1. Il significato e la bellezza dei miti

1. IL SIGNIFICATO E LA BELLEZZA DEI MITI

Alla ricca eredità che l’antichità greca e romana ha trasmesso alla civiltà europea appartiene quel bacino inesauribile di storie, popolate da dèi, eroi, uomini comuni, fenomeni naturali e prodigiosi, che in greco sono chiamate miti (da mythos, termine che vuol dire proprio “discorso”, “racconto”).

Tramandati oralmente per generazioni, tali racconti davano conto della molteplicità di fenomeni su cui l’uomo non ha mai smesso di interrogarsi, in fin dei conti, fino a oggi: la nascita dell’universo, le cause della pioggia, della siccità, dei terremoti, di ogni evento in cui si manifestano il mistero e l’incanto della natura, la fondazione delle città e la storia delle fasi più antiche dell’umanità.

Questa originaria funzione conoscitiva fa del mito il primo grandioso tentativo di razionalizzazione del mondo. Raccontare la storia delle cose, infatti, significa riflettere sulla loro origine e funzione, e quindi cercare di interpretare la realtà, anche se con un linguaggio fantasioso.

La mitologia classica risponde in modo ancora ingenuo e poetico alle grandi domande che avrebbero determinato la nascita della filosofia in Grecia: quest’ultima però percorre le strade più rigorose della ragione (in greco logos), mentre il mito si inscrive nella dimensione simbolica e poetica, che gli conferisce una bellezza arcaica e intramontabile. I miti greci ci presentano, dunque, una visione ingenua e incantata della realtà, testimone di uno stadio di civiltà in cui l’uomo era capace di meravigliarsi al cospetto della natura e individuava il divino in ogni sua manifestazione.

Per quanto si parli comunemente di mitologia e civiltà classica, ponendo sullo stesso piano il mondo greco con quello romano, il pantheon (termine di origine greca, che indica l’insieme complessivo delle divinità) venerato dai Romani all’inizio non coincideva con quello dei Greci: la sovrapposizione tra le figure divine delle due religioni avvenne piuttosto tardi, quando i Romani nel III secolo a.C. iniziarono a espandersi nell’Italia meridionale, terra di antica colonizzazione greca. Solo allora lo Zeus dei Greci cominciò a essere identificato con il Giove dei Romani (in latino Iuppiter), Era con Giunone, Atena con Minerva, Artemide con Diana, Demetra con Cerere e così via. Comune sin dall’inizio a entrambe le civiltà era la concezione antropomorfica del divino, per la quale gli dèi erano rappresentati con fattezze umane e spesso riproducevano vizi e virtù degli uomini al massimo grado.

Gli dèi greci e romani

Le divinità maggiori del pantheon greco sono i dodici dèi olimpi, che risiedono sulla cima del monte Olimpo nella Grecia settentrionale. Loro sovrano è Zeus, a Roma Giove, dio del cielo e del tuono. Figlio del titano Crono e della titanide Rea, era il più giovane dei suoi fratelli e sorelle: Estia, Demetra, Era, Ade e Poseidone. Alla nascita fu sottratto al padre che avrebbe voluto ucciderlo per evitare che si avverasse la profezia secondo cui uno dei figli gli avrebbe tolto il trono. Nascosto dalla madre Rea sul monte Ida a Creta, fu nutrito dalla ninfa Adrastea con il latte della capra Amaltea. Una volta divenuto adulto, tolse finalmente il potere al padre Crono, assumendo il potere sugli altri dèi.

Zeus è sposato con Era, la romana Giunone, dea tutelare del matrimonio e della fedeltà coniugale; nonostante ciò, egli è protagonista di moltissime avventure extraconiugali. La moglie rappresenta, invece, la maggior divinità femminile dell’Olimpo; figlia di Crono, è allo stesso tempo sorella e sposa di Zeus. Tra i figli delle relazioni clandestine del marito odia soprattutto Eracle, nato da Zeus e dalla mortale Alcmena.

