T8 - Eurialo e Niso (libro IX, vv. 314-449)

T8

Eurialo e Niso

  • Tratto da Eneide, libro IX, vv. 314-449

La furia Alletto stravolge prima la regina Amata, poi Turno, inducendolo alla guerra con i Troiani, alla quale invece il vecchio re Latino non vuole dare inizio (libro VII). Nel frattempo Enea si reca dal re Evandro a Pallanteo, luogo dove sorgerà la futura Roma, per cercare alleati contro Rutuli e Latini, coalizzati contro di lui. Evandro offre a Enea consigli e un contingente di truppe guidate dal figlio, il giovane Pallante (libro VIII).

La guerra vera e propria inizia nel libro IX. Su incarico di Giunone, infatti, Iride informa Turno dell’assenza di Enea: il re dei Rutuli ne approfitta per assediare il campo troiano. Vista la difficile situazione, il troiano Niso, che sta montando la guardia di notte, riferisce al più giovane amico Eurialo la sua intenzione di uscire dall’accampamento per raggiungere Enea e avvertirlo del serio pericolo che i Troiani stanno correndo. L’amico vuole a tutti i costi seguire Niso, che tenta invano di convincerlo a rimanere al sicuro. Alla fine, entrambi si lanciano nella sortita notturna.

Usciti, superano i fossi, e nell’ombra della notte

315 si dirigono al campo nemico, ma prima sarebbero stati

di eccidio a molti. Sull’erba vedono corpi

rovesciati dal sonno e dal vino, carri con il timone alzato sulla riva,

uomini tra briglie e ruote, e giacere insieme

armi e otri. Per primo l’Irtacide parlò così:

320 «Eurialo, osiamo col braccio; la situazione

c’invita. La via è per di qua. Affinché nessuna schiera

possa coglierci da tergo, provvedi e vigila da lontano;

io seminerò strage, e ti guiderò in un vasto solco».

Così dice, e frena la voce; ed assale

325 con la spada il superbo Ramnete che su spessi tappeti,

ammucchiati spirava sonno dal profondo del petto:

era re e augure, gratissimo al re Turno,

ma con l’augurio non poté allontanare da sé la rovina.

Vicino uccide tre servi che giacevano a caso

330 tra le armi, e lo scudiero di Remo; all’auriga trovato

sotto i cavalli col ferro squarcia il collo riverso;

poi decapita il loro padrone, e lascia il tronco

rantolante nel sangue; la terra e i giacigli s’intridono

caldi di nero umore. E anche Lamiro e Lamo,

335 e il giovane Serrano, che aveva giocato fino alla notte

più tarda, bellissimo d’aspetto, giaceva con le membra vinte

dall’eccesso del dio; fortunato, se senza intervallo

avesse pareggiato il gioco alla notte protraendolo fino alla luce.

Come un leone digiuno che sconvolge un gremito ovile

340 (lo spinge una fame furiosa) e addenta e trascina le tenere

pecore mute di terrore; ruggisce con le fauci insanguinate.

Non minore la strage di Eurialo; ardente

anch’egli imperversa, e nel folto assale una grande anonima

folla, Fado, e Erbeso, e Reto e Abari

345 inconsapevoli; Reto si era svegliato e tutto vedeva,

celandosi atterrito dietro un grande cratere:

mentre si alzava Eurialo gli immerse da presso la spada

in pieno petto, e la estrasse con molta morte.

Quegli emette l’anima purpurea, e morendo rigetta

350 vino misto a sangue; questi, fervido incalza nell’agguato.

S’appressava ai compagni di Messapo; lì vedeva

morire l’ultimo fuoco e legati secondo l’usanza

i cavalli brucare l’erba: quando brevemente Niso

– lo sentì trasportato da troppa foga di strage –

355 «Smettiamo» disse, «poiché s’avvicina la luce nemica;

ci siamo vendicati abbastanza; s’apre la via tra i nemici».

Lasciano numerose armi di guerrieri, forgiate

in argento massiccio, e crateri e bei tappeti.

Eurialo afferra, adattandole alle spalle inutilmente forti,

360 le borchie di Ramnete e la tracolla a placche d’oro,

che un tempo il ricchissimo Cedico mandò in dono

a Remulo tiburte, stringendo amicizia da lontano;

quegli morendo la dà in possesso al nipote; dopo la morte

i Rutuli se ne impadroniscono guerreggiando in battaglia.

