T1 - Guittone d’Arezzo, Ahi lasso! or è stagion de doler tanto

T1

Guittone d’Arezzo

Ahi lasso! or è stagion de doler tanto

  • Metro Canzone di 6 strofe, ciascuna delle quali ha una fronte di 2 piedi di 4 endecasillabi ciascuno (ABBA CDDC) e una sirma di endecasillabi misti a settenari (EFGgFfE); il congedo è nello stesso metro della sirma

Il 4 settembre 1260 a Montaperti (a pochi chilometri da Siena) si combatte una battaglia sanguinosa e molto importante per le sorti politiche dei comuni toscani: i guelfi di Firenze vengono pesantemente sconfitti dai ghibellini di Siena e di altre città toscane (compresi quelli precedentemente fuoriusciti da Firenze e capeggiati da Farinata degli Uberti), appoggiati da re Manfredi. L’esito della battaglia desta emozione e preoccupazione, perché sembra che si siano definitivamente risollevate le sorti del partito imperiale, mentre appare tramontata per sempre la potenza del libero Comune fiorentino. A questo episodio storico è dedicato il lamento di Guittone, primo esempio di poesia civile della nostra letteratura, al quale si ispirerà Dante stesso per le sue invettive politiche (nonostante fosse, sul piano poetico, un avversario del “frate gaudente”).

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Audiolettura

Ahi lasso! or è stagion de doler tanto

a ciascun om che ben ama ragione,

ch’eo meraviglio u’ trova guerigione,

che morto no l’ha già corrotto e pianto,

5      vedendo l’alta Fior sempre granata

e l’onorato antico uso romano,

ca certo pere; crudel forte e villano,

s’avaccio ella no è ricoverata!

Ché l’onorata sua ricca grandezza

10    e ’l pregio quasi è già tutto perito,

e lo valor e ’l poder si desvia.

Ohi lasso! or quale dia

fu mai tanto crudel dannaggio audito?

Deo, com’hailo sofrito

15    deritto pera e torto entri ’n altezza?

Altezza tanta en la sfiorata Fiore

fo, mentre ver se stessa era leale,

che riteneva modo imperiale,

acquistando per suo alto valore

20    provincie, terre, presso e lunge, mante;

e sembrava che far volesse impero,

sì como Roma già fece; e leggero

li era, ch’alcun no i potea star avante.

E ciò li stava ben certo a ragione,

25    ché non se depenava a suo pro tanto,

como per ritener giustizia e poso;

e poi folli amoroso

de fare ciò, si trasse avante tanto,

ch’al mondo no è canto,

30    u’ non sonasse il pregio del Leone.

Leone, lasso!, or no è; ch’eo li veo

tratto l’onghie e li denti e lo valore

e ’l gran lignaggio suo mort’a dolore,

ed en crudel pregion miso a gran reo.

35    E ciò li ha fatto chi? Quelli che sono

de la schiatta gentil sua stratti e nati,

che fun per lui cresciuti e avanzati

sovra tutti altri e collocati a bono;

e per la grande altezza ove li mise

40    ennantir sì, che ’l piagar quasi a morte.

Ma Deo di guerigion feceli dono,

ed el fe lor perdono,

e anche el refedier poi, ma fu forte

e perdonò lor morte;

45    or hanno lui e soie membre conquise.

Conquis’è l’alto comun fiorentino,

e col senese in tal modo ha cangiato,

che tutta l’onta e ’l danno, che dato

li ha sempre, como sa ciascun latino,

50    li rende e tolle il pro e l’onor tutto.

Ché Montalcino ave abattuto a forza,

Montepulciano miso en sua forza,

e de Maremma ha la cervia e lo frutto,

Sangimignan, Pogibonize e Colle

55    e Volterra e ’l paese a suo tene,

e la campana e le ’nsegne e li arnesi

e li onor tutti presi

ave con ciò che seco avea di bene;

e tutto ciò li avene

60    per quella schiatta, che più ch’altra è folle.

Foll’è chi fugge il suo prode e cher danno

e l’onor suo fa che vergogna i torna;

e di bona libertà, ove soggiorna

a gran piacer, s’aduce a suo gran danno

65    sotto segnoria fella e malvagia,

e suo segnor fa suo grande nemico.

A voi, che siete ora in Fiorenza, dico

che ciò ch’è divenuto par v’adagia;

e poi li Alamanni in casa avete,

70    servitei bene e fate vo mostrare

le spade lor, con che v’han fesso i visi,

e padri e figli aucisi;

e piaceme che lor degiate dare,

perch’ebbero en ciò fare

75    fatica assai, de vostre gran monete.

Monete mante e gran gioi’ presentate

ai Conti e a li Uberti e a li altri tutti,

ch’a tanto grande onor v’hanno condutti,

che miso v’hanno Sena in potestate.

