T4 - L’incontro con Nausicaa (libro VI, vv. 85-250)

T4

L’incontro con Nausicaa

  • Tratto da Odissea, libro VI, vv. 85-250

Abbandonata l’isola di Calipso, Odisseo naviga vari giorni su una zattera finché non giunge nei pressi di una nuova terra. Travolto dalle onde di una tempesta scatenata da Poseidone, è aiutato dalla ninfa Ino, che gli procura un velo per sostenersi in mezzo ai marosi. Finalmente salvo, approda su una spiaggia alla foce di un fiume.

Odisseo è arrivato a Scheria, isola dei Feaci, popolo che vive in pace e prosperità sotto la guida di re Alcinoo. La dea Atena, nel frattempo, insinua in un sogno alla figlia di Alcinoo, Nausicaa, il proposito di andare al fiume a lavare le vesti. Chiesto e ottenuto il permesso del padre, la fanciulla si reca al fiume con le ancelle: terminati i loro doveri, le ragazze si dedicano al bagno, al pasto e al gioco. Proprio il lancio maldestro di una palla sveglia Odisseo naufrago, che giace non distante.

85    E quando giunsero alla corrente del fiume, bellissima,

dov’erano i lavatoi perenni, molt’acqua

bella sgorgava, da lavare anche vesti assai sporche,

allora le mule sciolsero, dal carro staccandole,

e lungo il fiume vorticoso le spinsero

90    a brucar dolce gramigna; e loro dal carro le vesti

sulle braccia prendevano e le portavano nell’acqua bruna,

le calpestavano velocemente nei botri, sfidandosi a gara.

Lavate che l’ebbero, portato via tutto il sudicio,

in fila le stesero lungo la riva del mare, là dove più

95    la ghiaia sul lido il mare lavava.

Poi, lavate anche loro e unte con olio lucente,

presero il pasto sulle rive del fiume, e aspettavano

che al raggio del sole le vesti asciugassero.

Quando furon sazie di cibo, ella e le ancelle,

100 giocarono a palla, gettando via i veli del capo;

e fra loro Nausicaa braccio bianco il canto intonava.

Come va per i monti Artemide urlatrice

o sul Taigeto eccelso o su per l’Erimanto,

godendo di rapide cerve o cinghiali;

105 con lei le ninfe, le figlie di Zeus egìoco,

abitatrici dei campi, scherzano; gode in cuore Letò;

lei più alto di tutte leva il capo e la fronte,

e si distingue assai bene, eppure tutte son belle:

così tra le ancelle si distingueva la giovane vergine.

110 Ma quando fu per tornarsene a casa,

aggiogate le mule, piegate le belle vesti,

altro allora pensò la dea Atena occhio azzurro,

perché Odisseo si svegliasse, vedesse la giovinetta begli occhi,

e lei dei Feaci alla città lo guidasse.

115 La palla dunque lanciò la regina a un’ancella,

fallì l’ancella, scagliò la palla nel gorgo profondo.

Quelle un grido lungo gettarono: e si svegliò Odisseo luminoso,

e seduto pensava nell’anima e in cuore:

«Ohimè, di che uomini ancora arrivo alla terra?

120 forse violenti, selvaggi, senza giustizia,

oppure ospitali, e han mente pia verso i numi?

Come di giovanette mi è giunto un grido femmineo;

ninfe, che vivon sui picchi scarpati dei monti,

nelle sorgenti dei fiumi, nei pascoli erbosi?

125 Oppure sono vicino a esseri umani parlanti?

Via, dunque, io stesso vedrò e lo saprò».

Così dicendo, di sotto ai cespugli sbucò Odisseo glorioso,

dal folto un ramo fronzuto con la mano gagliarda

stroncò per coprire le vergogne sul corpo.

130 E mosse come leone nutrito sui monti, sicuro della sua forza,

che va tra il vento e la pioggia; i suoi occhi

son fuoco. Tra vacche si getta, tra pecore,

tra cerve selvagge; e il ventre lo spinge,

in cerca di greggi, a entrare anche in ben chiuso recinto.

