T9 - Il duello tra Enea e Turno (libro XII, vv. 887-952)

VERSO LE COMPETENZE

T9

Il duello tra Enea e Turno

  • Tratto da Eneide, libro XII, vv. 887-952

Sulle rive del Tevere si svolgono i combattimenti più sanguinosi: particolarmente commovente è la morte dei giovani Pallante e Lauso: il primo, figlio del troiano Evandro, viene ucciso per mano di Turno, il secondo invece da Enea (libro X). Struggente è la scena in cui Evandro apprende la morte del figlio, mentre anche sul fronte latino sono rivolte le prime critiche a Turno, che annuncia l’aiuto di un nuovo alleato, il popolo dei Volsci, guidati dalla valorosa Camilla. La donna guerriera, tuttavia, trova la morte mentre insegue un troiano per impossessarsi delle sue armi. Tale evento determina il ritiro dei Volsci e l’avanzata dei Troiani (libro XI).

Nell’ultimo libro, Turno, incoraggiato dalla sorella, la ninfa Giuturna, si dichiara finalmente disposto ad affrontare Enea in duello. Questi accetta a una condizione: in caso di sconfitta i Troiani si ritireranno nella città di Evandro, mentre in caso di vittoria Troiani e Latini dovranno fondersi in un solo popolo.

L’intervento iniziale delle divinità, tuttavia, complica l’esito dello scontro: Turno è aiutato dalla sorella Giuturna, Enea dalla madre Venere, finché Giove – a colloquio con la moglie Giunone – decide che è giunto il momento che si compia il destino. La dea acconsente purché il nome di Troia sparisca e il popolo nascente abbia lingua e costumi latini. Pertanto, Giove invia a Giuturna una delle Diri, divinità annunciatrici di morte, affinché si allontani dal fratello. Sotto forma di un gufo, la Dira vola attorno a Turno, che ormai sente venire meno le forze.

Enea di contro incalza e vibra la lancia,

enorme, simile a un tronco, e parla con animo feroce:

«Ora cos’è questo indugio? Perché ti attardi, o Turno?

890 Non con la corsa, con l’armi crudeli si deve combattere

da presso. Trasformati in tutti gli aspetti, raduna quanto

vali con l’animo e con l’astuzia; desidera di volare

sulle alte stelle, e di racchiuderti nel cavo della terra…»

Quello, scuotendo il capo: «Non le tue superbe parole m’atterriscono,

895 o arrogante, gli dèi m’atterriscono o Giove nemico».

E senza dire null’altro, rivolge lo sguardo a un grande macigno,

a un grande antico macigno che giaceva sul campo,

posto come confine al terreno, per dirimere le agresti contese.

Lo porterebbero a stento sul collo dodici uomini scelti,

900 quali di membra attualmente produce la terra;

l’eroe, afferratolo con mano ansiosa, cercò di scagliarlo

sul nemico, ergendosi in alto e preso di corsa l’abbrivio.

Ma non si riconobbe nel correre, nel muoversi,

nell’alzare la mano e nel librare il possente macigno;

905 le ginocchia vacillano, si rapprende gelido il sangue.

Allora la pietra, lanciata dal guerriero nel vuoto,

non percorse tutto lo spazio, né portò a termine il colpo.

E come in sogno, di notte, quando una languida quiete

grava sugli occhi, ci sembra di voler inutilmente intraprendere

910 avide corse, e durante il tentativo cadiamo sfiniti;

la lingua impotente, le forze consuete del corpo

svaniscono, e non escono voce o parole:

così a Turno, con qualunque sforzo tenti la via,

l’orribile dea nega il successo. Allora volge

915 nel cuore sentimenti diversi: guarda i Rutuli e la città,

e indugia nel timore, e trema all’arrivo del colpo;

non sa dove scampare, come assalire il nemico

e non vede in nessun luogo il carro e la sorella auriga.

Mentre esitava, Enea brandisce l’asta fatale,

920 calcolando la sorte con gli occhi, e la vibra da lontano

con lo slancio di tutto il corpo. Non rombano mai

così le pietre scagliate da una macchina murale,

o col fulmine scoppiano simili tuoni. L’asta vola a guisa

di nero turbine, portando sinistra rovina, e squarcia

925 l’orlo della corazza, e l’ultimo cerchio del settemplice scudo.

