4. Il tempo e lo spazio

4. IL TEMPO E LO SPAZIO

I riferimenti cronologici nell’Eneide sono scarsi e imprecisi: le sole informazioni deducibili riguardano gli anni, ben sette, compresi tra la caduta di Troia e l’arrivo di Enea a Cartagine, e la durata di alcuni eventi, come la visita agli Inferi, svoltasi in una sola giornata.

Le indicazioni temporali più frequenti, piuttosto, sono relative ai momenti della giornata o alle stagioni, ma si tratta di un tempo interiorizzato, funzionale alla descrizione di stati d’animo. Per esempio, un celebre notturno del libro IV (vv. 522 e sgg.) fa emergere il contrasto chiaroscurale tra il sonno tranquillo che avvolge gli animali e l’ansia che invece affligge Didone, innamorata di Enea. Nox erat («Era la notte»): bastano due parole dall’immensa capacità evocativa a ricreare una condizione emotiva.

All’indefinitezza sfumata del tempo si oppone, invece, la dettagliata documentazione degli spazi. La geografia dell’Eneide è meno vasta ma più precisa di quella dell’Odissea, antecedente illustre per la sua apertura alla dimensione del viaggio: Enea si muove dall’Asia Minore verso occidente e ognuna delle tappe del suo itinerario è identificabile con un luogo reale, fatta eccezione forse per gli Inferi, il cui accesso è tuttavia localizzato presso il lago d’Averno, a Cuma.

La prima tappa del viaggio dell’eroe è la Tracia, regione meridionale dei Balcani, prospiciente la costa asiatica su cui sorge Troia. Delo, dove Enea approda successivamente per consultare l’oracolo di Apollo, è l’isola centrale delle Cicladi, arcipelago che trae il proprio nome dalla disposizione circolare (in greco kyklos, “cerchio”) attorno a Delo stessa. L’itinerario mediterraneo prosegue con Creta, luogo della mitica nascita di Giove. Anche l’episodio mitologico delle Arpie è localizzato precisamente, presso le isole Strofadi, nel mar Ionio.

La realtà contemporanea fa irruzione nel poema con il passaggio ad Azio, luogo della vittoria nel 31 a.C. di Ottaviano su Antonio, ma anche il tempio di Minerva avvistato nel Salento rappresenta un riferimento geografico preciso. Il rapporto di Virgilio con la geografia del mito, fatto di rispetto per la tradizione ma anche di un suo parziale superamento, è chiarito ancora di più dalla prima tappa siciliana di Enea, sulla costa orientale dell’isola. I Troiani vedono da lontano Polifemo, ormai accecato, che lancia un grido mettendoli in fuga. L’autore colloca, in questo modo, il viaggio di Enea in un momento successivo a quello di Odisseo ed evita di soffermarsi su un episodio che aveva già avuto la sua gloria letteraria.

La seconda metà del poema è caratterizzata dai riferimenti alla geografia italica e laziale, in cui la precisione va di pari passo con il bisogno dell’autore di indicare le più antiche origini di centri e luoghi dell’Italia a lui contemporanea: ne sono un esempio Gaeta, che prende nome dalla nutrice di Enea, ivi sepolta, e capo Palinuro, così chiamato dal nome del timoniere troiano caduto in mare in quel tratto di costa.

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5. LA TRAMA

Dopo il proemio ( T1, p. 296), in cui Virgilio in prima persona definisce la materia del suo canto, la narrazione inizia in medias res: la dea Giunone, da sempre ostile ai Troiani, scatena una tempesta che colpisce Enea e il suo seguito, in viaggio da sette anni dopo la distruzione della città natale. Scampati al naufragio, l’eroe e l’equipaggio superstite approdano in maniera fortunosa sulle coste della Libia.

All’indomani dello sbarco, la dea Venere, madre di Enea, appare al figlio sotto le sembianze di una cacciatrice, rivelandogli di trovarsi a Cartagine, la città che una regina fenicia di nome Didone, esule da Tiro dopo che il fratello Pigmalione ha assassinato suo marito Sicheo, sta costruendo per il suo popolo. Enea, avvolto da una nube che lo rende invisibile, osserva i ferventi lavori di costruzione di Cartagine e assiste all’arrivo di Didone al tempio. Dopo aver constatato l’accoglienza benevola che la regina riserva ad alcuni compagni che credeva dispersi in mare, anch’egli manifesta la sua presenza. Didone invita gli stranieri nella propria reggia e indice un banchetto in loro onore. Venere, intanto, temendo gli inganni di Giunone, escogita un tranello per assicurarsi la benevolenza della regina: fa assumere a Cupido, dio dell’amore, le sembianze del figlioletto di Enea, Ascanio, e accende di passione il cuore della sovrana (libro I).