80    Pistoia e Colle e Volterra fann’ora

guardar vostre castella a loro spese;

e ’l Conte Rosso ha Maremma e ’l paese;

Montalcin sta sicur senza le mura;

de Ripafratta teme ora ’l Pisano;

85    e ’l Perogin che ’l lago no i tolliate;

e Roma vol con voi far compagnia.

Onore e segnoria

or dunque par e che ben tutto abbiate;

ciò che disiavate

90    potete far, cioè re del Toscano.

Baron lombardi e romani e pugliesi

e tosci e romagnuoli e marchigiani,

Fiorenza, fior che sempre rinovella,

a sua corte v’apella;

95    che fare vol de sé re dei toscani,

da poi che li Alamanni

ave conquiso per forza e i senesi.

 >> pagina 684 

A tu per tu con il testo

O tempora, o mores!, “che tempi, che costumi!” esclamavano i latini, ai quali il passato piaceva più del presente. “Ai miei tempi” dicono invece spesso gli anziani di ieri e di oggi quando, guardandosi attorno e criticando i costumi dei giovani, si lasciano andare alla nostalgia, al rimpianto e all’idealizzazione dell’epoca della propria giovinezza: laddove un tempo regnavano pace e diritto ora – si crede – trionfano violenza e ingiustizia. A guardar bene, è proprio questo l’atteggiamento che possiamo cogliere nella canzone di Guittone, un primo, travolgente esempio di poesia civile e politica in volgare. La grandezza passata di Firenze non c’è più, scrive con un dolore carico di rabbia: l’antica gloria è stata sostituita dall’umiliazione, dal disonore, dalla perdita di dignità. In questi versi cogliamo l’eco della rivalità tra guelfi e ghibellini che insanguinò Firenze nel Duecento, ma – al di là delle motivazioni contingenti che l’hanno ispirata – questa poesia è un discorso appassionato e incendiario di un uomo, che accusa il nemico di aver rovinato la patria e di aver sostituito un passato meraviglioso con un presente squallido.

 >> pagina 685

Analisi

Secondo il guelfo Guittone Firenze, erede del prestigio e della grandezza dell’impero romano, incarnava un tempo grandi ideali di giustizia. Ora quella storia e quel patrimonio appaiono cancellati dalla battaglia di Montaperti, nella quale Firenze è stata umiliata e sconfitta. Il lamento e il dolore del poeta si trasformano però presto in sarcasmo verso i concittadini fiorentini: ciò che è loro avvenuto lo hanno meritato e ora è naturale che essi siano costretti a servire i tedeschi e a onorare i signori della città che, seguendo la fazione ghibellina, li hanno posti in una tale condizione. Guittone conclude affermando ironicamente che, dopo aver vinto i tedeschi e i senesi, ora Firenze può invitare alla propria corte i signori di tutta Italia: avvilita e privata di ogni forza, la città non potrà che conoscere un destino di indegno servilismo.
Il linguaggio è spoglio e aspro, privo di ornamenti ma vibrante come un acceso discorso oratorio. È una lingua molto concreta, tutta incentrata su cose e fatti, e in ciò assai espressiva e tendente all’enfasi, come si evidenzia dall’ampio uso di esclamazioni (Ahi lasso, v. 1), apostrofi (Deo, com’hailo, v. 14; A voi, che siete ora in Fiorenza, dico, v. 67), interrogative retoriche (or qual dia / fu mai tanto crudel dannaggio audito?, vv. 13-14; E ciò li ha fatto chi?, v. 35), iperboli (che morto no l’ha già corrotto e pianto, v. 4; l pregio quasi è già tutto perito, v. 10; ennantir sì, che ‘l piagar quasi a morte, v. 40). Sotto tale aspetto la canzone rappresenta una novità nell’ambito della stessa produzione guittoniana. Evidentemente in questo caso l’autore scrive spinto dalla forza dei propri sentimenti e delle proprie emozioni, più che in virtù di un progetto esclusivamente letterario. Perciò non troviamo qui le complicazioni concettuali tipiche del resto della sua produzione.
Il dolore e lo sdegno che albergano nell’animo del poeta sono tali che egli non riesce a contenere la propria amarezza. Essa prorompe così in un impeto di sarcasmo – tono spesso presente nella poesia politica e di invettiva morale – che domina tutta l’ultima parte della canzone (dal v. 67 in poi). In questi versi l’autore utilizza la modalità retorica dell’antifrasi: afferma cioè il contrario di quanto è accaduto per esprimere tutta la sua ira nei confronti di chi ha determinato la sconfitta e l’attuale stato di prostrazione della sua amata città. Così, mentre nella quarta stanza troviamo una descrizione della situazione in termini oggettivi, nella sesta la descrizione della medesima situazione risulta deformata dal sarcasmo.

