T9 - C’è fine anche al dolore: Achille e Priamo (libro XXIV, vv. 468-620)

T9

C’è fine anche al dolore: Achille e Priamo

  • Tratto da Iliade, libro XXIV, vv. 468-620

Dopo la morte di Ettore, vengono celebrati i funerali di Patroclo e istituiti in suo onore giochi funebri, che vedono una grande partecipazione dell’esercito acheo (libro XXIII). Frattanto Achille continua a fare scempio del cadavere di Ettore, che trascina con il carro intorno alla tomba dell’amico. Mosso a compassione, Zeus decide di chiedere a Teti di recarsi dal figlio per pregarlo di restituire il corpo dell’avversario al padre Priamo. Il re troiano viene raggiunto da Iride, messaggera degli dèi, che lo esorta a fare visita ad Achille con un ricco riscatto (libro XXIV).

Detto così, ritornò al vasto Olimpo

Ermete; e Priamo saltò a terra dal cocchio

470 e lasciò Ideo: quello rimase a tenere

cavalli e mule, e il vecchio entrò dritto

dove sedeva Achille caro a Zeus: lo trovò

solo, sedevano in disparte i compagni: ma due,

l’eroe Automèdonte e Alcimo rampollo d’Ares,

475 s’affaccendavano standogli intorno: aveva appena finito

di mangiare e di bere: c’era lì ancora la tavola.

Entrò non visto il gran Priamo, e standogli accanto

strinse fra le sue mani i ginocchi d’Achille, baciò quella mano

tremenda, omicida, che molti figliuoli gli uccise.

480 Come quando grave colpa ha travolto un uomo,

che, ucciso in patria qualcuno, fugge in altro paese,

in casa d’un ricco, stupore afferra i presenti;

così Achille stupì, vedendo Priamo simile ai numi,

e anche gli altri stupirono e si guardarono in faccia.

485 Ma Priamo prendendo a pregare gli disse parola:

«Pensa al tuo padre, Achille pari agli dèi,

coetaneo mio, come me sulla soglia tetra della vecchiaia,

e lo tormentano forse i vicini, standogli intorno,

perché non c’è nessuno che il danno ed il male allontani.

490 Pure sentendo dire che tu ancora sei vivo,

gode in cuore, e spera ogni giorno

di vedere il figliuolo tornare da Troia.

Ma io sono infelice del tutto, che generai forti figli

nell’ampia Troia, e non me ne resta nessuno.

495 Cinquanta ne avevo quando vennero i figli dei Danai,

e diciannove venivano tutti da un seno,

gli altri altre donne me li partorirono in casa:

ma Ares furente ha sciolto i ginocchi di molti,

e quello che solo restava, che proteggeva la rocca e la gente,

500 tu ieri l’hai ucciso, mentre per la sua patria lottava,

Ettore… Per lui vengo ora alle navi dei Danai,

per riscattarlo da te, ti porto doni infiniti.

Achille, rispetta i numi, abbi pietà di me,

pensando al padre tuo: ma io son più misero,

505 ho patito quanto nessun altro mortale,

portare alla bocca la mano dell’uomo che ha ucciso i miei figli!»

Disse così, e gli fece nascere brama di piangere il padre:

allora gli prese la mano e scostò piano il vecchio;

entrambi pensavano e uno piangeva Ettore massacratore

510 a lungo, rannicchiandosi ai piedi d’Achille,

ma Achille piangeva il padre, e ogni tanto

anche Patroclo; s’alzava per la dimora quel pianto.

Ma quando Achille glorioso si fu goduto i singhiozzi,

passò dal cuore e dalle membra la brama,

515 s’alzò dal seggio a un tratto e rialzò il vecchio per mano,

commiserando la testa canuta, il mento canuto,

e volgendosi a lui parlò parole fugaci:

«Ah misero, quanti mali hai patito nel cuore!

E come hai potuto alle navi dei Danai venire solo,

520 sotto gli occhi d’un uomo che molti e gagliardi

figliuoli t’ha ucciso? Tu hai cuore di ferro.

Ma via, ora siedi sul seggio e i dolori

lasciamoli dentro nell’animo, per quanto afflitti:

nessun guadagno si trova nel gelido pianto.

525 Gli dèi filarono questo per i mortali infelici:

vivere nell’amarezza: essi invece son senza pene.

