T7 - La morte di Patroclo e il pianto di Achille (libro XVI, vv. 783-867

T7

La morte di Patroclo e il pianto di Achille

  • Tratto da Iliade, libro XVI, vv. 783-867; libro XVII, vv. 424-455; libro XVIII, vv. 22-38

Fallita l’ambasceria ad Achille, Diomede e Odisseo, su proposta di Nestore, si recano nottetempo nel campo troiano per ottenere informazioni sul nemico. Una mossa analoga da parte troiana vanifica il valore decisivo dell’operazione (libro X). Il giorno successivo Agamennone guida la riscossa greca con una serie di gesta eroiche (libro XI), ma Ettore è già al muro costruito dagli Achei (libro XII), lo oltrepassa e sposta la battaglia verso le navi (libro XIII). Un inganno teso da Era a Zeus consente a Poseidone di intervenire in soccorso dei Greci (libro XIV), ma il contrattacco guidato da Apollo conduce i Troiani sul punto di incendiare le navi greche (libro XV).

Le ultime gesta di un eroe

Patroclo, compagno e amico di Achille, che fin qui si è distinto per moderazione e nobiltà d’animo, chiede all’eroe di poter indossare la sua armatura per andare in aiuto dei Greci. I Troiani, convinti del ritorno in battaglia di Achille, sono spaventati e trucidati in gran numero, ma Patroclo contravviene alle raccomandazioni dell’amico e si spinge a combattere fin sotto le mura della città, dove andrà incontro al proprio destino (libro XVI).

E Patroclo si slanciò sui Troiani meditando rovina,

si slanciò per tre volte, simile ad Ares ardente,

785 paurosamente gridando: tre volte ammazzò nove uomini.

Ma quando alla quarta balzò, che un nume pareva,

allora, Patroclo, apparve la fine della tua vita:

Febo gli mosse incontro nella mischia selvaggia,

tremendo, ed egli non lo vide venire in mezzo al tumulto;

790 gli venne incontro nascosto di molta nebbia.

E dietro gli si fermò, colpì la schiena e le larghe spalle

con la mano distesa: a Patroclo girarono gli occhi.

E Febo Apollo gli fece cadere l’elmo giù dalla testa:

sonò rotolando sotto gli zoccoli dei cavalli

795 l’elmo a visiera abbassata, si sporcarono i pennacchi

di sangue e polvere: mai prima era stato possibile

che il casco chiomato si sporcasse di polvere,

ché d’un uomo divino la bella fronte e la testa

proteggeva, d’Achille: ma allora Zeus lo donò a Ettore,

800 da portare sul capo: e gli era vicina la morte.

Tutta in mano di Patroclo si spezzò l’asta ombra lunga,

greve, solida, grossa, armata di punta: e dalle spalle

con la sua cinghia di cuoio cadde per terra lo scudo,

gli slacciò la corazza il sire Apollo, figlio di Zeus.

805 Una vertigine gli tolse la mente, le membra belle si sciolsero,

si fermò esterrefatto: e dietro la schiena con l’asta aguzza

in mezzo alle spalle, dappresso, un eroe dardano lo colpì,

Èuforbo di Pàntoo che sui coetanei brillava

per l’asta, per i cavalli e per i piedi veloci;

810 venti guerrieri gettò giù dai cavalli

appena giunse col cocchio a imparare la guerra.

Questi per primo a te lanciò l’asta, Patroclo cavaliere,

ma non t’uccise, e corse indietro e si mischiò tra la folla,

strappata l’asta di faggio: non seppe affrontare

815 Patroclo, benché nudo, nella carneficina.

Ma Patroclo, vinto dal colpo del dio e dall’asta,

fra i compagni si trasse evitando la Chera.

Ettore, come vide il magnanimo Patroclo

tirarsi indietro, ferito dal bronzo puntuto,

820 gli balzò addosso in mezzo alle file, lo colpì d’asta

al basso ventre: lo trapassò col bronzo.

Rimbombò stramazzando, e straziò il cuore all’esercito acheo.

Come quando un leone vince in battaglia un cinghiale indomabile,

– essi superbamente han combattuto sui monti

825 per una piccola polla: volevano bere entrambi –

e infine con la sua forza il leone vince l’altro che rantola;

così il Menezìade, che già molti ammazzò,

Ettore figlio di Priamo privò della vita con l’asta,

e gli disse vantandosi parole fuggenti:

830 «Patroclo, tu speravi d’abbattere la nostra città,

e alle donne troiane togliendo libero giorno,

condurle sopra le navi alla tua terra patria,

stolto! Per esse i veloci cavalli d’Ettore

si tendono sopra i garretti a combattere: io con l’asta

835 eccello fra i Teucri amanti di guerra: e così li difendo

dal giorno fatale; ma te qui gli avvoltoi mangeranno.