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. In quale punto Guittone allude al passato glorioso di Firenze? Come viene descritta la città?


2. Perché al v. 69 Guittone afferma che in città sono presenti i tedeschi?


3. Qual era, secondo il poeta, il progetto di Firenze che ora, causa la sconfitta di Montaperti, non potrà più essere realizzato (vv. 87-97)?

  • a Vendicarsi di Federico II infierendo su suo figlio Manfredi.
  • b Pacificare le due fazioni dei guelfi e dei ghibellini.
  • c Portare l’intera Toscana sotto il proprio controllo.
  • d Costringere Siena ad un’alleanza.

ANALIZZARE

4. In quali punti del componimento emerge l’idea che dopo la battaglia di Montaperti i valori del mondo si siano capovolti?


5. Per parlare di Firenze, Guittone usa due simboli, il Fiore e il Leone: che cosa significano? Quali artifici retorici gli consentono?


6. Perché è possibile affermare che il congedo di questa canzone si discosta dalla tradizione?

competenze linguistiche

7. Storia della lingua. Nel componimento sono presenti numerosi latinismi: individuali con l’aiuto dell’insegnante e poi scrivine il corrispondente in italiano contemporaneo.

 >> pagina 686 

SPUNTI DI RICERCA interdisciplinare

Geografia

Individua su una carta geografica tutti i luoghi menzionati nel componimento e prova a ricostruire l’estensione dei domini di Firenze all’epoca di Guittone.

SPUNTI PER discutere IN CLASSE

Anche se l’autore non è un politico di professione, il componimento è animato da un’intensa passione che gli fa prendere posizione di fronte a eventi di scottante attualità: trovi che questo atteggiamento sia ancora attuale o ritieni che la politica sia qualcosa di lontano e “da specialisti”?

PER APPROFONDIRE

La battaglia di Montaperti da Guittone a Dante

I protagonisti della battaglia in due canti dell’Inferno

Nella Divina Commedia si fa riferimento, per ben due volte, alla battaglia di Montaperti.

La prima in Inferno, X, 85-93, dove Dante incontra, tra gli eretici ed epicurei (collocati in sepolcri arroventati), Farinata degli Uberti, il capo dei ghibellini. Farinata gli chiede perché i guelfi fiorentini si siano tanto accaniti contro i suoi discendenti (ovviamente ghibellini come lui), ormai da tempo banditi dalla città. La risposta di Dante è netta: «Lo strazio e ’l grande scempio / che fece l’Arbia colorata in rosso, / tal orazion fa far nel nostro tempio» (vv. 85-87: La strage e l’orribile massacro che colorò le acque del fiume Arbia [presso cui sorgeva il castello di Montaperti] con il rosso del sangue ci spinge ad assumere tali decisioni [ostili nei confronti degli Uberti quali massimi rappresentanti dei ghibellini] nelle nostre assemblee cittadine).

Il secondo riferimento è in Inferno, XXXII, 76-111, dove il poeta trova, fra i traditori della patria (conficcati nel ghiaccio fino alla testa), Bocca degli Abati, il traditore dei fiorentini, responsabile della loro sconfitta. La reazione di Dante è veemente; appena sentito nominare Montaperti (v. 81), il solo sospetto di essersi imbattuto nel famigerato traditore (poi identificato con certezza, al v. 106, dalle parole di un altro dannato) porta il poeta a gesti di notevole durezza, in uno degli episodi più aspri del suo viaggio: egli afferra Bocca per i capelli e lo scuote con forza per fargli rivelare la sua identità. Una volta appreso il suo nome, Dante si vendicherà, quando sarà tornato nel mondo dei vivi, riferendo la condizione di dannazione eterna del «malvagio traditor» (v. 110).


Le tragiche conseguenze della battaglia

Ciò che Montaperti significò per Firenze e significava per Dante basta a render ragione della tragica immagine che troviamo nel decimo canto dell’Inferno e dell’accanimento passionale che affiora nel trentaduesimo. La disfatta in quella battaglia per lui era l’emblematico risultato della tragica catena di odi, violenze e ingiustizie della lotta politica; rappresentava non solo la punizione della guelfa “rabbia fiorentina”, ma il crollo del popolo – a giudizio del poeta – più importante d’Italia, protagonista di un’età guardata con nostalgia; simboleggiava inoltre il fallimento del disegno di unificazione regionale perseguito da Firenze; era infine una sconfitta subita dagli italiani di fronte ai tedeschi di Manfredi. Così le parole dedicate da Dante a Montaperti trovano la loro interpretazione più precisa, anche se in un contesto meno complesso, proprio nella canzone di Guittone.

La dolce fiamma - volume B plus
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Poesia e teatro - Letteratura delle origini