Due vasi son piantati sulla soglia di Zeus,

dei doni che dà, dei cattivi uno e l’altro dei buoni.

A chi mescolando ne dia Zeus che getta le folgori,

530 incontra a volte un male e altre volte un bene;

ma a chi dà solo dei tristi, lo fa disprezzato,

e mala fame lo insegue per la terra divina,

va errando senza onore né dagli dèi né dagli uomini.

Così a Peleo doni magnifici fecero i numi

535 fin dalla nascita; splendeva su tutti i mortali

per beata ricchezza; regnava sopra i Mirmìdoni,

e benché fosse mortale gli fecero sposa una dea.

Ma col bene, anche un male gli diede il dio, ché non ebbe

nel suo palazzo stirpe di figli nati a regnare,

540 un figlio solo ha generato, che morrà presto: e io non posso

aver cura del vecchio perché lontano dalla mia patria

qui in Troia siedo, a te dando pene e ai tuoi figli.

E anche tu, vecchio – sappiamo – fosti felice prima:

quanto paese di sopra limita Lesbo, la sede di Macaro,

545 e di sotto la Frigia e lo sconfinato Ellesponto,

su tutti, raccontano, o vecchio, per figli e ricchezze splendevi.

Da che questo male, invece, i figli del cielo ti diedero,

sempre battaglie vi sono intorno alla rocca e stragi d’uomini.

Sopporta, dunque, e non gemere senza posa nel cuore:

550 nulla otterrai piangendo il figlio, non lo farai

rivivere, potrai piuttosto patire altri mali».

E il vecchio Priamo pari ai numi rispose:

«Non farmi sedere sul seggio, figlio di Zeus, finché senza cure

Ettore giace straziato nella tua tenda, ma subito

555 rendimelo, che possa vederlo: e accetta il riscatto

abbondante che porto: e tu possa goderne, e tornare

nella tua patria terra, tu che mi lasci

vivere ancora, veder la luce del sole».

Ma guardandolo bieco Achille piede rapido disse:

560 «Non m’irritare ora, o vecchio; son io che voglio

renderti Ettore, perché messaggera mi venne da Zeus

la madre che mi partorì, figlia del vecchio marino.

Anche te, o Priamo – lo so in cuore e non mi sfugge –

guidò qualcuno dei numi alle rapide navi degli Achei.

565 Non oserebbe venire un mortale, neppure nel fior dell’età,

nel nostro campo, né sfuggirebbe alle guardie, né il chiavistello

della mia porta potrebbe spostare senza fatica.

Perciò, fra tante pene, non mi gonfiare il cuore di più,

ch’io non ti lasci stare, o vecchio, neppure nella tenda,

570 benché supplice, e violi il comando di Zeus!»

Disse così, e il vecchio tremò e obbedì alla parola.

Come leone il Pelide balzò alla porta della sua tenda,

non solo, i due scudieri andarono con lui,

l’eroe Automèdonte e Àlcimo, che soprattutto

575 Achille onorava tra i suoi, dopo la morte di Patroclo.

Sciolsero essi, dunque, dal giogo mule e cavalli,

condussero dentro l’araldo, il banditore del vecchio,

e su un seggio l’assisero; dal carro belle ruote

tolsero il prezzo infinito del corpo d’Ettore,

580 ma lasciarono due lini e un ben tessuto chitone,

per restituire coperto il corpo da ricondurre a casa.

Poi, chiamate le schiave, Achille ordinò di lavarlo, d’ungerlo,

ma in altro luogo, ché Priamo non lo vedesse,

e nel cuore angosciato non trattenesse più l’ira

585 alla vista del figlio, e l’animo si gonfiasse ad Achille,

e lo uccidesse, violasse il comando di Zeus.

Quando l’ebber lavato le schiave, l’ebbero unto con l’olio,

intorno gli misero il bel lino e la tunica,

e sul feretro, alzandolo, Achille stesso lo pose;

590 poi i compagni lo sollevarono sul carro polito.

Allora gemette e chiamò a nome il caro compagno:

«O Patroclo, non indignarti con me, se saprai,

pur essendo nell’Ade, che ho reso Ettore luminoso

al padre: non indegno riscatto m’ha offerto,

595 e anche di questo io ti farò la parte che devo!»