Durante il convivio Didone chiede a Enea di raccontare le sue peripezie. Un dolore indicibile, regina, tu vuoi che rinnovi: il lungo flashback dell’eroe inizia proprio dalla caduta di Troia  1 . Enea narra di Ulisse, dell’inganno del cavallo di legno ( T2, p. 301), delle profezie inascoltate di Laocoonte e di Cassandra, della morte del re Priamo e dell’incontro fortuito con Elena, che è tentato di uccidere per vendicare i tanti lutti di cui la ritiene responsabile; e ancora, della fuga precipitosa ( T3, p. 310) con il padre Anchise e il figlio Ascanio, della perdita della moglie Creusa (libro II).

Il racconto continua: lasciata la patria dopo aver costruito una flotta di venti navi, i Troiani salpano alla volta della Tracia  2 . Qui tuttavia, dopo aver compiuto i riti di fondazione di una nuova città, Enea assiste a un funesto presagio: mentre strappa i rami di una pianta di mirto per adornare un altare, vede gocce di sangue nero colare dalle fronde e ode la voce di Polidoro, il più giovane dei figli di Priamo. Questi gli racconta di essere stato tradito e assassinato da Polimestore,

re della regione, che gli avrebbe dovuto offrire protezione in cambio di un ricco tesoro. Commosso e inorridito dalla triste sorte di Polidoro, Enea rende omaggio al defunto e abbandona la terra maledetta. Raggiunge dunque l’isola di Delo  3 , dove l’oracolo di Apollo gli rivela la sua missione: per fondare una nuova città e una nuova stirpe, egli deve cercare l’“antica madre”. Credendo si tratti dell’isola dove era nato Teucro, capostipite dei Troiani, Enea si dirige a Creta  4 , sconvolta però da una terribile pestilenza. I Penati, le divinità protettrici della famiglia, gli appaiono in sogno e gli svelano che l’“antica madre” è in realtà l’Italia, da cui proviene il mitico Dardano.

I Troiani riprendono così il mare. Colpiti da una tempesta, approdano alle isole Strofadi  5 , dove mostri con la testa di donna e il corpo di uccello, le Arpie, insozzano le loro mense e fanno funeste profezie. Da lì si spostano ad Azio  6  e poi a Butroto, nell’Epiro  7 : qui incontrano Andromaca, vedova di Ettore e ora sposa di Eleno, un sacerdote di Apollo che fornisce loro preziose informazioni per raggiungere la meta. Grazie ai suoi consigli, i Troiani sfuggono a varie insidie, tra cui i mostri marini Scilla e Cariddi e il ciclope Polifemo; raggiungono quindi Drepano  8 , in Sicilia, dove Anchise muore. Da lì ripartono e vengono colpiti dalla tempesta che li fa giungere proprio a Cartagine  9  (libro III).

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Con la fine del racconto di Enea, si chiude il flashback e la narrazione riprende il normale ordine cronologico. Didone sente il cuore ardere di passione per l’eroe: confessa i propri sentimenti alla sorella Anna, dichiarandosi pronta – pur tra mille remore – a tradire il voto di fedeltà pronunciato sulla tomba del marito Sicheo ( T4, p. 317).

Giunone e Venere si accordano per favorire l’unione tra Enea e Didone. Durante una battuta di caccia i due, sorpresi da un temporale, riparano all’interno di una grotta e si abbandonano alla passione. Subito la Fama, mostro alato da mille occhi e mille lingue, diffonde la notizia raggiungendo anche i pretendenti che la regina ha respinto, tra cui Iarba, re dei Getuli. Quest’ultimo, non sopportando di essere scavalcato da uno straniero, invoca la vendetta di Giove: il padre degli dèi invia così Mercurio per ricordare a Enea la sua missione e per ingiungergli di lasciare Cartagine.