365 Poi indossa l’elmo di Messapo, agevole e adorno

di creste. Escono dal campo, e prendono vie sicure.

Frattanto cavalieri mandati in avanscoperta dalla città latina,

mentre il grosso dell’esercito indugia schierato nella pianura,

andavano e portavano a Turno risposte del re:

370 trecento, tutti armati di scudi, guidati da Volcente.

E già s’avvicinavano al campo, e arrivavano al muro,

quando li scorgono lontano piegare in un sentiero a sinistra;

l’elmo tradì l’immemore Eurialo nell’ombra

luminescente della notte, e rifulse percosso dai raggi.

375 Non passò inosservato. Grida dalla schiera Volcente:

«Fermatevi, uomini; che ragione all’andare? Che soldati

siete? Dove vi dirigete?». Essi non si fecero incontro,

ma fuggirono veloci nel bosco e s’affidarono alla notte.

Da tutte le parti i cavalieri si slanciano nei noti

380 bivii e circondano di guardie tutti gli sbocchi.

Era una vasta selva irta di cespugli e di nere

elci, e dovunque la riempivano fitti rovi;

lucevano radi sentieri tra piste occulte.

Ostacolano Eurialo le tenebre dei rami e la pesante preda,

385 e il timore lo trae in inganno con la direzione delle vie.

Niso s’allontana. Incauto, oltrepassa il nemico,

e i luoghi che dal nome di Alba si chiamarono Albani

– allora, alte pasture, li aveva il re Latino –,

quando si ferma e si volge inutilmente all’amico scomparso:

390 «Eurialo, infelice, dove mai ti ho lasciato?

E per dove seguirti?». Ripercorrendo tutto l’incerto cammino

della selva ingannevole, e insieme scrutando le orme,

le percorre a ritroso, ed erra tra i cespugli silenti.

Ode i cavalli, ode lo strepito e il richiamo degli inseguitori:

395 non passa lungo tempo, quando gli giunge agli orecchi

un clamore, e vede Eurialo; già tutta la torma,

con improvviso tumulto impetuoso, trascina lui oppresso dall’inganno

della notte e del luogo, lui che tenta invano ogni difesa.

Che fare? con quali forze ed armi oserà salvare

400 il giovane? o si getterà per morire sulle spade

nemiche, e affretterà con le ferite la bella morte?

Rapidamente ritratto il braccio vibrando l’asta,

e guardando l’alta Luna, prega così:

«Tu, o dea, favorevole soccorri la nostra sventura,

405 bellezza degli astri, latonia custode dei boschi.

Se mai per me il padre Irtaco portò doni

alle tue are, e io li accrebbi con le mie cacce,

o li appesi alla volta del tempio, o li affissi al santo fastigio,

fa’ che sconvolga quella schiera, e guida l’arma nell’aria».

410 Disse, e con lo sforzo di tutte le membra scagliò il ferro:

l’asta volando flagella le ombre della notte,

e di fronte colpisce lo scudo di Sulmone, e ivi

s’infrange, e attraversa i precordi col legno spezzato.

Quello rotola gelido vomitando dal petto

415 un caldo fiotto, e batte i fianchi in lunghi singulti.

Scrutano intorno. Imbaldanzito, ecco Niso

scagliare una lancia dalla sommità dell’orecchio.

E mentre s’affannano, l’asta attraversa le tempie di Tago,

stridendo, e tiepida rimase nel cervello trafitto.

420 Infuria atroce Volcente, e non scorge in nessun luogo

l’autore del colpo, né dove possa scagliarsi rabbioso.

«Ma tu intanto mi pagherai con caldo sangue

la pena di entrambi» disse; e snudata la spada

si gettò su Eurialo. Allora sconvolto, impazzito

425 Niso grida – non seppe celarsi più a lungo

nelle tenebre, o sopportare un tale dolore –:

«Io, io, sono io che ho colpito, rivolgete contro di me il ferro,

Rutuli! l’insidia è mia; costui non osò e non poté

nulla (lo attestino il cielo e le consapevoli stelle);

430 soltanto amò troppo lo sventurato amico».