Disse e tornò nella tenda Achille glorioso,

sedette nel seggio bellissimo da cui s’era alzato,

contro l’altra parete, e disse a Priamo parole:

«T’è reso il figlio, o vecchio, come hai pregato,

600 è steso nel feretro: all’apparir dell’aurora

lo vedrai, lo porterai via. Ora pensiamo alla cena.

Anche Niobe chioma bella pensò a mangiare,

a cui dodici figli morirono in casa,

sei fanciulle e sei giovani nel fior dell’età.

605 Questi li uccise Apollo con l’arco d’argento,

irato contro Niobe, l’altre Artemide urlatrice,

perché a Latona bel viso Niobe osò fargli uguale:

la dea – diceva – due figli fece, lei molti ne partorì.

Ma quelli ch’eran due soli tutti i molti le uccisero.

610 E giacquero nove giorni nel sangue, non c’era nessuno

per seppellirli, ché in pietre aveva cambiato la gente il Cronide.

Al decimo giorno li seppellirono infine i Celesti.

Ebbene anche lei pensò al cibo quando fu stanca di pianto.

Ora là fra le rocce, sui monti solinghi,

615 nel Sìpilo, ove sono – raccontano – i letti delle divine

ninfe, che danzano intorno all’Acheloo,

là, fatta pietra dai numi, cova il suo strazio.

Pensiamo noi pure, dunque, vecchio glorioso,

al cibo; poi piangerai il caro figlio,

620 ricondotto in città; ti costerà molto pianto».


Omero, Iliade, libro XXIV, vv. 468-620, trad. di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino 2005

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A tu per tu con il testo

L’esperienza della perdita di una persona cara, soprattutto di un familiare, rappresenta probabilmente il culmine del dolore umano. La descrizione del toccante incontro tra Priamo e Achille per la restituzione del corpo martoriato di Ettore è un esempio dell’umanità degli antichi Greci, in cui diplomazia, compassione e arte retorica collaborano a creare una pagina di distensione rispetto alle vicende sanguinose del conflitto. I due uomini si rispettano, nonostante l’enorme distanza e i motivi di rancore che li separano. Inoltre Priamo è più anziano di Achille: questo suscita una certa riverenza anche nello spietato eroe greco, che mostra al suo cospetto una nota di comprensione e di deferenza.

Achille, il massacratore, accetta il riscatto portato da Priamo e rinuncia a nascondere la commozione. Nel suo cuore pare spegnersi l’ossessione della vendetta: consolando il vecchio nemico, sembra quasi parlare a ogni uomo afflitto, ricordando che dopo il dolore è lecito (e dovuto) tornare a vivere. La sua è una lezione di amaro pessimismo, ma anche di struggente umanità, laddove indica il solo antidoto alla sofferenza nella necessità di sopportarla, sfogandola senza finzioni, con virile rassegnazione.

Analisi

Afflitto per la perdita di Ettore, Priamo vince il proprio orgoglio regale e, scortato dal dio Ermes, si reca alla tenda di Achille, fuori dalle mura. Si svolge a questo punto una delle scene di maggiore commozione del poema: l’anziano re di Troia si prostra supplice al cospetto dell’uomo che lo ha privato del suo figlio più valoroso, quello di cui andava più fiero. Lo stupore di Achille è indescrivibile: nella tenda c’è ancora la tavola, il pasto si è appena concluso e l’apparizione improvvisa del re di Troia, in ginocchio, ai piedi del suo più grande avversario sorprende tutti i presenti. Le prime parole che rivolge l’anziano Priamo probabilmente valgono più di ogni riscatto: Pensa al tuo padre, Achille pari agli dèi (v. 486). A differenza di Peleo che ancora può sperare nel ritorno del figlio, a lui è toccata l’irrimediabile sventura di vedere morti i più valorosi tra i figli che aveva.

Lo spietato Achille, questa volta, si lascia andare alle lacrime. La figura dell’anziano e rispettato re di Troia, dai capelli ormai bianchi, suscita in lui il ricordo del genitore, ora solo, anziano e lontano, in patria. L’affetto filiale ridestato in lui si traduce, così, in un sentimento di compassione per il padre del suo nemico. Anche il mondo guerriero dell’Iliade ammette la possibilità che un cuore feroce possa ammorbidirsi e che due nemici piangano insieme le sorti infelici dell’uomo.

