LA VOCE DEI MODERNI - Un’immagine insolita e fortunata

LA VOCE DEI MODERNI

Un’immagine insolita e fortunata

Non aveva certamente letto l’epopea di Gilgamesh, scoperta solo nell’Ottocento, il filosofo e matematico francese Blaise Pascal (1623-1662), al quale dobbiamo una meravigliosa formulazione sulla condizione dell’uomo basata sull’immagine naturalistica della canna.


L’uomo non è che una canna, la più debole della natura; ma è una canna pensante. Non c’è bisogno che tutto l’universo s’armi per schiacciarlo: un vapore, una goccia d’acqua basta a ucciderlo. Ma, anche se l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe ancor più nobile di chi lo uccide, perché sa di morire e conosce la superiorità dell’universo su di lui; l’universo invece non ne sa niente.

B. Pascal, Pensieri, n. 347, trad. di G. Auletta, Edizioni Paoline, Milano 1961


In genere ci piace ricercare l’origine comune di quelle frasi e immagini che gli autori amano citare in una sorta di dialogo incessante con i modelli del passato: Montale riprende Dante, che a sua volta si ispira a Virgilio, per esempio. In questo caso, è interessante piuttosto constatare la fortuna di un motivo comune attraverso culture diverse, come quella europea e quella mesopotamica, all’epoca di Pascal ancora sconosciuta. D’altra parte, il filosofo non si limita a paragonare l’umanità a una canna recisa in un canneto, come fa Utanapishtim nell’epopea di Gilgamesh, ma vi aggiunge una riflessione più articolata, che deriva dalla sua fede cristiana e da un’acuta sensibilità: a causa della sua mortalità l’uomo è debole come una canna, ma la sua è una debolezza nobile e raffinata, propria di chi può contare sulla risorsa superiore della coscienza.

La dolce fiamma - volume C
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Epica