Così diceva; ma la spada vibrata con violenza

trafisse il costato e ruppe il candido petto.

Eurialo cade riverso nella morte, il sangue scorre

per le belle membra, e il capo si adagia reclino sulla spalla:

435 come un fiore purpureo quando, reciso dall’aratro,

languisce morendo, o come i papaveri che chinano il capo

sul collo stanco, quando la pioggia li opprime.

Ma Niso s’avventa sul folto e cerca fra tutti

il solo Volcente, contro il solo Volcente si ostina.

440 I nemici, addensatisi intorno a lui da tutte le parti,

lo stringono da presso; egli incalza ugualmente

e ruota la spada fulminea, finché non la immerse

nella bocca del rutulo urlante, e morendo tolse la vita

al nemico. Allora, trafitto, si gettò sull’amico esanime,

445 e alfine riposò in una placida morte.

Fortunati entrambi! Se possono qualcosa i miei versi,

mai nessun giorno vi sottrarrà alla memoria del tempo,

finché la casa di Enea abiti l’immobile rupe

del Campidoglio, e il padre romano abbia l’impero.


Publio Virgilio Marone, Eneide, libro IX, vv. 314-449, trad. di L. Canali, Mondadori, Milano 2014

 >> pagina 349

A tu per tu con il testo

Fino a che punto possono spingersi la generosità e la dedizione per un amico? Quanto e come possono i sentimenti prevalere sul calcolo realistico del pericolo e sull’istinto di sopravvivenza? L’episodio di Eurialo e Niso è la risposta dell’epica antica, e in particolare di Virgilio, a queste domande.

L’eroismo che nasce per un motivo di pubblico interesse, aiutare la causa di Enea, si trasforma, infatti, in una pagina dai toni intimi e privati: la scelta di Niso di uscire allo scoperto per salvare l’amico è la decisione dettata dalla forza di un sentimento che prevale su ogni altro tipo di considerazione. Alla banale prosa della salvezza individuale si sostituisce la poesia dell’affetto e dell’amicizia, capace di trasmettere un coraggio di cui altrimenti non saremmo capaci: le azioni eroiche nascono sempre da grandi sentimenti… E allora prende il sopravvento il pensiero che una vita senza un amico, perso durante un’impresa affrontata insieme, non sarebbe più degna di essere vissuta, ma si affaccia anche e soprattutto il desiderio di vederlo sano e salvo, persino a costo della nostra stessa vita. Proprio in momenti come questi, segnati dal pericolo e dalla difficoltà, si riconosce il vero amico, recita un antico proverbio.

Analisi

La storia eroica di Eurialo e Niso segna l’inasprimento della tensione guerresca che accende la seconda metà del poema, soprattutto a partire dal libro IX. La narrazione, benché frutto della fantasia del poeta, ripercorre il topos della spedizione notturna già presente nel libro X dell’Iliade, la cosiddetta Dolonìa, nella quale l’eroe troiano Dolone va in esplorazione nel campo degli Achei per spiarne le mosse, ma viene sorpreso e ucciso da Odisseo e Diomede. Anche la caratterizzazione dei due guerrieri risente di un’altra celebre coppia di amici dell’epica, Achille e Patroclo. Eurialo è più giovane e inesperto, incapace di valutare i rischi, mentre Niso, più maturo e prudente, si dimostra anche il più generoso.

Usciti dall’accampamento troiano, i due si fanno strada nel campo nemico e seminano la morte tra i Rutuli dormienti: l’attenzione è volta prima alle gesta di Niso, che uccide l’indovino Ramnete, poi a Remo con i suoi servi e lo scudiero, Lamiro, Lamo, Serrano (vv. 314-338). Simile a un leone digiuno che irrompe in un ovile e addenta voracemente le pecore (vv. 339-341), Niso non risparmia nessuno, nonostante molti nemici giacciano addormentati e ubriachi per aver molto bevuto.

Contribuisce alla strage anche il più giovane Eurialo (vv. 342-354) che, eccitato per la partecipazione all’insidia notturna, si ferma solo al richiamo del compagno Niso, che in virtù della maggiore esperienza ha il senso della misura e sa riconoscere quando fermarsi. Eurialo, tuttavia, segue il compagno solo dopo aver fatto razzia delle armi pregiate dei nemici, tra cui lo sfavillante elmo di Messapo (vv. 359-366).