Nella reazione di Achille c’è un sentimento misto di compassione e ammirazione verso il vecchio re troiano: Ah misero, quanti mali hai patito nel cuore! / E come hai potuto alle navi dei Danai venire solo, / sotto gli occhi d’un uomo che molti e gagliardi / figliuoli t’ha ucciso? Tu hai cuore di ferro (vv. 518-521). L’eroe greco, pertanto, non vuole infierire sull’anziano e si fa anzi narratore di un mito (vv. 527-533) che riassume la concezione pessimistica dell’esistenza degli antichi Greci: Zeus distribuisce agli uomini beni misti a mali, oppure solo mali. Così anche suo padre Peleo ebbe doni splendidi dagli dèi, felicità e ricchezza, persino una dea per moglie, ma anche una grande infelicità, come quella di avere un solo figlio, Achille, destinato a morire presto lontano dalla patria. Dal momento che la felicità è effimera, l’uomo può solo imparare a sopportare i mali connaturati alla sua condizione: l’impressione è che Achille voglia ridimensionare la propria posizione di forza, consapevole della rapida incostanza della sorte e che nessuno è per sempre vincitore.

Eppure, anche in una situazione come questa, Achille ha bisogno di rimarcare la propria posizione di superiorità. Quando Priamo insiste nell’avere subito indietro il corpo del figlio, rifiutandosi di sedersi (vv. 553-558), l’eroe greco, offeso nel vedere disprezzata la propria ospitalità, si innervosisce e minaccia di non obbedire al comando di Zeus di restituire Ettore (Perciò, fra tante pene, non mi gonfiare il cuore di più, / ch’io non ti lasci stare, o vecchio, neppure nella tenda, / benché supplice, e violi il comando di Zeus!, vv. 568-570). Il re per un attimo trema: l’apparente distensione iniziale cede di nuovo alla durezza dei rapporti umani in tempo di guerra e l’irascibilità di Achille riprende vigore.

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Nonostante lo scatto improvviso, Achille rammenta che la restituzione del corpo di Ettore è volere degli dèi e solo allora ordina che le spoglie del nemico siano sistemate e lavate. Lo scempio cui lo ha sottoposto sin dall’uccisione ha lasciato segni evidenti e Achille non vuole che Priamo lo veda in queste condizioni (vv. 572-590). Una sola remora ancora lo trattiene: il ricordo dell’amico Patroclo (O Patroclo, non indignarti con me, se saprai, / pur essendo nell’Ade, che ho reso Ettore luminoso / al padre: non indegno riscatto m’ha offerto, / e anche di questo io ti farò la parte che devo!, vv. 592-595). Ma Achille sa superare anche quest’ultimo ostacolo: i ricchi doni ricevuti da Priamo (v. 579) sono degni del valore sociale del compagno.

Una volta reso il corpo, Achille invita il re troiano a condividere con lui il pasto, raccontandogli il bellissimo mito di Niobe: privata da Apollo e Artemide dei suoi dodici figli, anche lei si ricordò del cibo, quando fu stanca di piangere dopo nove giorni di lutto (vv. 602-620). Il suo esempio serve a consolare Priamo e a dare un senso alla quotidianità del nutrirsi, anche dopo tanto dolore.

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. In che modo Priamo cerca di muovere a compassione Achille?


2. Per quali diverse ragioni piangono i due?


3. Riassumi in un breve testo (massimo 15 righe) il discorso di Achille dal v. 518 al v. 551.


4. Perché Priamo non vuole sedersi sul seggio?


5. Come viene reso il corpo di Ettore a Priamo?


6. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.


a) Il riscatto portato da Priamo è ininfluente ai fini della restituzione del corpo di Ettore.

  • V   F

b) Il riscatto per il corpo di Ettore è adeguato al valore sociale di Patroclo.

  • V   F

ANALIZZARE E INTERPRETARE

7. Attraverso quale figura retorica è descritta la reazione di Achille alla vista di Priamo?


8. Che cosa accomuna Achille e Priamo?


9. Con quale gesto estremo Priamo cerca la pietà di Achille?


10. Il riferimento alle due giare di Zeus contiene un invito a

  • a ribellarsi alle prove del destino.
  • b accettare con dignità l’ineluttabilità del destino.
  • c darsi la morte invece che vivere nell’infelicità.
  • d costruirsi da soli il proprio destino.


