Il verso è lo stesso dell’epica greca, l’esametro, pur con alcune differenze, come il ricorso all’allitterazione, fenomeno caratteristico della lingua latina; parimenti si conservano gli aspetti più tipici dell’epica omerica, tra i quali l’uso di epiteti e patronimici, mentre è ridotta la presenza di formule, meno utili in un’epoca di composizione scritta e di fruizione non necessariamente orale dell’opera letteraria. L’oggettività omerica, inoltre, cede il posto a una narrazione soggettiva. Rispetto ai poemi omerici, infatti, Virgilio come narratore tende a intervenire molto più spesso, facendo sentire la propria partecipazione emotiva e i propri giudizi sui fatti che riferisce, attraverso apostrofi rivolte ai personaggi ed esclamazioni enfatiche.
Le similitudini conservano una certa importanza per gettare un ponte tra il passato mitico della guerra e il mondo della natura e del presente, ma spesso vengono arricchite e rivissute dall’autore alla luce di una tradizione letteraria che non si limita a Omero, ma comprende anche l’epica greca successiva e l’epica latina. L’immagine già omerica degli uomini paragonati alle foglie, presente nel discorso del licio Glauco al greco Diomede nel libro VI dell’Iliade (vv. 146-149; ▶ T3, p. 121), si riaffaccia nell’Eneide (libro VI, vv. 305-312), ma con una significativa variante e in un contesto diverso. Alle foglie che cadono nei boschi con i primi freddi d’autunno sono accostate le anime che si affollano numerose sulle rive dell’Acheronte per essere traghettate da Caronte, il nocchiero della palude infernale: Qui tutta una folla ammassandosi sulle rive accorreva, / donne e uomini, corpi liberi dalla vita, / di forti eroi, fanciulli e non promesse fanciulle, / giovani messi sul rogo davanti agli occhi dei padri: tante così nei boschi, al primo freddo d’autunno, / volteggiano e cadono foglie, o a terra dal cielo profondo / tanti uccelli s’addensano, quando, freddo ormai, l’anno di là dal mare li spinge verso le terre del sole (trad. di R. Calzecchi Onesti). A creare un collegamento tra le due situazioni è il motivo della moltitudine, delle anime dei defunti e delle foglie. In Omero, invece, erano messe in risalto chiaroscurale da un lato la caduta delle foglie a causa del vento, dall’altro la loro rigenerazione in primavera, così da creare una prova naturale della necessità dell’avvicendarsi delle generazioni umane e della loro fugace precarietà. Il malinconico Virgilio opta piuttosto per una dimensione autunnale, focalizzata sul motivo della caduta, cui non si oppone alcuna rinascita primaverile. Per arricchire la similitudine, vi accosta un’ulteriore immagine, quella degli uccelli migratori, spinti a fuggire durante l’inverno verso i paesi assolati.
La bellezza della poesia dell’Eneide si riconosce anche in singoli versi, così ben riusciti da essere diventati proverbiali e da avere ispirato l’intera letteratura europea. Per esempio a Virgilio dobbiamo un verso come tacitae per amica silentia lunae («per gli amici silenzi della tacita luna», libro II, v. 255, trad. di L. Canali), che riecheggia, per esempio, nell’espressione leopardiana «silenziosa luna», nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. È la notte in cui la flotta greca torna di nascosto verso Troia, per partecipare alla presa della città iniziata dai guerrieri usciti dal cavallo di legno. L’idea di trasferire alla luna l’epiteto tacita, che competerebbe alla notte silenziosa, facendo così dell’astro un complice dell’impresa dei Greci, crea un nesso inedito tra nome e aggettivo, che umanizza la natura e dimostra la vena sentimentale e il genio di Virgilio.