Kostantinos Kavafis è il più noto tra i poeti della letteratura greca moderna. Nato ad Alessandria d’Egitto nel 1863, condusse una vita appartata nella città del delta del Nilo, dove lavorò come interprete al Ministero egiziano dei lavori pubblici per circa trent’anni. La sua produzione poetica, limitata ad appena 154 componimenti, è ispirata ai miti dell’antichità classica e della civiltà bizantina, ma è anche il frutto della meditazione su alcuni temi universali, come il piacere dei sensi, la nostalgia, la malinconia dovuta al trascorrere del tempo. Chiuso nella penombra del suo appartamento ad Alessandria, Kavafis evocò nei suoi versi, solitamente concisi, molti dei personaggi e delle atmosfere della civiltà greca, ottenendo una fama destinata ad accrescersi dopo la morte, avvenuta nel 1933.
Il pianto dei cavalli di Achille descritto da Omero nell’Iliade colpì la sensibilità di Kavafis: egli tradusse e reinterpretò il passo omerico, insistendo sul senso di annientamento che si accompagna alla morte di Patroclo. Oltre ai cavalli immortali di Achille, che Zeus si pente di aver esposto al dolore degli uomini, la vera protagonista della poesia di Kavafis è la sventura eterna (v. 22) della morte, il grande mistero che grava sulla felicità impossibile degli uomini.