L’immagine virgiliana di Enea che fugge da Troia con il padre sulle spalle e il figlioletto al fianco si è fissata in modo pressoché indelebile nel nostro immaginario, immortalata anche dal genio di Gian Lorenzo Bernini, autore di un celebre gruppo scultoreo conservato nella Galleria Borghese a Roma. Tuttavia, Enea ha continuato a ispirare non solo le arti figurative, ma anche scrittori e poeti.
Ancora nel Novecento il poeta Giorgio Caproni (1912-1990), molto colpito da un monumento dedicato all’eroe situato in piazza Bandiera a Genova, ha intitolato una raccolta poetica Il passaggio di Enea. All’indomani della Seconda guerra mondiale, nel mezzo della distruzione causata dalle bombe alleate, Caproni ricorda che per un curioso miracolo nella piazza si ergeva ancora il monumento scolpito da Francesco Baratta, nei primi decenni del Settecento, raffigurante Enea con il vecchio Anchise sulle spalle e il piccolo Ascanio per mano. Anni dopo, il poeta avrebbe scritto:
«Io ho girato molte città d’Italia, ma Enea non l’ho conosciuto altrove. Perlomeno non ho incontrato l’unico Enea possibile, l’unico Enea veramente vivo nella sua solitudine e nella sua umanità. L’unico Enea insomma che meritava davvero un monumento in mezzo a una piazza, simbolo unico di tutta l’umanità moderna, in questo tempo in cui l’uomo è veramente solo sopra la terra con sulle spalle il peso d’una tradizione ch’egli tenta di sostenere mentre questa non lo sostiene più, e con per mano una speranza ancor troppo piccola e vacillante per potercisi appoggiare e che tuttavia egli deve portare a salvamento» (G. Caproni, Noi, Enea, «La fiera letteraria», 3 luglio 1949, anno IV, n. 27, p. 2).