T4 - Publio Ovidio Nasone, Dedalo e Icaro (da Metamorfosi, libro VIII, vv. 183-235)

T4

Publio Ovidio Nasone

Dedalo e Icaro

  • Tratto da Metamorfosi, libro VIII, vv. 183-235
  • Lingua originale latino

Dedalo è il mitico architetto e scultore ateniese che costruisce una mucca di legno per Pasifae, moglie del re di Creta Minosse, in modo da consentire l’accoppiamento della donna con un toro sacro mandato dal dio Poseidone. Dalla loro unione nasce il mostruoso Minotauro, uomo con il volto di toro, che viene rinchiuso nel labirinto progettato da Dedalo stesso.

Frattanto Minosse impone un duro tributo agli Ateniesi, responsabili di avergli ucciso il figlio Androgeo, perché questi aveva vinto tutti i concorsi atletici indetti dal re di Atene Egeo: ogni anno essi devono consegnare a Minosse sette ragazzi e sette ragazze da dare in pasto al Minotauro. Teseo, figlio di Egeo, si offre di partecipare alla spedizione, per uccidere il mostro e porre fine alla sudditanza verso Creta.

È proprio Dedalo che si presta ad aiutare Arianna, innamorata di Teseo, suggerendole lo stratagemma del filo, con il quale l’amato può trovare l’uscita dal labirinto dopo aver ucciso il Minotauro. Minosse, scoperta la cosa, punisce l’architetto rinchiudendolo nel labirinto insieme al figlio Icaro. L’inventiva di un artista, però, non si lascia scoraggiare e anche nella prigionia il mitico architetto trova un modo per fuggire.

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Audiolettura

Ma intanto Dedalo, insofferente d’essere confinato a Creta

da troppo tempo e punto dalla nostalgia della terra natale,

185 era bloccato dal mare. «Che Minosse mi sbarri terra ed acqua»,

rimuginò, «ma il cielo è pur sempre aperto: passeremo di lì.

Sarà padrone di tutto, ma non dell’aria!». E subito

dedica il suo ingegno a un campo ancora inesplorato,

sovvertendo la natura. Dispone delle penne in fila,

190 partendo dalle più piccole via via seguite dalle più grandi,

in modo che sembrano sorte su un pendio: così per gradi

si allarga una rustica zampogna fatta di canne diseguali.

Poi al centro le fissa con fili di lino, alla base con cera,

e dopo averle saldate insieme, le curva leggermente

195 per imitare ali vere. Icaro, il suo figliolo, gli stava

accanto e, non sapendo di scherzare col proprio destino,

raggiante in volto, acchiappava le piume che un soffio di vento

sollevava, o ammorbidiva col pollice la cera

color dell’oro, e così trastullandosi disturbava il lavoro

200 prodigioso del padre. Quando all’opera fu data

l’ultima mano, l’artefice provò lui stesso a librarsi

con due di queste ali e battendole rimase sospeso in aria.

Le diede allora anche al figlio, dicendogli: «Vola a mezza altezza,

mi raccomando, in modo che abbassandoti troppo l’umidità

205 non appesantisca le penne o troppo in alto non le bruci il sole.

Vola tra l’una e l’altro e, ti avverto, non distrarti a guardare

Boòte o Èlice e neppure la spada sguainata di Orìone:

vienimi dietro, ti farò da guida». E mentre l’istruiva al volo,

alle braccia gli applicava quelle ali mai viste.

210 Ma tra lavoro e ammonimenti, al vecchio genitore si bagnarono

le guance, tremarono le mani. Baciò il figlio

(e furono gli ultimi baci), poi con un battito d’ali

si levò in volo e, tremando per chi lo seguiva, come un uccello

che per la prima volta porta in alto fuori del nido i suoi piccoli,

215 l’esorta a imitarlo, l’addestra a quell’arte rischiosa,

spiegando le sue ali e volgendosi a guardare quelle del figlio.