Seppur a malincuore, l’eroe troiano arma la flotta di nascosto perché non ha il coraggio di comunicare a Didone la sua partenza imminente. La regina, scoperto il piano, lo affronta disperata ( T5, p. 324): gli ricorda il loro amore e lo prega almeno di ritardare il viaggio, ma Enea non cede. Distrutta per la perdita dell’uomo che ama, e ormai convinta di non avere alternativa al suicidio per lavare la vergogna di aver violato la fedeltà al defunto marito, Didone fa preparare un rogo; all’alba, mentre le navi troiane si allontanano dal porto, maledice il traditore e si uccide ( T6, p. 331; libro IV).

Il viaggio conduce la flotta troiana di nuovo in Sicilia: qui Enea indice giochi funebri in onore del padre Anchise a un anno dalla sua scomparsa. Nel frattempo Giunone istiga le donne troiane che, stanche per il continuo peregrinare in mare, bruciano le navi: l’incendio è domato solo grazie a un temporale mandato da Giove. Anchise intanto appare in sogno al figlio e gli chiede di scendere agli Inferi (libro V).

Enea riprende la navigazione e sbarca in Italia, in Campania, nei pressi di Cuma 10, dove si trova l’antro della Sibilla (libro VI). Questa preannuncia all’eroe le sanguinose guerre che lo attenderanno e poi lo conduce nell’Ade. Giunti all’Acheronte – il fiume infernale dove si aggirano le anime in pena, i cui corpi giacciono insepolti (tra cui il suo nocchiero Palinuro) – i due incontrano Caronte, il nocchiero dell’oltretomba che sbarra loro il passaggio: solo quando gli mostrano il ramo d’oro sacro a Proserpina, regina degli Inferi, Caronte permette l’ingresso. Superato anche Cerbero – l’infernale cane a tre teste, placato dalla Sibilla con una focaccia di miele e sonnifero – Enea e la sacerdotessa percorrono l’Antinferno, dove si trovano anche le anime dei neonati e dei suicidi: tra esse, l’eroe scorge Didone e cerca di parlarle, ma la regina gli volge sdegnosamente le spalle, lasciandolo a piangere disperato. Oltrepassato anche il Tartaro, sede delle anime dei malfattori, finalmente Enea raggiunge il padre, che gli spiega il destino delle anime nell’aldilà e gli mostra i suoi discendenti romani, tra cui Romolo, Cesare e Augusto, che saranno creatori di un impero universale ( T7, p. 336; libro VI).

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Anchise congeda il figlio che, rincuorato, risale con la Sibilla nel mondo dei vivi. Dopo una breve sosta a Gaeta 11 – dove muore Caieta, la nutrice dell’eroe – i Troiani giungono nel Lazio, alla foce del Tevere 12. All’inizio della seconda metà del poema, Virgilio invoca di nuovo una Musa, questa volta Erato, protettrice della poesia amorosa, per indicare che proprio per l’amore di una donna si scatenerà la guerra imminente.

Enea, consapevole di essere giunto al termine del suo peregrinare, invia subito un’ambasciata al re del luogo, Latino, che lo accoglie benevolmente e gli offre in moglie sua figlia Lavinia, memore di un oracolo che aveva previsto le nozze della figlia con un principe straniero e la nascita di una stirpe gloriosa.

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Ma Giunone, contrariata nel vedere la prosperità dei Troiani, richiama la furia Alletto affinché porti discordia prima nell’animo di Amata, moglie di Latino, e poi in quello di Turno, re dei Rutuli, al quale Lavinia era stata promessa.

Il primo pretesto utile scatena la guerra: solo il re Latino si mostra contrario al conflitto; è Giunone a prendere le sue veci e spalancare le porte del tempio di Giano, gesto che a Roma indicava l’inizio ufficiale di una guerra (libro VII).

Enea necessita di un esercito: in sogno gli appare il dio Tiberino che gli suggerisce di allearsi con Evandro, principe di una cittadina del Palatino. Questi, proveniente da una regione greca dell’Arcadia, mostra all’eroe il Palatino, il Campidoglio e altri luoghi destinati a una grande storia; gli offre dunque un contingente di truppe guidate dal figlio Pallante. Gli suggerisce inoltre di cercare altri alleati anche tra gli Etruschi, nemici del feroce tiranno Mesenzio, alleato di Turno. Nel frattempo il dio Vulcano, su richiesta di Venere, forgia uno scudo per Enea, sul quale raffigura le scene della futura storia di Roma (libro VIII).