135 Così Odisseo tra le fanciulle bei riccioli stava

per mescolarsi, nudo: perché aveva bisogno.

Pauroso apparve a quelle, orrido di salsedine,

fuggirono qua e là per le lingue di spiaggia.

Sola, la figlia d’Alcìnoo restò, perché Atena

140 le infuse coraggio nel cuore, e il tremore delle membra le tolse.

Dritta stette, aspettandolo: e fu in dubbio Odisseo

se, le ginocchia afferrandole, pregar la fanciulla occhi belli,

o con parole di miele, fermo così, da lontano,

pregarla che la città gli insegnasse e gli desse una veste,

145 Così, pensando, gli parve cosa migliore,

pregar di lontano, con parole di miele,

ché a toccarle i ginocchi non si sdegnasse in cuore la vergine,

subito dolce e accorta parola parlò:

«Io mi t’inchino, signora: sei dea o sei mortale?

150 Se dea tu sei, di quelli che il cielo vasto possiedono,

Artemide, certo, la figlia del massimo Zeus,

per bellezza e grandezza e figura mi sembri.

Ma se tu sei mortale, di quelli che vivono in terra,

tre volte beati il padre e la madre sovrana,

155 tre volte beati i fratelli: perché sempre il cuore

s’intenerisce loro di gioia, in grazia di te,

quando contemplano un tal boccio muovere a danza.

Ma soprattutto beatissimo in cuore, senza confronto,

chi soverchiando coi doni, ti porterà a casa sua.

160 Mai cosa simile ho veduto con gli occhi,

né uomo, né donna: e riverenza a guardarti mi vince.

In Delo una volta, così, presso l’ara di Apollo,

vidi levarsi un fusto nuovo di palma:

sì, giunsi anche là; e mi seguiva innumerevole esercito,

165 via in cui m’era destino aver tristi pene.

Così, ammirando, fui vinto dal fascino

a lungo, perché mai crebbe tale pianta da terra,

come te, donna, ammiro, e sono incantato e ho paura tremenda

ad abbracciarti i ginocchi: ma duro strazio m’accora.

170 Ieri scampai dopo venti giornate dal livido mare:

fin qui l’onda sempre m’ha spinto e le procelle rapaci,

dall’isola Ogigia; e qui m’ha gettato ora un dio,

certo perché soffra ancora dolori: non credo

che finiranno, ma molti ancora vorranno darmene i numi.

175 Ma tu, signora, abbi pietà: dopo molto soffrire,

a te per prima mi prostro, nessuno conosco degli altri

uomini, che hanno questa città e questa terra.

La rocca insegnami e dammi un cencio da mettermi addosso,

se avevi un cencio da avvolgere i panni, venendo.

180 A te tanti doni facciano i numi, quanti in cuore desideri,

marito, casa ti diano, e la concordia gloriosa

a compagna; niente è più bello, più prezioso di questo,

quando con un’anima sola dirigono la casa

l’uomo e la donna: molta rabbia ai maligni,

185 ma per gli amici è gioia, e loro han fama splendida».

Gli replicò Nausicaa braccio bianco:

«Straniero, non sembri uomo stolto o malvagio,

ma Zeus Olimpio, lui stesso, divide fortuna tra gli uomini,

buoni e cattivi, come vuole a ciascuno:

190 a te ha dato questo, bisogna che tu lo sopporti.

Ora però, che sei giunto alla nostra terra, alla nostra città,

né panno ti mancherà, né altra cosa,

quanto è giusto ottenga il meschino, che supplica.

La rocca t’insegnerò e dirò il nome del popolo.

195 I Feaci possiedono terra e città,

io son la figlia del magnanimo Alcìnoo.

che tra i Feaci regge la forza e il potere».

Disse, e gridò alle ancelle bei riccioli:

«Fermatevi ancelle: dove fuggite alla vista d’un uomo?

200 Forse un nemico credete che sia?

Non esiste uomo vivente, né mai potrà esistere,

che arrivi al paese delle genti feace

portando guerra: perché noi siam molto cari agli dèi.