A far precipitare la situazione è l’arrivo dei cavalieri di Volcente, armati di scudi, che sorprendono i giovani troiani durante l’uscita dal campo. Grida dalla schiera Volcente: / «Fermatevi, uomini; che ragione all’andare? Che soldati / siete? Dove vi dirigete (vv. 375-377): basta una voce potente nella notte a determinare il panico e la fuga disordinata dei due troiani, che si rifugiano nel bosco, rincorsi dai cavalieri latini. Mai come in queste situazioni la natura in Virgilio si dimostra oscura e ostile: Era una vasta selva irta di cespugli e di nere / elci, e dovunque la riempivano fitti rovi; / lucevano radi sentieri tra piste occulte (vv. 381-383). Sembra di vivere il terrore e la disperazione provati in quel momento tragico: mentre Niso riesce a far perdere le tracce di sé, Eurialo è gravato dal peso del bottino e perde l’orientamento. Non appena avverte l’assenza dell’amico, Niso prorompe disperato: «Eurialo, infelice, dove mai ti ho lasciato? / E per dove seguirti?» (vv. 390-391). Inutile è la corsa sui suoi passi per ricercarlo (vv. 391-401).

A questo punto la narrazione è affidata alle percezioni di Niso stesso, prima visive, poi uditive, poi di nuovo tragicamente visive. Non c’è cosa peggiore di ascoltare suoni e rumori preoccupanti senza avere visione di ciò che sta accadendo: Virgilio lo sa bene e lo fa vivere a Niso, che finalmente vede Eurialo, trascinato dall’inganno / della notte e del luogo (vv. 397-398). Nella tragicità del momento, ha un sussulto di religiosità che lo porta a rivolgere una preghiera alla luna: «Tu, o dea, favorevole soccorri la nostra sventura, / bellezza degli astri, latonia custode dei boschi. / […] fa’ che sconvolga quella schiera, e guida l’arma nell’aria» (vv. 404-405, 409).

 >> pagina 350 

Quando ancora l’amico più giovane si dibatte tra i nemici, Niso decide di scagliare l’asta e la lancia, che atterrano Sulmone e Tago, e di uscire poi allo scoperto nell’istante in cui Volcente sta per colpire a morte con la spada Eurialo: «Io, io, sono io che ho colpito, rivolgete contro di me il ferro, / Rutuli!» (vv. 427-428). Il gesto di Niso non è dettato dalla ricerca di gloria o della morte eroica, bensì dal desiderio di mettere in salvo Eurialo o di morire insieme a lui, ma è destinato a ritorcersi contro l’amico. La sua repentina apparizione, rimarcata dalla ripetizione del pronome io, infatti, non vale a impedire il colpo mortale inferto da Volcente al costato di Eurialo, che cade morto come un fiore purpureo quando, reciso dall’aratro, / languisce morendo, o come i papaveri che chinano il capo / sul collo stanco, quando la pioggia li opprime (vv. 435-437).

Le due similitudini floreali, riprese dalla tradizione epica e lirica, fanno da cassa di risonanza del dolore per la morte del giovane, che tende a farsi universale e a coinvolgere la stessa natura. Virgilio giustappone due diversi motivi: il primo, quello del fiore purpureo reciso dall’aratro, destinato a rapida morte, era già in un carme del poeta latino Catullo (XI, vv. 21-25), che l’aveva a sua volta tratto, variandolo, dalla greca Saffo; l’immagine, forse più delicata per via della sua naturalità, del papavero che china il capo sotto il peso dei semi e delle piogge primaverili si trova invece in Omero (Iliade, VIII, vv. 306-308), che pure la usa per descrivere la morte di un guerriero.

Dopo la morte di Eurialo, Niso si sente chiamato a vendicarlo e a uccidere senza pietà Volcente (vv. 438-444), per poi esporsi a sua volta a una rapida morte, trafitto dai colpi nemici, sul corpo esanime dell’amico. L’episodio è concluso da un accorato intervento del poeta stesso: diversamente dal più oggettivo modello omerico, Virgilio si lancia in un’accorata apostrofe rivolta ai due giovani eroi, la cui nobiltà d’animo e generosità servirà a garantire loro eterna gloria, grazie alla bellezza immortale della poesia (vv. 446-449).