Informato dell’assenza di Enea, Turno decide di attaccare il campo troiano. Vista la difficile situazione, due valorosi amici troiani, Eurialo e Niso, si avventurano in una pericolosa sortita notturna per raggiungere Enea e informarlo del pericolo; penetrando di nascosto tra le linee nemiche, fanno strage dei nemici addormentati, ma vengono sorpresi e uccisi ( T8, p. 344; libro IX).

Intanto Enea, a capo dei contingenti arcadi ed etruschi, fa ritorno e i combattimenti riprendono ancor più sanguinosi sulle rive del Tevere. Particolarmente commoventi sono le morti di Pallante, ucciso da Turno, e di Lauso, figlio di Mesenzio, colpito da Enea, che sconfigge anche il padre (libro X).

Viene concordata una tregua per seppellire i caduti (libro XI). Nel corso di un consiglio del regno, sono rivolte critiche a Turno, che annuncia l’aiuto di un nuovo alleato, il popolo dei Volsci. A guidarlo è la giovane e valorosa Camilla, che dimostra il suo coraggio, ma viene precocemente uccisa mentre insegue un nemico per impossessarsi delle sue armi. L’evento determina il ritiro dei Volsci e l’avanzata dei Troiani (libro XI).

Turno, allora, temendo per il suo esercito, sfida a duello Enea (libro XII). Questi sigla con Latino le condizioni di pace che dovranno seguire lo scontro: se vincerà Turno, i Troiani si ritireranno nella città di Evandro; in caso contrario, Troiani e Latini fonderanno un unico, nuovo popolo.

Giunone interviene suscitando Giuturna, la ninfa sorella di Turno, affinché trovi un modo per violare il patto: questa ci riesce, con uno stratagemma, e lo scontro

Ferdinand Bol, Enea alla corte di Latino, 1661.

riprende furiosamente. Enea viene ferito ma, grazie a un miracoloso medicamento portatogli da Venere, può tornare presto sul campo di battaglia e scontrarsi con Turno ( T9, p. 353). Giove e Giunone assistono allo scontro e stringono un patto solenne: la dea abbandona Turno al suo destino, a condizione che il nuovo popolo che nascerà dall’unione di Troiani e Latini porti usanze, lingua e nome di questi ultimi. Enea ferisce con la lancia il suo avversario e lo finisce con furore, vendicando Pallante. La guerra è terminata. I Troiani si possono stabilire nel Lazio (libro XII). 

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6. I PERSONAGGI

L’Eneide è il poema di un vincitore, Enea, che nella sua vita ha subìto però molte prove dolorose: esule da Troia, vagabondo nel Mediterraneo alla ricerca di una nuova patria, egli conosce il significato della sconfitta. Molti dei personaggi virgiliani devono il loro fascino proprio al destino di vinti della storia cui li condanna spesso un imprudente coraggio giovanile, complice del Fato. Per esempio, la vergine Camilla, giovane alleata di Turno, è uccisa a tradimento da un guerriero etrusco; Pallante, figlio di Evandro, è ucciso da Turno; Lauso, giovane figlio di Mezenzio, cade per mano di Enea; i guerrieri troiani Eurialo e Niso muoiono durante una sortita notturna al campo nemico.

Nella caratterizzazione dei personaggi dell’Eneide prevale, pertanto, una dimensione privata e sentimentale, ancora più evidente nelle figure parentali, che in parte li distanzia dagli eroi omerici: il re Evandro è disperato alla notizia della morte del giovane figlio; persino il tiranno etrusco Mezenzio, odiato da tutti, dimostra un tale amore verso il figlio Lauso che non può accettarne la morte e cade lui stesso in battaglia per vendicarlo. Le donne non sono da meno nella manifestazione del dolore: valga l’esempio di Anna, sorella devota di Didone, o quello dell’inconsolabile madre di Eurialo.

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Il poema offre una galleria particolarmente ricca di personaggi femminili: dopo la scomparsa della moglie troiana Creusa, spicca la passionale Didone, che si uccide per amore del pio Enea, costretto a obbedire ai piani del destino più che al proprio cuore. Infine, la moglie di Latino, Amata, molto legata al giovane Turno, primo pretendente della figlia Lavinia, si dà la morte quando ha notizia dell’assedio finale della sua città.
Ciò non toglie che alla fine sui sentimenti vincano le dure leggi della guerra, che comportano la necessità di distinguere vincitori e vinti: a Enea che sta per concedere pietà a Turno nel duello finale si riaffaccia il ricordo dell’invendicato Pallante, che lo spinge a vibrare il colpo mortale sull’avversario. Pur a malincuore, Virgilio obbedisce così alle leggi del genere epico, che non ammette la possibilità del perdono. Non a caso l’ultimo verso del poema è dedicato all’anima di Turno morente, che fugge “indignata” nel regno delle ombre. Come ha scritto lo studioso Alfonso Traina, il lamento finale esprime evidentemente la voce di tutti i giovani morti nell’Eneide, ma anche l’ansia del mondo antico, che nella morte vede solo il transito verso un opaco ed evanescente mondo di ombre.