Viviamo in disparte, nel mare flutti infiniti,

205 lontani, e nessuno viene fra noi degli altri mortali.

Ma questi è un misero naufrago, che c’è capitato,

e dobbiamo curarcene: vengon tutti da Zeus

gli ospiti e i poveri; e un dono, anche piccolo, è caro.

Via, date all’ospite, ancelle, da mangiare e da bere,

210 e nel fiume lavatelo, dov’è riparo dal vento».

Disse così; si fermarono quelle, fra loro chiamandosi,

e fecero sedere al riparo Odisseo, come ordinava

Nausicaa, figlia del magnanimo Alcìnoo;

vicino gli posero manto, e tunica e veste,

215 e nell’ampolla d’oro gli diedero il limpido olio,

e l’invitavano a farsi lavare nelle correnti del fiume.

Disse però alle ancelle Odisseo luminoso:

«Ancelle, state in disparte, mentre da solo

mi laverò la salsedine dalle spalle e con l’olio

220 m’ungerò tutto: da molto l’olio è lontano dal corpo.

Davanti a voi non mi laverò: mi vergogno

di stare nudo tra fanciulle bei riccioli».

Così diceva: s’allontanarono esse e alla fanciulla lo dissero.

Intanto Odisseo luminoso si lavava nel fiume

225 dal sale che il dorso e le spalle larghe copriva,

e dalla testa toglieva lo sporco del mare instancabile.

Come fu tutto lavato, unto d’olio abbondante,

vestì le vesti che gli donò la giovane vergine;

e Atena, la figlia di Zeus, venne a renderlo

230 più grande e robusto a vedersi; dal capo

folte fece scender le chiome, simili al fiore del giacinto.

Come quando agemina l’oro e l’argento un artista

esperto, che Efesto e Pallade Atena istruirono

in tutte l’arti, compie lavori pieni di grazia;

235 così gli versò grazia sulle spalle e sul capo.

Andò allora a sedersi in disparte sulla riva del mare,

splendente di grazia e bellezza, ne stupì la fanciulla,

e subito disse alle ancelle bei riccioli:

«Sentitemi, ancelle braccio bianco, che dica una cosa:

240 non senza i numi tutti, che stanno in Olimpo,

quest’uomo è venuto tra i Feaci divini.

Prima m’era sembrato che fosse brutto davvero,

e ora somiglia ai numi che il cielo ampio possiedono.

Oh se un uomo così potesse chiamarsi mio sposo,

245 abitando fra noi, e gli piacesse restare!

Su, date all’ospite, ancelle, da mangiare e da bere».

Disse così, e quelle ascoltarono molto, e obbedirono:

posero accanto a Odisseo cibo e vino.

E lui bevve e mangiò, Odisseo costante, glorioso,

250 avidamente: da molto tempo era digiuno di cibo.


Omero, Odissea, libro VI, vv. 85-250, trad. di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino 1989

 >> pagina 211 

A tu per tu con il testo

Risvegliarsi sulla spiaggia di un’isola sconosciuta e rendersi conto di essere circondati da ragazze che giocano a palla alla foce di un fiume: che cosa deve aver provato Odisseo, in quel momento, senza la possibilità di coprirsi con indumenti adeguati, bisognoso di aiuto ma vergognoso della propria nudità? Omero mette di fronte il maturo eroe dell’intelligenza e la bellezza incantevole di una ragazza nel fiore dell’adolescenza. Una situazione che avrebbe potuto assumere una brutta piega – con la fuga di Nausicaa spaventata, per esempio – acquista invece la delicatezza della poesia più pura, che celebra il dialogo tra due età e due mondi così diversi, ma reciprocamente attratti l’uno dall’altra. In fondo, Nausicaa è molto più che il simbolo di una bellezza timida, in bilico tra un presente spensierato e un futuro di sogni matrimoniali: la sua benevola semplicità incarna i valori universali dell’accoglienza e della civiltà.