E chi li scorge, un pescatore che dondola la sua canna,

un pastore o un contadino, appoggiato l’uno al suo bastone

e l’altro all’aratro, resta sbalordito ritenendoli dèi

220 in grado di solcare il cielo. E già s’erano lasciati a sinistra

le isole di Samo, sacra a Giunone, Delo e Paro,

e a destra avevano Lebinto e Calimne, ricca di miele,

quando il ragazzo cominciò a gustare l’azzardo del volo,

si staccò dalla sua guida e, affascinato dal cielo,

225 si diresse verso l’alto. La vicinanza cocente del sole

ammorbidì la cera odorosa, che saldava le penne,

e infine la sciolse: lui agitò le braccia spoglie,

ma privo d’ali com’era, non fece più presa sull’aria

e, mentre a gran voce invocava il padre, la sua bocca

230 fu inghiottita dalle acque azzurre, che da lui presero il nome.

Ormai non più tale, il padre sconvolto: «Icaro!» gridava,

«Icaro, dove sei?» gridava, «dove sei finito?

Icaro, Icaro!» gridava, quando scorse le penne sui flutti,

e allora maledisse l’arte sua; poi ricompose il corpo

235 in un sepolcro e quella terra prese il nome dal sepolto.


Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi, libro VIII, vv. 183-235, trad. di M. Ramous, Garzanti, Milano 1995

 >> pagina 80

A tu per tu con il testo

Da sempre l’essere umano ha sognato di volare e prima di riuscirvi attraverso l’invenzione dei moderni aeroplani ha speso infinite energie nella creazione di sistemi in grado di imitare il volo degli uccelli: basti pensare a Leonardo da Vinci, autore di studi anatomici e di disegni avveniristici nel famoso Codice del volo, conservato alla Biblioteca Reale di Torino. La storia di Dedalo e Icaro ci conquista perché è la prima della civiltà occidentale che narra questo sogno, realizzato nel tempo sospeso del mito.

Ma non finisce qui. È anche una storia tragica del rapporto, ricco e problematico, tra padri e figli. Ti è mai capitato di osare sempre di più e sfidare la norma imposta da un genitore, in preda a una smania incontenibile? In effetti, Icaro siamo tutti noi quando disobbediamo agli ordini paterni e alle tradizioni rassicuranti, e lo facciamo convinti che un genitore possa proteggerci comunque. Purtroppo non è sempre così: anche l’azione di un genitore o di un educatore è sottoposta a dei limiti. E vanno compresi fino in fondo prima che sia troppo tardi.

Analisi

La storia inizia allorché l’ateniese Dedalo, simbolo di uno spirito inventivo versatile e capace di cimentarsi in più campi, dall’architettura alla scultura, stanco di essere tenuto nel labirinto cretese dal re Minosse, decide di tentare la fuga verso la città natale Atene attraverso la sola via alternativa al mare e alla terra: il cielo (vv. 183-187). Di qui matura l’interesse per scienze sconosciute che lo portano a reinventare la natura: attraverso la scelta del lessico Ovidio mette in luce il problema originario della sua impresa, che tenta di mutare l’ordine delle cose, violando i limiti che la natura ha imposto all’uomo (E subito / dedica il suo ingegno a un campo ancora inesplorato, / sovvertendo la natura, vv. 187-189). L’idea è originale e ingegnosa: si tratta di ricreare ali simili a quelle degli uccelli attraverso delle penne disposte dalla più grande alla più piccola, legate con lo spago al centro e saldate con la cera in alto (vv. 189-195).
È ritratto con l’ingenuità e l’innocenza che competono a un bambino il figlio di Dedalo, Icaro, che assiste partecipe alla preparazione delle ali a cura del padre: eppure si insinua presto il sospetto che l’impresa sia votata a una fine terribile. Icaro, infatti, trasforma in gioco il lavoro di Dedalo, che disturba sia pur incolpevolmente, non sapendo di scherzare col proprio destino (v. 196). Quando il lavoro è ormai concluso e l’artefice ha verificato di potersi librare nell’aria, Icaro riceve dal padre opportune istruzioni per volare senza incorrere in pericoli, cioè tenersi sempre a mezza via, né troppo basso, vicino all’acqua, né troppo alto, a contatto con il calore del sole (vv. 203-209). Dedalo, in realtà, sin dall’inizio trema al pensiero di esporre il figlio a tale pericolo: quando gli applica le ali, al vecchio genitore si bagnarono / le guance, tremarono le mani. Baciò il figlio / (e furono gli ultimi baci), vv. 210-212. Levatosi in volo, Dedalo si volge indietro a osservare Icaro proprio come fa un uccello che porta per la prima volta i suoi piccoli fuori del nido: insieme, mentre volano nei cieli del Mediterraneo, padre e figlio sembrano dèi (vv. 213-220).