Demetra, la romana Cerere, altra sorella di Zeus ed Era, è la dea dell’agricoltura e presiede al ciclo delle stagioni. Dopo che il dio Ade le rapisce la figlia Persefone, conducendola negli Inferi, Demetra la cerca disperatamente, finché le divinità non giungono a un compromesso: Persefone avrebbe trascorso l’autunno e l’inverno nel regno dei morti, la primavera e l’estate sulla Terra, determinando l’alternanza delle stagioni.

Altro fratello di Zeus è Poseidone, dio del mare e dei terremoti, corrispondente al romano Nettuno. Il suo simbolo è il tridente.

Non appartiene alla prima generazione di dèi olimpi, in quanto figlio di Zeus e Latona, il dio Apollo: dio delle arti, della musica, della poesia e padre del dio della medicina Asclepio, a Roma Esculapio. È spesso descritto come un arciere in grado di scatenare terribili pestilenze. Protettore del tempio di Delfi, Apollo è associato al culto del Sole e venerato come dio oracolare in grado di rivelare il futuro agli esseri umani per il tramite della sua sacerdotessa, la Pizia.

Sorella gemella di Apollo è Artemide, la romana Diana, dea della caccia, degli animali selvatici, della vegetazione, protettrice della verginità. Abita nei boschi ed è raffigurata armata di arco e faretra, spesso in compagnia di un cane e di un séguito di ninfe.

Figlia di Zeus è anche Atena, a Roma Minerva, la dea della sapienza, delle arti femminili e della strategia militare. Nata dalla testa di Zeus, è rappresentata spesso con la civetta e con l’ulivo, suoi simboli sacri.

Se Apollo rappresenta il lato solare e armonico della civiltà classica, Dioniso costituisce invece il dio dell’ebbrezza, del disordine e della liberazione dei sensi. È in genere accompagnato da un corteo chiamato tiaso, composto dalle sue sacerdotesse (dette Menadi o Baccanti, donne in preda a frenesia estatica), bestie feroci, satiri (uomini barbuti con orecchi, corna, coda e zampe caprine o equine). Identificato a Roma con Bacco, incarna la forza primigenia del vivere, intesa come potenza frenetica e irrazionale.

Afrodite, la romana Venere, figlia di Zeus e Dione, è la dea greca dell’amore, nel significato più vasto della parola. Essa incarna l’attrazione reciproca delle singole parti dell’universo a fini riproduttivi. Assimilabile alla dea Ishtar babilonese e all’Astarte fenicia, è legata all’isola di Cipro, nella quale i Greci identificavano il luogo della sua nascita, precisamente nel mare prospiciente la città di Pafos. Un’altra delle più antiche sedi del suo culto fu l’isola di Citera, a sud del Peloponneso.

Messaggero degli dèi è Hermes, il romano Mercurio, dio del commercio, protettore dei viandanti e dei ladri. Rappresentato con una verga (caduceo) e i sandali alati, è detto “psicopompo”, cioè guida delle anime dirette all’aldilà. Appartiene anche lui alla seconda generazione olimpia, in quanto figlio di Zeus e Maia. Con Driope genera il figlio Pan, che diviene dio della natura e inventore del flauto.

Fabbro degli dèi, dio del fuoco e della metallurgia è il dio Efesto, a Roma Vulcano. Considerato figlio della sola Era oppure di Era e di Zeus, ha come simboli il fuoco e l’incudine. Efesto è un dio zoppo ed esistono diversi miti che spiegano l’origine della sua infermità.

Figlio di Zeus ed Era, infine, è Ares, il romano Marte, dio della guerra intesa nei suoi aspetti più violenti e brutali.

Non appartiene ai dodici dèi olimpi, perché risiede nell’oltretomba, il dio Ade, il romano Plutone, fratello di Zeus e dio degli Inferi, delle ombre e dei morti, sposato con Persefone. Raffigurato in modo simile a Zeus, ma con tratti più cupi nel volto, è accompagnato in genere dal cane a tre teste Cerbero.