 >> pagina 212

Analisi

Dopo aver lasciato Calipso, che lo aveva trattenuto sull’isola di Ogigia per ben sette anni, è destino che Odisseo, scampato al naufragio, sia salvato da un’altra donna, Nausicaa, la giovanissima figlia del re dei Feaci Alcinoo. La ragazza, intimidita e attratta allo stesso tempo dallo straniero apparso alla foce del fiume, rappresenta la bellezza e il candore dell’adolescenza. La situazione iniziale, ambientata in un ridente paesaggio campestre, ha tutto il sapore di una scena idillica; del corteo di amiche che lavano i panni e poi si divertono al gioco della palla (vv. 85-101), Nausicaa è regina incontrastata (vv. 102-109).

Rispetto a Calipso, ninfa egoista ed esperta delle arti dell’amore, la figlia di Alcinoo affascina piuttosto per il candore generoso di ragazza giovane e inesperta. Colpita dal carisma e dalla maturità dello straniero, dimostra un coraggio insolito, infuso in lei da Atena (v. 140), che la porta ad avvicinarsi all’uomo sconosciuto, insieme a una certa femminilità, spontanea ed esuberante, tipica di quella grazia acerba che si coglie nel trapasso dall’adolescenza all’età adulta.

Appena risvegliato dopo il naufragio, sorpreso dalle voci delle ragazze (vv. 119-126), Odisseo sottopone al vaglio della ragione le possibilità che gli si prospettano e arriva alla soluzione più adatta alla circostanza. Ricorre dunque alla metis, la sua proverbiale intelligenza pratica, e decide di scartare l’idea di afferrare supplice le ginocchia della fanciulla, gesto inoltre non degno di un nobile quale egli è e che avrebbe imposto a Nausicaa un contatto fisico troppo intimo con un estraneo, peraltro così mal ridotto (vv. 141-142).

Preferisce quindi attuare un tentativo di captatio benevolentiae, teso cioè a disporre benevolmente la sua ascoltatrice, intessendo a distanza un discorso di lode della bellezza e delle virtù della giovane, simile a una dea, con il quale riesce a ingraziarsi il suo favore (vv. 149-185). Le parole scelte dall’eroe dimostrano un’eloquenza raffinatissima, che colpisce il cuore della ragazza: Mai cosa simile ho veduto con gli occhi, / né uomo, né donna: e riverenza a guardarti mi vince. / In Delo una volta, così, presso l’ara di Apollo, / vidi levarsi un fusto nuovo di palma (vv. 160-163). Odisseo paragona Nausicaa a un giovane fusto di palma dalla straordinaria bellezza visto una volta a Delo, l’isola sacra di Apollo: ogni ragazza greca avrebbe desiderato ricevere un complimento di questo tipo da un uomo forte e valoroso.

Forte della sua esperienza del mondo, l’eroe rivela la sua profonda conoscenza dell’animo umano: avvertendo la purezza virginale di Nausicaa, le augura una vita matrimoniale felice, vissuta all’insegna della concordia, la più grande virtù della vita domestica (vv. 180-185). Facendo tesoro della sua consumata abilità oratoria, cattura ulteriormente la sua benevolenza magnificando la felicità dell’uomo che avrebbe avuto la fortuna di averla per moglie.

La risposta della principessa dei Feaci è caratterizzata da toni magnanimi, propri della figlia di un re: dopo essersi presentata (vv. 187-197), invita le amiche a non avere paura e ad adoperarsi per aiutare il naufrago, protetto da Zeus come tutti i poveri e gli stranieri (vv. 199-210). Da un punto di vista narrativo, svolge appieno la funzione di aiutante, necessaria a restituire all’ospite derelitto lo statuto di eroe.