Gli dèi

 Alletto: una delle Furie, invocata da Giunone per seminare discordia tra Latini, Troiani e Rutuli.

 Giove: padre degli dèi, figlio di Saturno (il greco Crono), è il dio della luce, del cielo chiaro e del fulmine. Spesso ricorda a Enea i suoi doveri verso il destino.

 Giunone: moglie di Giove, anche lei è schierata contro i Troiani per via del giudizio di Paride. È la protettrice del matrimonio e spesso viene rappresentata come gelosa e vendicativa.

 Minerva: la greca Atena, nata dalla testa di Giove, ha anche l’epiteto di “Pallade”. È schierata contro i Troiani, dopo l’offesa ricevuta da Paride, che le ha preferito Venere.

 Nettuno: dio del mare, fratello di Giove, ha il potere di comandare i flutti, scatenare temporali e far scaturire sorgenti con un colpo di tridente. Un antico rancore determina il suo odio verso i Troiani.

 Venere: dea dell’amore e della bellezza, secondo il mito sarebbe nata dalla schiuma del mare sull’isola di Cipro. È la madre di Enea, che protegge nel corso di tutto il poema. La sua simpatia per i Troiani risale al giudizio di Paride, che l’aveva preferita a Minerva e Giunone.

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Troiani e alleati

 Anchise: padre di Enea, pur inizialmente restio, segue il figlio nella fuga da Troia, ma muore in Sicilia. Indica al figlio in visita agli Inferi le anime dei discendenti, tra cui Romolo, Cesare e Augusto.

 Ascanio o Iulo: figlio di Enea e Creusa, è destinato a diventare il capostipite della gens Iulia, da cui discenderà Ottaviano Augusto.

 Creusa: prima moglie di Enea, a cui il Fato impedisce di seguire il marito nella fuga.

 Enea: principe troiano, figlio di Venere e Anchise, è il protagonista del poema, destinato dal Fato a portare la stirpe troiana a Roma per fondare una nuova civiltà.

 Eurialo e Niso: guerrieri troiani legati da un fortissimo legame di amicizia, organizzano una sortita notturna per avvertire Enea dell’imminente arrivo di truppe latine, ma sono colti dai nemici e uccisi.

 Evandro: re proveniente dalla regione greca dell’Arcadia e stabilitosi sul Palatino, regna con bontà introducendo nel Lazio la scrittura, la musica e il culto degli dèi.

 Laocoonte: sacerdote troiano di Apollo, si oppone all’introduzione del cavallo di legno nelle mura, ma viene ucciso con i figli da un mostro marino.

 Palinuro: timoniere di Enea, viene gettato in mare dal dio Sonno nei pressi del promontorio campano che poi prese il suo nome.

 Pallante: figlio di Evandro, viene ucciso da Turno, che si impossessa della sua cintura. Il ricordo di Pallante, suscitato dalla vista della cintura, determina la decisione di Enea di punire Turno con la morte nel duello finale.

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LA VOCE DEI MODERNI

Dante e Virgilio
La fortuna moderna dell’Eneide è legata anche al nome di Dante Alighieri (1265-1321), che fece di Virgilio la sua guida per il viaggio nei primi due regni oltremondani, tributando al poeta latino un omaggio destinato ad amplificare notevolmente la presenza del poema nella cultura occidentale. Da allora, i nomi di Dante e Virgilio costituiscono un binomio intramontabile. Nel canto I della Divina Commedia Virgilio, mandato da Beatrice, si presenta al poeta smarritosi nella selva del peccato, la celebre «selva oscura», per condurlo attraverso i cerchi dell’Inferno e le cornici del Purgatorio. Dante riconosce in Virgilio la sua guida letteraria e morale:

Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,

tu se’ solo colui da cu’ io tolsi

lo bello stilo che m’ha fatto onore.