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Come l’autore ha già lasciato presagire, la storia è destinata a un tragico epilogo: non appena comincia ad apprezzare la bellezza rischiosa del volo, affascinato dal cielo (v. 224), Icaro si libra sempre più in alto. La cera si scioglie, le ali si staccano, le braccia ormai nude non possono più tenerlo in volo e, mentre chiama a gran voce il padre, cade nelle acque del mare (vv. 225-230). Non più in sé, Dedalo cerca disperatamente il figlio finché non vede le penne nel mare e comprende la gravità della sciagura di cui è stato lui stesso artefice (vv. 231-235). Il mito si conclude con un dettaglio eziologico: a Icaro è ricondotto, infatti, il nome del tratto di mare dove sarebbe caduto, compreso tra le isole di Patmo e Lero, nell’Egeo orientale, detto nell’antichità mare Icario.

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Riassumi il contenuto del brano (massimo 8 righe).


2. Quali raccomandazioni Dedalo rivolge al figlio?


3. Che cosa determina la disobbedienza di Icaro?

ANALIZZARE E INTERPRETARE

4. Come viene descritto il rapporto tra padre e figlio nel mito?


5. L’uscita dal labirinto si configura anche come una lezione di volo, nella quale Dedalo impartisce istruzioni al figlio. Per descrivere tale situazione il poeta ricorre a una figura retorica che coinvolge il mondo degli uccelli. Quale?


6. Agli occhi degli osservatori, che impressione produce il volo di Dedalo e Icaro? Quali figure sceglie Ovidio a tal proposito?


7. In che cosa consiste l’aspetto eziologico del mito?

  • a Nella spiegazione della differenza tra uomini e uccelli.
  • b Nel fatto che senza aiuto divino l’uomo non può nulla.
  • c Nella spiegazione dell’origine del nome del mare Icario.
  • d Nella descrizione del viaggio di Dedalo e Icaro.

COMPETENZE LINGUISTICHE

8. Storia delle parole. Icaro è attratto dall’azzardo del volo (v. 223). La parola azzardo deriva dal francese hasard, che a sua volta è un prestito dall’arabo az-zahr, “dado”. In origine, infatti, essa indicava un gioco con i dadi che vede contrapposti, una volta stabilita la posta, colui che tiene il banco e i giocatori. Da questa originaria accezione, il termine è passato a significare più genericamente “rischio” e poi “caso”, “sorte”. Con l’aiuto del vocabolario, individua alcune espressioni che contengono questa parola e scrivi tre frasi esemplificative.

PRODURRE

9. Scrivere per persuadere Ti è mai capitato di disobbedire all’ordine di un genitore e di trovarti così in una situazione rischiosa? Racconta un episodio in cui hai recitato, più o meno consapevolmente, la parte di Icaro (massimo 15 righe).

SPUNTI DI RICERCA interdisciplinare

storia dell’arte

Come molti altri miti contenuti nelle Metamorfosi, la vicenda di Icaro ha ispirato, nel corso del tempo, numerosissime rappresentazioni pittoriche e scultoree. Te ne presentiamo una: dopo averne ricercate altre, discuti con i compagni su quale sia per voi la più affascinante e perché.

SPUNTI PER discutere IN CLASSE

L’episodio raccontato da Ovidio invita a riflettere non solo sul rapporto tra padre e figlio, ma anche sui limiti che la natura ha imposto al progresso e all’inventiva umana. Che insegnamenti si possono trarre, secondo te, dalla storia di Dedalo e Icaro? Discutine in classe con l’insegnante e con i compagni.

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