L’eleganza della scena è anche negli accorgimenti messi in atto per riprodurre il naturale imbarazzo provato dall’uomo maturo in prossimità di giovani fanciulle. Odisseo, per esempio, manifesta il suo pudore, chiedendo di potersi lavare in disparte e non essere visto dalle ancelle (vv. 218-222). Una volta lavato e reso più bello dall’intervento di Atena, che gli rende le chiome simili al fiore del giacinto (v. 231), l’eroe, ricolmo di grazia sulle spalle e sul capo, si mostra nel pieno della sua bellezza virile e suscita l’ammirazione di Nausicaa, che in cuor suo già lo vorrebbe come sposo (vv. 239-246).

 >> pagina 213

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Perché Nausicaa si è recata al fiume con le ancelle?


2. Che cosa determina l’incontro tra Odisseo e la fanciulla?


3. Perché Odisseo decide di non gettarsi supplice alle ginocchia di Nausicaa?

  • a Per non spaventare la ragazza.
  • b Perché non ha bisogno del suo aiuto.
  • c Perché teme sia armata.
  • d Per paura delle ancelle.


4. Che cosa rivela Nausicaa alle ancelle dopo il colloquio con lo straniero? Trova i versi relativi nel brano.

ANALIZZARE E INTERPRETARE

5. Come è strutturato il discorso di Odisseo? Individua nel brano le varie parti e mettile in ordine.

  • Presentazione di sé e delle ultime vicende.
  • Captatio benevolentiae (il momento in cui l’emittente cerca di predisporre benevolmente l’ascoltatore).
  • Richiesta di aiuto.
  • Augurio.


6. Come viene presentata l’isola dai Feaci nelle parole di Nausicaa?


7. Qual è l’augurio finale rivolto da Odisseo a Nausicaa?


8. Individua e trascrivi sul quaderno gli epiteti riferiti a: Odisseo, Nausicaa, le ancelle e il mare.


9. Il brano contiene quattro ampie similitudini: individuale.


10. Nausicaa cita per ben due volte l’azione di Zeus: a che proposito? Come viene descritto il ruolo del padre degli dèi?

COMPETENZE LINGUISTICHE

11. Lessico. L’aggettivo meschino (v. 193) offre un esempio di come una parola possa con il tempo cambiare significato, andando incontro a un fenomeno noto in linguistica come slittamento semantico. L’accezione originaria dell’aggettivo è “infelice”, “sventurato”, come nel brano proposto. Nell’uso comune odierno, invece, significa piuttosto “scarso”, “insufficiente”, “inadeguato”, “misero”: un pranzo meschino è un pranzo povero, un pensiero meschino è moralmente basso. Con l’aiuto del vocabolario individua altre espressioni comuni contenenti questo aggettivo e scrivi con esse almeno cinque frasi.


12. Le figure retoriche. Il makarismos. Nel magnificare la felicità dei genitori, dei fratelli e del futuro marito di Nausicaa (vv. 154-159), Odisseo si esibisce in un topos della retorica classica, chiamato makarismos, letteralmente “elogio della felicità”, consistente nell’indicare la fortunata condizione di qualcuno o di una categoria intera. Con l’aiuto dell’insegnante e di una ricerca in internet, cerca altri casi celebri dell’uso di questa figura retorica e scrivi tre esempi ispirati alla contemporaneità.

PRODURRE

13. Scrivere per esprimere Immagina di trovarti al posto di Odisseo. Come ti saresti comportato? Saresti stato in grado di intessere, improvvisando, un discorso come quello dell’eroe greco davanti a una fanciulla sconosciuta? Scrivi un breve testo in prima persona su come avresti affrontato la situazione (massimo 20 righe).

SPUNTI PER discutere IN CLASSE

L’arrivo di uno straniero dal mare è un tema tornato di grande attualità negli ultimi anni in Italia e in Europa, a causa degli sbarchi di migliaia di profughi provenienti da paesi in guerra o vessati da profonde crisi economiche. La reazione di Nausicaa è improntata all’ospitalità e all’accoglienza. Discuti con l’insegnante e i tuoi compagni del valore dell’ospitalità presso gli antichi Greci, facendo riferimento al passo in cui la fanciulla afferma che ospiti e poveri vengono da Zeus (vv. 207-208)

La dolce fiamma - volume C
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