Pazzo! Achille, per forte che sia, non ti potrà proteggere,

egli che, forse, restando, a te che partivi raccomandò molte cose:

“O Patroclo cavaliere, non mi tornare davanti,

840 alle concave navi, prima che d’Ettore massacratore

l’insanguinata tunica intorno al petto tu stracci”.

Così, certo, ti disse, stolto, e persuase il tuo cuore».

E tu rispondesti, sfinito, Patroclo cavaliere:

«Sì, Ettore, adesso vàntati:

845 a te hanno dato vittoria Zeus Cronìde e Apollo, che m’abbatterono

facilmente: essi l’armi dalle spalle mi tolsero.

Se anche venti guerrieri come te m’assalivano,

tutti perivano qui, vinti dalla mia lancia;

me uccise destino fatale e il figliuolo di Latona;

850 e tra gli uomini Èuforbo: tu m’uccidi per terzo.

Altro ti voglio dire e tientelo in mente:

davvero tu non andrai molto lontano, ma ecco

ti s’appressa la morte e il destino invincibile:

cadrai per mano d’Achille, dell’Eacide perfetto».

855 Mentre parlava così la morte l’avvolse,

la vita volò via dalle membra e scese nell’Ade,

piangendo il suo destino, lasciando la giovinezza e il vigore.

Al morto Ettore luminoso rispose:

«Patroclo, perché mi predici abisso di morte?

860 Chi sa se Achille figlio di Teti chioma bella

non mi preceda nel perder la vita, colto dalla mia lancia?»

Dicendo così, l’asta di bronzo dalla ferita

strappò, premendo col piede, lo rovesciò supino.

Subito con l’asta si gettò su Automedonte;

865 lo scudiero divino del piede rapido Eacide:

bramava colpirlo, ma lo trascinarono via i cavalli veloci,

immortali, che a Peleo diedero i numi, dono stupendo.

Il pianto dei cavalli

Mentre infuria la lotta per difendere il corpo di Patroclo, anche i cavalli di Achille avvertono la caduta del loro auriga e piangono la morte dell’eroe (libro XVII).

In questo modo lottavano, e ferreo tumulto

425 giungeva al cielo di bronzo per l’etere instancabile;

ma i cavalli d’Achille fuori della battaglia

piangevano, da che avevano visto l’auriga

caduto nella polvere sotto Ettore massacratore:

eppure Automèdonte, forte figliuolo di Dioreo,

430 molto con rapida frusta toccandoli, li accarezzava,

e molto diceva con dolci parole, molto con le minacce.

Ma essi né indietro verso il largo Ellesponto e le navi

volevano andare, né in guerra in mezzo agli Achei;

come sta immota una stele, che presso la tomba

435 d’un uomo defunto sia stata piantata o d’una donna,

così restavano immobili, col carro bellissimo,

in terra appoggiando le teste; e lacrime calde

cadevano giù dalle palpebre, scorrevano in terra; piangevano,

nel desiderio del loro auriga; e si sporcava la ricca criniera

440 cadendo dal soggolo, di qua e di là lungo il giogo.

N’ebbe pietà il Cronide vedendoli piangere,

e scuotendo la testa parlò, volto al suo cuore:

«Ah! Infelici, perché vi donammo al sire Peleo,

a un mortale, e voi non siete soggetti né a vecchiezza né a morte?

445 Forse perché fra i miseri uomini abbiate dolore?

No, non c’è nulla più degno di pianto dell’uomo,

fra tutto ciò che respira e cammina sopra la terra.

Ma non su di voi né sopra il carro bellissimo

Ettore figlio di Priamo andrà in giro; non lo permetto.

450 Non basta che s’abbia l’armi e di quelle si vanti?

A voi nei ginocchi e in cuore getterò furia,

sicché anche Automèdonte salviate dalla battaglia

alle concavi navi: gloria infatti darò ancora agli altri,

che uccidano, fin che le navi buoni scalmi raggiungano,

455 e il sole s’immerga e scenda la tenebra sacra.

La reazione di Achille

Finalmente la triste notizia della morte di Patroclo, trasmessa da Antiloco, figlio di Nestore, giunge ad Achille (libro XVIII).

