologia”, che consiste nell’andare in posti piccoli e remoti, come quelli della sua terra, immergersi in essi e raccontarli attraverso lo sguardo, le voci e i gesti delle persone che ancora li abitano.