11. Tu hai cuore di ferro (v. 521), dice Achille a Priamo. Di che figura retorica si tratta?


12. Secondo te, a partire dall’ira del libro I sino alla resa del corpo di Ettore, si può parlare di una maturazione di Achille nel poema?

 >> pagina 170 

COMPETENZE LINGUISTICHE

13. Storia della lingua. Il termine brama (v. 507 e v. 514), “desiderio”, è formato dal verbo bramare, derivato dal germanico brammon, “urlare”, “muggire”, “ruggire”, nel senso di urlare dal desiderio, in riferimento agli animali in calore. Il verbo condivide, infatti, la stessa radice di bramire, indicante il verso del cervo.

Scrivi cinque frasi usando il verbo bramare o il sostantivo brama.


14. Lessico. Associa il sinonimo corretto a ciascuno dei seguenti termini.

  • a) polito
  • b) feretro
  • c) araldo
  • d) canuto
  • 1) bianco
  • 2) levigato
  • 3) bara
  • 4) messaggero

15. I complementi. Nel v. 605, Questi li uccise Apollo con l’arco d’argento, qual è il complemento oggetto? Cogli un errore nella formulazione della domanda?

PRODUZIONE

16. Scrivere per raccontare Riscrivi l’episodio dell’incontro tra Priamo e Achille abbandonando il punto di vista del narratore onnisciente e assumendo quello di:

a) un narratore esterno con focalizzazione interna su Achille (massimo 10 righe);

b) un narratore interno protagonista, in questo caso Priamo (massimo 10 righe).

SPUNTI PER discutere IN CLASSE

Le lacrime versate insieme dal vecchio Priamo e dallo spietato Achille ci conducono in un mondo in cui l’espressione delle emozioni avveniva secondo modalità molto diverse dalle nostre. Come viene concepito il pianto nella nostra società? Perché è considerato disdicevole in un uomo? Discuti con i compagni sul valore che il pianto assume nell’espressione e nello sfogo del dolore.

MITO E CIVILTÀ

Il lutto e le lacrime degli eroi

Il mito dell’inconsolabile Niobe dimostra il grande valore che avevano il pianto e lo sfogo del dolore nel mondo greco. A differenza delle società moderne, il pianto nell’antichità non era considerato segno di debolezza, ma era anzi una manifestazione autentica e necessaria di contrizione. Gli eroi omerici piangono spesso e in un modo particolarmente intenso: si rotolano a terra, si strappano i capelli, versano fiumi di lacrime. Come spiega la studiosa Eva Cantarella (n. 1936), gli eroi non piangono «solo per vicende private e in privato: piangono in pubblico, davanti all’intera popolazione, nel corso delle riunioni dell’assemblea. Agamennone si alza per parlare all’esercito panacheo1 “versando pianto come una fonte acqua bruna, / che versa l’acqua scura da una rupe scoscesa” (Il. IX, 14-15). Piange a dirotto il capo supremo degli Achei, creando qualche imbarazzo nei traduttori e nei commentatori. Nel tentativo di salvare l’onore eroico, nel 1715, Alexander Pope2, traducendo l’Iliade, commentava che “non c’è debolezza negli eroi che piangono. […] Le sue (parla di Achille) sono lacrime di rabbia e di sdegno”. La virilità degli eroi è salva: la rabbia è indiscutibilmente virtù eroica» (E. Cantarella, Itaca. Eroi, donne, potere tra vendetta e diritto, Feltrinelli, Milano 2013).

Le pagine omeriche relative alla restituzione del corpo di Ettore e ai suoi funerali sono preziose anche per la conoscenza delle usanze funebri nel mondo greco. L’antropologia ha indagato alcune costanti dei riti che seguono alla scomparsa di un membro di una comunità: in genere, dopo la celebrazione delle esequie, è importante l’osservanza di un periodo di penitenza e sobrietà, che può essere anche molto lungo. Nel mondo omerico, in onore di un eroe defunto vengono spesso celebrati giochi funebri, che comprendono varie specialità, come la corsa, il pugilato, il tiro con l’arco. Il ricordo non si limita a questo: Achille, per esempio, promette a Patroclo morto una parte del riscatto ottenuto da Priamo, probabilmente per seppellirla con lui o per offrirla in sacrificio alla memoria dell’amico.

La dolce fiamma - volume C
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