(Inferno, I, vv. 85-87)

Nel canto II, Dante chiede lumi a Virgilio circa il senso del viaggio cui è chiamato da Dio e fa riferimento ai precedenti illustri ai quali non osa compararsi, tra cui proprio Enea:

Tu dici che di Silvio il parente,

corruttibile ancora, ad immortale

secolo andò, e fu sensibilmente.


(Inferno, II, vv. 13-15)

La differenza, esplicitata a chiare lettere nei versi successivi (vv. 16-24), è che Enea aveva un alto compito assegnatogli dalla Provvidenza, la fondazione di Roma ( T7, p. 336), capitale di un impero universale e poi della cristianità, in quanto sede del papato. Il viaggio di Dante, invece, è voluto da Dio per permettere al poeta di avere visione della sorte ultraterrena dell’umanità a lui contemporanea: la sua esperienza nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso è necessaria perché il poeta possa salvarsi e predicare la verità, agevolando la redenzione politica e religiosa del mondo cristiano.

Però, se l’avversario d’ogne male

cortese i fu, pensando l’alto effetto

ch’uscir dovea di lui e ’l chi e ’l quale,


non pare indegno ad omo d’intelletto;

ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero

ne l’empireo ciel per padre eletto:


la quale e ’l quale, a voler dir lo vero,

fu stabilita per lo loco santo

u’ siede il successor del maggior Piero.


(Inferno, II, vv. 16-24)

Alla 52esima Biennale l’artista russo di origine armena Georgy Frangulyan (n. 1945) ha installato nella laguna di Venezia la scultura che evoca il viaggio di Dante e Virgilio nel regno dei morti: vi allude la mano del poeta latino, che indica l’isola di San Michele, dove si trova il cimitero della città.

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Gli Italici

 Amata: moglie di Latino e madre di Lavinia, ama Turno come un figlio e si oppone alle nozze di Lavinia con Enea.

 Camilla: giovane guerriera volsca, interviene a favore dei Rutuli, ma viene uccisa a tradimento da un etrusco alleato di Enea.

 Latino: re dei Latini, padre di Lavinia. Accoglie in maniera ospitale i Troiani di Enea ed è contrario alla guerra tra gli Italici e i Troiani.

 Lauso: giovane figlio di Mezenzio, viene ucciso da Enea, che gli tributa grandi onori.

 Lavinia: figlia di Latino, promessa sposa di Turno, è però destinata da un’antica profezia a sposarsi con uno straniero. Con Enea fonderà la città di Lavinio.

 Mezenzio: tiranno etrusco, famoso per la sua empietà, viene ucciso in duello da Enea.

 Turno: re dei Rutuli, promesso sposo di Lavinia prima dell’arrivo dei Troiani. Nel duello finale viene ucciso da Enea, che non gli perdona l’uccisione del giovane Pallante.

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7. LO STILE

Se l’Iliade e l’Odissea erano il prodotto di una lunga tradizione aedica affidata perlopiù all’oralità, l’Eneide nasce invece come il capolavoro di un poeta che ha la possibilità di leggere su rotoli di papiro la letteratura precedente, di scrivere, correggersi e riscrivere: il pieno dominio della scrittura è la vera grande novità dell’epica latina, più recente di quella greca. La diversa situazione compositiva spiega, pertanto, le differenze di stile rispetto ai poemi omerici, che rendono il poema virgiliano per molti aspetti più simile all’idea di opera letteraria che abbiamo noi, vista come risultato di un laborioso processo di raffinamento formale.

Il verso è lo stesso dell’epica greca, l’esametro, pur con alcune differenze, come il ricorso all’allitterazione, fenomeno caratteristico della lingua latina; parimenti si conservano gli aspetti più tipici dell’epica omerica, tra i quali l’uso di epiteti e patronimici, mentre è ridotta la presenza di formule, meno utili in un’epoca di composizione scritta e di fruizione non necessariamente orale dell’opera letteraria. L’oggettività omerica, inoltre, cede il posto a una narrazione soggettiva. Rispetto ai poemi omerici, infatti, Virgilio come narratore tende a intervenire molto più spesso, facendo sentire la propria partecipazione emotiva e i propri giudizi sui fatti che riferisce, attraverso apostrofi rivolte ai personaggi ed esclamazioni enfatiche.