Trapassa stridendo la coscia. Il grande Turno

cadde in terra, colpito, con le ginocchia piegate.

Balzano con un grido i Rutuli, e tutto rimbomba

il monte d’intorno, e ampiamente i profondi boschi riecheggiano.

930 Egli da terra, supplice, protendendo lo sguardo e la destra

implorante: «L’ho meritato» disse «e non me ne dolgo;

profitta della tua fortuna; tuttavia, se il pensiero d’un padre

infelice ti tocchi, prego – anche tu avesti un padre,

Anchise –, pietà della vecchiaia di Dauno,

935 e rendi me, o se vuoi le membra prive di vita,

ai miei. Hai vinto e gli Ausoni mi videro sconfitto

tendere le mani; ora Lavinia è tua sposa;

non procedere oltre con gli odii». Ristette fiero nell’armi

Enea, volgendo gli occhi, e trattenne la destra;

940 sempre di più il discorso cominciava a piegarlo

e a farlo esitare: quando al sommo della spalla apparve

l’infausto balteo e rifulsero le cinghie delle note borchie

del giovane Pallante, che Turno aveva vinto e abbattuto

con una ferita, e portava sulle spalle il trofeo del nemico.

945 Egli, fissato con gli occhi il ricordo del crudele dolore,

e la preda, arso dalla furia, e terribile

nell’ira: «Tu, vestito delle spoglie dei miei,

vorresti sfuggirmi? Pallante con questa ferita,

Pallante t’immola, e si vendica sul sangue scellerato».

950 Dicendo così, gli affonda furioso il ferro in pieno petto;

a quello le membra si sciolgono nel gelo,

e la vita con un gemito fugge sdegnosa tra le ombre.


Publio Virgilio Marone, Eneide, libro XII, vv. 887-952, trad. di L. Canali, Mondadori, Milano 2014

 >> pagina 356

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Fai un riassunto del brano (massimo 10 righe).


2. Perché Turno non si riconobbe nel correre, nel muoversi, / nell’alzare la mano e nel librare il possente macigno (vv. 903-904)?


3. Di chi cerca l’aiuto Turno quando sente venire meno le forze?


4. Che cosa chiede Turno ormai trafitto all’avversario?

  • a Pietà.
  • b Un’altra possibilità.
  • c Lo scambio delle armi.
  • d Perdono.


5. Che cosa induce Enea a vibrare il colpo mortale?

  • a La vista del balteo di Pallante.
  • b Il ricordo di Anchise.
  • c Il monito di Amata.
  • d Il sacrificio di Camilla.

ANALIZZARE E INTERPRETARE

6. Con quale similitudine è illustrato il tentativo disperato di Turno di recuperare le forze?


7. Quale pensiero fa esitare Enea e quasi lo convince a concedere clemenza a Turno?


8. Rispetto all’immagine classica del pio Enea, il duello con Turno mostra inevitabilmente un volto più duro dell’eroe. Quale aggettivo è riferito a Enea dall’avversario? Quali invece usa Virgilio quando l’eroe troiano vibra il colpo mortale a Turno? Che considerazioni puoi trarre?


9. L’epicità del brano è accresciuta da alcune riprese omeriche. C’è un’allusione, per esempio, già tipica dell’epica omerica, alla differenza tra i tempi antichi e quelli presenti. Quale?


10. Quale precedente epico illustre ha ispirato questo brano, secondo te? Che differenze noti?


11. Qual è l’ultima parola dell’Eneide? Secondo te, perché?

COMPETENZE LINGUISTICHE

12. Il linguaggio figurato. Al v. 950 si legge gli affonda furioso il ferro in pieno petto. Che cosa indica la parola ferro? Di che figura retorica si tratta?

  • a Metafora.
  • b Metonimia.
  • c Anastrofe.
  • d Endiadi.

PRODURRE

13. Scrivere per raccontare Quali pensieri avrà avuto Turno durante le ultime battute del duello? Come ci si sente a essere abbandonati dal destino? Scrivi un breve testo (massimo 20 righe) in cui ricostruisci gli ultimi istanti dell’avversario di Enea, presentando il suo punto di vista.

La dolce fiamma - volume C
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