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Fai un riassunto del brano (massimo 12 righe).


2. Chi tra Eurialo e Niso stabilisce che è il momento opportuno per la fuga?


3. Chi è Volcente?

  • a Un eroe troiano.
  • b Un indovino latino.
  • c Un generale latino.
  • d L’auriga di Remo.


4. Che cosa tradisce la presenza dei due troiani nel campo nemico?


5. Che cosa rende impacciata la fuga di Eurialo all’arrivo di Volcente e dei cavalieri latini? Perché Niso, invece, è più spedito?


6. Che cosa chiede Niso alla luna?

 >> pagina 351 

ANALIZZARE E INTERPRETARE

7. Secondo te, la prima parte del brano, dedicata alla descrizione della sortita e della strage compiuta dai due guerrieri troiani, rivela un gusto soprattutto

  • a patetico.
  • b macabro.
  • c lirico.
  • d tragico.


8. Perché, secondo te, le stelle sono definite da Niso consapevoli (v. 429)?


9. Il brano deve la sua struggente bellezza anche all’incantevole descrizione del contesto naturale, dominato dalla luna e dai boschi. Ricordi un altro fortunato notturno dell’epica classica? Che differenze noti tra i due brani?


10. Individua le similitudini presenti nel brano. Che funzione hanno, secondo te?

COMPETENZE LINGUISTICHE

11. Il linguaggio figurato. Al v. 331 si legge: col ferro squarcia il collo riverso (dell’auriga). Che cosa intende il poeta con la parola ferro? Di quale figura retorica si tratta?

  • a Similitudine.
  • b Metafora.
  • c Metonimia.
  • d Iperbato.


Individua altri impieghi simili della stessa parola nel brano.


12. I complementi. Ai vv. 340-341 si legge: le tenere pecore mute di terrore. Che complemento è di terrore?

  • a Materia.
  • b Denominazione.
  • c Specificazione.
  • d Causa.


Scrivi altre tre frasi usando lo stesso tipo di complemento introdotto dalla preposizione di.

PRODURRE

13. Scrivere per raccontare Ti è mai capitato un episodio in cui l’attaccamento a un amico ti ha ispirato un particolare coraggio in una circostanza sfavorevole? Scrivi un breve testo narrativo (massimo 20 righe) dedicato a un episodio che ti ha fatto capire il valore dell’amicizia.


14. Scrivere per confrontare Scrivi un breve testo (massimo 15 righe) per mettere in luce analogie e differenze tra la rappresentazione dell'amicizia che traspare da questo brano e quella che si trova nell'Iliade a proposito del rapporto tra Achille e Patroclo ( T7, p. 144).

SPUNTI DI RICERCA interdisciplinare

Storia / scienze

Virgilio riferisce la preghiera rivolta da Niso alla luna in un momento di grande disperazione. Il mondo romano considerava il satellite della Terra una divinità, spesso associata all’ambito delle manifestazioni di Diana. Con l’aiuto degli insegnanti di Storia e di Scienze fai una ricerca sul valore religioso che ha avuto la luna nella società romana e indica le reali influenze che essa esercita a livello astronomico sul nostro pianeta e sulla vita umana.

SPUNTI PER discutere IN CLASSE

L’episodio di Eurialo e Niso è uno dei capolavori che ci ha lasciato la letteratura classica sul tema dell’amicizia. Qual è la tua personale concezione dell’amicizia? Il filosofo illuminista Voltaire la definiva «un contratto tacito fra persone sensibili e virtuose»: sensibili perché un monaco, un solitario, può essere una persona onesta e vivere senza conoscere l’amicizia; virtuose perché i malvagi hanno solo dei complici, gli affaristi dei soci, i politici raccolgono dei faziosi, la maggior parte degli sfaccendati ha delle relazioni, i principi hanno dei cortigiani, ma solo gli uomini virtuosi hanno degli amici. Con l’aiuto dell’insegnante rifletti sul significato dell’amicizia, sugli interessi (dal divertimento sino alle imprese più difficili) e sui valori condivisi dagli amici.

La dolce fiamma - volume C
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