Disse così; e una nube di strazio, nera, l’avvolse:

con tutte e due le mani prendendo la cenere arsa

se la versò sulla testa, insudiciò il volto bello;

25    la cenere nera sporcò la tunica nettarea;

e poi nella polvere, grande, per gran tratto disteso,

giacque, e sfigurava con le mani i capelli, strappandoli.

Le schiave, che Achille e Patroclo s’erano conquistati,

straziate in cuore, ulularono, corsero fuori

30    intorno ad Achille cuore ardente; e con le mani tutte

battevano il petto; a tutte, sotto, le gambe si sciolsero.

Antiloco gemeva dall’altra parte, versando lacrime,

tenendo le mani d’Achille che singhiozzava nel petto glorioso:

aveva paura che si tagliasse la gola col ferro.

35    Gridava terribilmente. Sentì la madre augusta,

seduta negli abissi del mare, accanto al vecchio padre,

e gemette ella pure, le dee le si fecero intorno,

tutte, quant’erano le Nereidi nell’abisso del mare.


Omero, Iliade, libro XVI, vv. 783-867; libro XVII, vv. 424-455; libro XVIII, vv. 22-38, trad. di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino 2005

 >> pagina 151

A tu per tu con il testo

Sul campo di battaglia dell’Iliade può capitare che un dio colpisca un eroe alle spalle, gli faccia cadere l’elmo a terra e determini la sua rovina. È quello che succede a Patroclo, il più generoso tra i combattenti greci, sul quale però grava un immutabile destino di morte. Nel mondo omerico l’agire umano, pur valoroso, non è mai del tutto libero da altre forze e gli dèi sono talora più rancorosi degli uomini. Così, la vita può venire meno all’improvviso per una congiura della sorte e la morte di una persona cara può essere pianta anche dai cavalli solidali con gli esseri umani nel dolore.

La disperazione estrema di uomini, donne, animali al cospetto di una morte ingiusta come quella di Patroclo indica così l’attaccamento alla vita di una civiltà, come quella greca, che ha saputo cantare in modo epico e sublime la bella morte occorsa prima del tempo e in modo glorioso sul campo di battaglia.

Analisi

Il brano ci trasporta nel momento culminante dell’assalto di Patroclo contro le fila del nemico: quando il giovane eroe sta per slanciarsi per la quarta volta contro i Troiani, sempre più simile a un dio, è allora che il poeta gli si rivolge direttamente, in una sorta di dialogo con il personaggio, annunciandogli la morte imminente (Patroclo, apparve la fine della tua vita, v. 787). La rovina è rapida e improvvisa: il dio Apollo colpisce Patroclo dapprima alle spalle, facendo cadere l’elmo (mai prima era stato possibile / che il casco chiomato si sporcasse di polvere, vv. 796-797); subito dopo l’eroe si trova privo dell’asta, dello scudo e della corazza (vv. 801-804).

È una successione di segni infausti quella descritta da Omero: senza armi difensive Patroclo è destinato a rapida morte, eppure anche così incute timore ai Troiani e il primo nemico che lo vede, Èuforbo, lo colpisce proditoriamente alla schiena, ma non osa affrontarlo. L’onore e l’onere dell’uccisione dell’amico di Achille spetterà al più forte dei Troiani (vv. 818-821).

Ettore, spregiando qui ogni sentimento di umana compassione, rivolge all’avversario morente un discorso (vv. 830-842) intriso di rancore e cinismo, con il quale gli preannuncia che sarà divorato dagli avvoltoi. Colpendo Patroclo, Ettore sa di sfidare anche l’arroganza di Achille, che dileggia immaginando le parole da lui rivolte all’amico prima che questi si recasse sul campo di battaglia con la sua armatura (vv. 837-841). La supposizione di Ettore, in realtà, si rivela tendenziosa: Achille aveva semmai consigliato all’amico il contrario, cioè di limitarsi ad azioni difensive e di non avvicinarsi troppo alle mura.

A un Ettore così sprezzante, come raramente appare nel poema, Patroclo riesce ancora a replicare; le sue sono le ultime parole di un guerriero morente: ciò che gli preme soprattutto è di sminuire l’impresa del troiano (me uccise destino fatale e il figliuolo di Latona; / e tra gli uomini Èuforbo: tu m’uccidi per terzo, vv. 849-850). Infine, come vuole una credenza degli antichi, che attribuivano facoltà divinatorie a chi stesse esalando l’ultimo respiro, egli profetizza al nemico la fine prossima per mano di Achille (ti s’appressa la morte e il destino invincibile: / cadrai per mano d’Achille, dell’Eacide perfetto, vv. 853-854).