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2. I TEMI DELLA MITOLOGIA

La mitologia classica ha una risposta per ogni domanda, anche perché si è arricchita nei secoli di una galleria di storie sempre più complesse e raffinate. Oltre a spiegare gli eventi naturali, essa coinvolge i più diversi ambiti del sapere, toccando anche argomenti attinenti la vita quotidiana dei comuni mortali: la sfera dei sentimenti, dell’amore e dell’amicizia, l’inevitabilità della morte, la mutevolezza e la problematicità dei rapporti umani sono temi privilegiati dell’invenzione mitologica.

Considerata la vastità della materia, possiamo individuare alcuni filoni specifici:

  • il mito cosmogonico, sull’origine del mondo, che riferisce della creazione dell’universo, della Terra e degli elementi;
  • il mito naturalistico, che spiega i molteplici fenomeni in cui si manifesta il mistero della natura (in greco physis): è il caso del fiore nato dalla metamorfosi di Narciso ( T2, p. 65) o della vicenda di Piramo e Tisbe ( T3, p. 71), che spiega il motivo per cui le bacche del gelso hanno un colore scuro;
  • il mito religioso, che concentra il proprio interesse su aneddoti e biografie degli dèi;
  • il mito eziologico (dal greco aitía, “causa, origine”), che si sovrappone talvolta a quello naturalistico e tende a dare ragione di usanze, tradizioni, culti, cerimonie particolari; un esempio è nel racconto di Icaro ( T4, p. 78), che si conclude con l’attribuzione del nome di mare Icario al tratto di mare in cui egli precipitò;
  • il mito storico, che racconta in chiave simbolica le fasi più antiche della storia di un popolo. Tale declinazione del mito è particolarmente frequente nel repertorio greco, spesso legato alla guerra di Troia o ai viaggi intrapresi dagli eroi nel Mediterraneo all’epoca della prima (XI-X secolo a.C.) e della seconda colonizzazione (VIII-VI secolo a.C.).

La memoria del mare

Il fotografo napoletano Mimmo Jodice ha iniziato nel 1985 una ricerca durata più di trent’anni sul Mediterraneo: paesaggi, statue, antichi edifici, raccontano la storia e il mito delle civiltà di questo mare. Nelle sue fotografie questi luoghi e questi volti ci interrogano ancora, hanno qualcosa da dirci. È ciò che succede anche con i miti: le loro narrazioni, anche se provenienti da un tempo lontano e perduto, ci parlano ancora di noi.

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3. LE FONTI

L’intera letteratura greca trae le sue origini dal racconto della guerra di Troia e da Omero: il leggendario autore dei più famosi poemi epici dell’antichità costituisce, pertanto, la prima fonte del mito greco.

I miti più antichi vengono riferiti anche da un altro poeta, Esiodo, vissuto tra l’VIII e il VII secolo a.C., il quale nella Teogonia (“generazione degli dèi”) si interroga sull’origine degli dèi e del mondo. Dello stesso autore è un poema didascalico sulle tecniche dell’agricoltura, Le opere e i giorni, nel quale viene approfondito il ruolo delle divinità come ispiratrici delle norme etiche e sociali che regolano e disciplinano la convivenza tra gli uomini.

Un interesse diverso muove, invece, lo storico Erodoto (V secolo a.C.), che raccoglie il patrimonio mitologico dei Greci e degli altri popoli (che egli chiama “barbari”, termine greco di origine onomatopeica per indicare gli stranieri, letteralmente “balbuzienti”), mosso dalla convinzione che ogni mito, per il semplice fatto di esistere e di far parte di una tradizione, contenga un nucleo di verità.

4. IL MITO IN ETÀ ELLENISTICA E ROMANA

Nel periodo successivo alla morte di Alessandro Magno (323 a.C.), la cosiddetta età ellenistica, si tornò a studiare il mito con una curiosità erudita, riscoprendo spesso varianti meno note. Un esempio di questo nuovo atteggiamento si riscontra nell’opera del poeta Apollonio Rodio (295-215 a.C.). Nato ad Alessandria d’Egitto, grande centro della cultura ellenistica, ebbe il soprannome di Rodio a causa del lungo soggiorno a Rodi, isola dell’Egeo orientale dove secondo la tradizione si era recato in seguito a polemiche avute con il suo maestro, il poeta Callimaco.

