1. L’autore: Virgilio

1. L'AUTORE: VIRGILIO

A differenza dell’Iliade e dell’Odissea, punto d’arrivo di una tradizione poetica secolare, l’Eneide rappresenta il frutto del lavoro di un solo autore, la cui esistenza è storicamente documentata: Publio Virgilio Marone.

Nato nel 70 a.C. ad Andes, piccolo centro della pianura Padana non distante da Mantova, identificato con l’odierna frazione di Pietole, Virgilio era figlio di una famiglia di agricoltori, di condizioni relativamente modeste, che gli permise tuttavia di andare a studiare a Cremona e a Milano. Attorno al 50 a.C. si trasferì a Roma per frequentare le scuole di retorica e intraprendere la professione di avvocato, che si rivelò però poco congeniale alla sua natura timida e riservata. Giovanissimo, cominciò piuttosto ad appassionarsi alla filosofia e alla poesia, che nella cultura del tempo era ispirata soprattutto all’amore e alla natura.

Quando rientrò a Mantova, infatti, cominciò a impegnarsi nell’ideazione e nella stesura di una raccolta di dieci componimenti in esametri, le Bucoliche o Ecloghe: il primo termine, di origine greca, allude all’ambientazione pastorale, mentre il secondo alla natura di carmi scelti, formalmente raffinati. Le Bucoliche si presentano per la maggior parte in forma di dialogo tra pastori e mandriani e riflettono un idea­le di vita semplice e agreste, seppure vi si trovino anche riferimenti ad argomenti politici e sociali, che risentono del periodo appena trascorso delle guerre civili.

Trasferitosi a Napoli, alla scuola dei filosofi Filodemo e Sirone, Virgilio apprese i precetti della filosofia epicurea, una scuola di pensiero che si proponeva di alleviare i dolori e le paure dell’esistenza umana attraverso la ricerca del piacere come fonte di felicità. Frattanto nel 39 a.C., ormai trentenne, ottenne dalla pubblicazione delle Bucoliche la prima grande notorietà, che gli permise l’accesso al circolo di Mecenate. Intellettuale e uomo d’affari di origine etrusca, questi iniziava allora a costituire un circolo culturale di poeti e artisti – tra cui Orazio, lo stesso Virgilio, Properzio – ai quali garantiva agiatezza economica in cambio del sostegno alla politica dell’amico Ottaviano, destinato a diventare di lì a poco imperatore con il titolo di Augusto (“accresciuto”, protetto dagli dèi).

Nel clima politico movimentato degli anni precedenti la battaglia di Azio, che nel 31 a.C. decretò la sconfitta di Antonio e Cleopatra e la vittoria di Ottaviano, Virgilio continuò a scrivere versi su temi ispirati alla vita dei campi: le Georgiche, pubblicate nel 29 a.C., contenevano indicazioni sulla coltivazione della terra e l’allevamento degli animali, in particolare le api. Virgilio dimostrava così la sua sintonia con la politica culturale di Ottaviano, tesa a riscoprire le tradizioni contadine italiche e a recuperare la morale sana e frugale delle epoche antiche.

I tempi ormai erano maturi per l’ideazione del suo capolavoro, l’Eneide, un poema epico che doveva fondere la gloriosa tradizione letteraria greca, inaugurata da Omero, con la più giovane poesia latina. La storia di Enea, recuperata dal mito troiano, serviva a nobilitare l’origine dei Romani, ricollegandola a quella dei Troiani, esuli a seguito della presa della loro città. Giunto in Italia dopo mille peregrinazioni, infatti, Enea avrebbe fondato Lavinio e, alcuni anni dopo, suo figlio Ascanio avrebbe fatto edificare la più recente Alba Longa, città natale di Romolo, fondatore di Roma. Ascanio, inoltre, aveva anche il nome di Iulo, in quanto capostipite della gens Iulia, di cui faceva parte Ottaviano Augusto.

La celebrazione della Roma repubblicana e di quella augustea procedevano, dunque, di pari passo, senza limitare o vincolare l’estro creativo di Virgilio, sinceramente convinto che la restaurazione della repubblica fosse l’unica soluzione per uno Stato come quello romano prostrato da un secolo di guerre civili.

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Ormai prossimo al completamento della sua più grande fatica letteraria, all’età di 52 anni Virgilio intraprese un viaggio in Grecia per visitare i luoghi percorsi da Enea che aveva descritto nei suoi versi. Tuttavia, l’incontro ad Atene con Augusto di ritorno dall’Oriente lo convinse a tornare anzitempo. Colpito da una forte insolazione e ammalatosi gravemente, fu costretto a fermarsi a Brindisi, dove morì pochi giorni dopo, nel 19 a.C.

L’Eneide non era ancora conclusa, come dimostrano alcuni versi incompleti, e il suo autore aveva disposto che, nel caso in cui non ne avesse terminato la composizione, il manoscritto venisse bruciato. Fu Augusto stesso a impedirlo. I resti mortali di Virgilio furono invece sepolti a Napoli nell’area oggi nota come Parco Vergiliano a Piedigrotta. Sulla tomba fu posto il celebre epitaffio: Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua, rura, duces («Mi generò Mantova, la Calabria [il Salento] mi rapì, ora mi custodisce Partenope [Napoli]; cantai i pascoli [le Bucoliche], i campi [le Georgiche], i condottieri [l’Eneide]»).

Una lettura emozionante

Ecco un soggetto molto amato in epoca neoclassica: alla corte dell’imperatore Augusto, Virgilio sta leggendo l’Eneide, in particolare il libro VI, in cui si racconta del viaggio di Enea nel regno dei morti, dove riceve notizie sul futuro di Roma. Il momento è fortemente drammatico: Virgilio sta recitando i versi in cui viene narrata la fine di Marcello, nipote prediletto di Augusto. Osserva le reazioni della corte: la madre di Marcello, Ottavia, sorella di Augusto, sviene al ricordo della morte del figlio celebrata dal poeta, Augusto interrompe la lettura dell’opera, mentre sua moglie Livia (ritenuta da alcuni artefice della morte di Marcello) resta impassibile.

La dolce fiamma - volume C
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