La morte di Patroclo costituisce, dunque, un sacrificio inevitabile, destinato a svolgere un ruolo centrale nell’economia del poema. Per vendicare l’amico ucciso, infatti, Achille deciderà di mettere da parte l’ostilità nei confronti di Agamennone e di tornare in battaglia, fatto che imprimerà una svolta decisiva alla guerra. In breve tempo la profezia (prolessi) pronunciata in questo brano troverà realizzazione con il duello tra Achille ed Ettore e la morte di quest’ultimo. Il motivo della predizione del guerriero morente rappresenta, inoltre, un topos dell’epica, che tornerà anche in occasione dell’uccisione di Ettore (libro XXII).

 >> pagina 152 

Costituisce un’espressione formulare anche la descrizione amara del momento del trapasso di Patroclo: la vita volò via dalle membra e scese nell’Ade, / piangendo il suo destino, lasciando la giovinezza e il vigore (vv. 856-857). La morte dell’eroe, il lutto più grave nell’esercito greco, segna un momento di svolta nell’Iliade, che non lascia indifferenti neanche i cavalli divini di Achille, donati da Zeus a Peleo per le sue nozze.

Incapaci di muoversi, mentre infuria la lotta tra Greci e Troiani per il corpo di Patroclo, come una stele di pietra restavano immobili, col carro bellissimo, / in terra appoggiando le teste; e lacrime calde / cadevano giù dalle palpebre, scorrevano in terra; piangevano, / nel desiderio del loro auriga (vv. 436-439). Omero rappresenta una partecipazione corale al dolore, che non manca di commuovere lo stesso Zeus: dall’alto del cielo, il padre degli dèi osserva che non c’è nulla più degno di pianto dell’uomo (v. 446) e si rammarica di avere fatto dono a un mortale di cavalli divini, esponendoli in questo modo alle sventure che costellano la vita degli uomini.

In una sorta di climax ascendente del lutto, l’ultimo a venire a conoscenza della caduta di Patroclo in battaglia è proprio Achille, quando la lotta per la difesa delle sue spoglie è ancora in corso. La sua disperazione è senza limiti (vv. 22-27): gettatosi nella cenere, si strappa i capelli, insudicia il volto, fa arrivare il suo grido di dolore persino negli abissi marini. L’eroe dell’ira è estremo anche nell’espressione della sofferenza. Ma le sue lacrime non restano le uniche: persino le schiave e la troiana Briseide piangono per la morte di Patroclo, eroe dolce e gentile, la cui nobiltà d’animo commuove lo stesso Omero.

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Come agisce il dio Apollo nel brano? Indica le azioni che commette contro Patroclo.


2. Chi è Euforbo?


3. Che cosa intende Patroclo quando dice a Ettore tu m’uccidi per terzo (v. 850)?


4. Perché Zeus si pente di aver regalato dei cavalli divini a Peleo?

ANALIZZARE E INTERPRETARE

5. Secondo te, che valore assume la caduta dell’elmo (vv. 793-800)?


6. Lo scontro tra Ettore e Patroclo è illustrato attraverso una similitudine. Individuala nel testo: che cosa vuole sottolineare?


7. In tre diverse occasioni Omero si rivolge a Patroclo in seconda persona. Quali? Che effetto produce la rottura dell’oggettività narrativa tipica dell’epica?


8. In che modo i personaggi elencati esprimono il lutto e il dolore per la morte di Patroclo?


Achille • Antiloco • cavalli • schiave

COMPETENZE LINGUISTICHE

9. Storia della lingua. L’aggettivo greve (v. 802), “pesante”, è un classico esempio di incrocio di parole: a partire dalla coppia di opposti (o antonimi) grave-lieve, si è verificato un fenomeno che ha portato a confondere foneticamente il primo aggettivo con il secondo, creando la forma antica grieve; il dittongo “ie” importato da lieve si è poi ridotto a “e”, dando la forma greve. Greve ha così sostituito grave in alcuni usi: per esempio, era vestito di panni grevi (“pesanti”); un uomo greve, “pesante nel corpo e lento nei movimenti”, ma anche “noioso”, “fastidioso”.

Con l’aiuto del vocabolario, trova altri esempi di impiego di questo aggettivo.

PRODURRE

10. Scrivere per argomentare Immagina di dover riferire a qualcuno una notizia terribile. Preferisci essere diretto nella comunicazione o cerchi di rendere più sopportabile il tuo messaggio? Scrivi un breve testo argomentativo (massimo 20 righe) in cui metti in luce le diverse strategie retoriche possibili in un caso del genere.

La dolce fiamma - volume C
La dolce fiamma - volume C
Epica