Il suo nome è legato soprattutto alle Argonautiche, lungo poema epico in quattro libri dedicato all’impresa degli Argonauti (“marinai della nave Argo”) nella Colchide, regione affacciata sul mar Nero. Al centro dell’opera sono le avventure di Giasone, figlio di Esone, re di Iolco in Tessaglia, al quale il fratellastro Pelia ha sottratto il trono. Lo zio spedisce Giasone in una missione pericolosa per sbarazzarsene: gli promette, infatti, di restituirgli il trono a condizione che gli consegni il vello d’oro custodito dal re Eeta nella selvaggia Colchide. Il vello d’oro è la pelle di un ariete capace di volare, donato da Ermes a Nefele affinché salvasse i figli Elle e Frisso dalla furia di Ino, la nuova moglie di suo marito Atamante. L’ariete aveva portato in salvo nella Colchide solo Frisso, mentre Elle era caduta nello stretto poi chiamato Ellesponto (i Dardanelli). Una volta sacrificato l’animale agli dèi, Frisso aveva poi offerto la pelle dorata al re Eeta, che l’aveva inchiodata a una quercia, incaricando un drago della sua custodia.

Raccolto un gran numero di eroi come compagni dell’impresa (tra i quali Eracle, l’ateniese Teseo e il cantore Orfeo), dopo un viaggio non privo di sorprese ( T1, p. 60), Giasone può contare sull’aiuto della maga Medea, figlia di Eeta, che si innamora di lui. Grazie a un filtro magico ricevuto dalla donna, l’eroe riesce ad aggiogare i due tori spiranti fuoco e a debellare i guerrieri nati dai denti di serpente seminati sul campo dello scontro. Infine, dopo una lunga navigazione e molte vicissitudini, Giasone e gli Argonauti ritornano a Iolco con il vello d’oro.

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In età ellenistica i Greci, e con loro i Romani, cominciano a non credere più ai miti del loro passato, fondamenti della loro stessa cultura. Probabilmente è proprio la coscienza della crisi del mito tradizionale a determinare il fiorire di studi mitologici, al quale si deve la Biblioteca di Apollodoro, una sorta di riassunto enciclopedico della mitologia classica risalente a un periodo compreso tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C.

Un esempio di questo atteggiamento ironico e disincantato, in cui prevale la dimensione poetica e artistica su quella religiosa, è anche nella produzione del poeta latino Publio Ovidio Nasone (43 a.C.-18 d.C.). Giunto a Roma dalla natìa Sulmona, invece di intraprendere la carriera politica secondo i desideri del padre, si era dedicato alla poesia, riscuotendo grande successo e notorietà con opere come gli Amores e l’Ars amatoria che sviluppano la tematica amorosa con ironia e trasgressiva disinvoltura. Probabilmente proprio la vena provocatoria che caratterizza questa produzione, pubblicata in anni segnati dai propositi moralizzatori dell’imperatore Augusto, fu motivo del suo allontanamento coatto da Roma nell’8 d.C. Trasferitosi sul mar Nero, terminò i suoi giorni lontano dalla patria, continuando a scrivere fino alla morte.

Il capolavoro di Ovidio è rappresentato dalle Metamorfosi, autentica enciclopedia in quindici libri dell’intero patrimonio mitologico della cultura greca e romana. Scritto in esametri, il poema è incentrato sul tema delle trasformazioni e tratta più di duecentocinquanta miti greci, filtrati dalla sensibilità elegante e poetica di uno dei grandi autori della letteratura latina.

Verifica delle conoscenze

1. Che significato ha la parola greca mythos?
2. In che cosa consiste la dimensione simbolica del mito greco e latino?
3. Che cos’è un mito cosmogonico?
4. Spiega la funzione eziologica dei miti.
5. Qual è la più antica fonte letteraria di miti greci?
6. Che cos’è la Biblioteca di Apollodoro?
7. Di che cosa trattano le Argonautiche di Apollonio Rodio?
8. Che atteggiamento dimostra verso il mito il poeta latino Ovidio?

La dolce fiamma - volume C
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