Le similitudini conservano una certa importanza per gettare un ponte tra il passato mitico della guerra e il mondo della natura e del presente, ma spesso vengono arricchite e rivissute dall’autore alla luce di una tradizione letteraria che non si limita a Omero, ma comprende anche l’epica greca successiva e l’epica latina. L’immagine già omerica degli uomini paragonati alle foglie, presente nel discorso del licio Glauco al greco Diomede nel libro VI dell’Iliade (vv. 146-149;  T3, p. 121), si riaffaccia nell’Eneide (libro VI, vv. 305-312), ma con una significativa variante e in un contesto diverso. Alle foglie che cadono nei boschi con i primi freddi d’autunno sono accostate le anime che si affollano numerose sulle rive dell’Acheronte per essere traghettate da Caronte, il nocchiero della palude infernale: Qui tutta una folla ammassandosi sulle rive accorreva, / donne e uomini, corpi liberi dalla vita, / di forti eroi, fanciulli e non promesse fanciulle, / giovani messi sul rogo davanti agli occhi dei padri: tante così nei boschi, al primo freddo d’autunno, / volteggiano e cadono foglie, o a terra dal cielo profondo / tanti uccelli s’addensano, quando, freddo ormai, l’anno di là dal mare li spinge verso le terre del sole (trad. di R. Calzecchi Onesti). A creare un collegamento tra le due situazioni è il motivo della moltitudine, delle anime dei defunti e delle foglie. In Omero, invece, erano messe in risalto chiaroscurale da un lato la caduta delle foglie a causa del vento, dall’altro la loro rigenerazione in primavera, così da creare una prova naturale della necessità dell’avvicendarsi delle generazioni umane e della loro fugace precarietà. Il malinconico Virgilio opta piuttosto per una dimensione autunnale, focalizzata sul motivo della caduta, cui non si oppone alcuna rinascita primaverile. Per arricchire la similitudine, vi accosta un’ulteriore immagine, quella degli uccelli migratori, spinti a fuggire durante l’inverno verso i paesi assolati.

La bellezza della poesia dell’Eneide si riconosce anche in singoli versi, così ben riusciti da essere diventati proverbiali e da avere ispirato l’intera letteratura europea. Per esempio a Virgilio dobbiamo un verso come tacitae per amica silentia lunae («per gli amici silenzi della tacita luna», libro II, v. 255, trad. di L. Canali), che riecheggia, per esempio, nell’espressione leopardiana «silenziosa luna», nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. È la notte in cui la flotta greca torna di nascosto verso Troia, per partecipare alla presa della città iniziata dai guerrieri usciti dal cavallo di legno. L’idea di trasferire alla luna l’epiteto tacita, che competerebbe alla notte silenziosa, facendo così dell’astro un complice dell’impresa dei Greci, crea un nesso inedito tra nome e aggettivo, che umanizza la natura e dimostra la vena sentimentale e il genio di Virgilio.

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Le tecniche narrative

Fabula e intreccio

Non c’è coincidenza tra fabula e intreccio. La storia inizia in medias res e presenta vari flashback, dei quali il più lungo è nei libri II-III (racconti di Enea a Didone), e anticipazioni (per esempio sulla nascita di Roma).

Spazio

Enea percorre il Mediterraneo da Troia verso il Lazio, facendo varie tappe lungo il percorso (Tracia, Delo, Creta, isole Strofadi, Epiro, Sicilia, Cartagine, Cuma).

Tempo

L’azione copre un periodo di diversi mesi, ma mancano riferimenti cronologici precisi. Dalla fuga di Enea da Troia all’arrivo a Cartagine trascorrono sette anni.

Narratore

È esterno e onnisciente, ma partecipa emotivamente ai fatti che racconta, con una soggettività estranea all’epica omerica.

Cede la parola a un narratore interno di secondo grado, Enea, nei libri II-III.

Stile

• Limitata presenza di formule.

• Ricorso alle similitudini.

• Toni sentimentali e soggettivi.

Verifica delle conoscenze

1. In quale epoca visse Virgilio?
2. Quali sono i principali temi trattati nell’Eneide?
3. In che cosa consiste la pietas?
4. Che cosa si intende per “motivo encomiastico” nell’Eneide?
5. Com’è strutturato il poema?
6. Che differenze si possono osservare tra la geografia dell’Eneide e quella dell’Odissea?
7. Quali aspetti prevalgono nella caratterizzazione dei personaggi virgiliani?
8. Sul piano stilistico, che cosa avvicina l’Eneide ai poemi omerici? Che cosa, invece, la distanzia?

La dolce fiamma - volume C
La dolce fiamma - volume C
Epica